Una turista inglese visita Manfredonia nel 1884, il racconto tratto dal suo diario, “Era quasi sera quando arrivammo, il padrone dell’albergo era un “originale”
Intraprendere viaggi per il mondo agli albori del ‘900 non era certo facile ed agevole come lo è ora. Tutt’ora esistono zone del mondo dove è vivamente sconsigliato intraprendere viaggi di piacere a causa di eventi bellici e di situazioni politiche/ religiose avverse. L’Italia del Sud, alla fine del 1800, era certamente considerata una terra ostile agli stranieri a causa della presenza dei briganti e per la povertà che la caratterizzava. Immaginiamo ora che i viaggi a quell’epoca si svolgevano principalmente in carrozza, con strade non certo comode come oggi, ed ad andar bene, in treno grazie alla linea ferroviaria che in quegli anni si stava diffondendo in tutta la penisola.
In questo contesto racconto ora un impresa che ha dell’incredibile, un frangente di un viaggio intrapreso da una donna, intorno al 1880, in Puglia.
La donna in questione è Janet Ross, di origine inglesi, residente in Toscana, affascinata dalla figura di Re Manfredi e appassionata di archeologia, botanica e cucina. Nel 1884 intraprende un viaggio in puglia, da Taranto a Manfredonia grazie al quale scrisse il libro “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”.
Janet Ross arriva a Manfredonia in treno, dopo un ora di viaggio da Foggia e cosi scrive:
“Era quasi sera quando arrivammo a Manfredonia, ero stata già prevenuta che il padrone dell’unico albergo che c’era in paese, era un “originale”, e che se non gli andavamo a genio era capacissimo di chiuderci la porta in faccia e di mandarci a dormire dove meglio ci sarebbe capitato. Fortunatamente il capo stazione godeva le sue buone grazie, ci accompagnò alla “locanda di Don Michele”, ci raccomandò a lui, e lo pregò di prepararci la sua famosa zuppa di pesce.
Don Michele Rosai de Tosquez (per dargli tutto intero il suo nome), era certamente un originale, a voler dir poco. Alzò la candela all’altezza della faccia mia, e quando io sorridendomi feci riparo al lume con la mano, egli mi battette sulla spalla e disse: “Si, mi piacete. Ma c’è guaio! Sempre loro le femmine! Mia moglie s’è appena sgravata del suo decimo figlio, e non posso darvi la nostra camera che è la migliore della casa, maledette le femmine!
Gli feci osservare timidamente che ero femmina anch’io e che, purché le lenzuola fossero pulite, non m’importava nulla della bella camera. Pregammo il capostazione di voler pranzare con noi e mentre si preparava la celebre zuppa di pesce, andammo a fare un giro per intorno.
In tutta l’Italia meridionale c’è la passione per la calce, e Manfredonia vista a chiaro di luna, era cosi bianca che pareva appena finita di fabbricare. E’ vero che la città fu saccheggiata e bruciata dai Turchi nel 1620, ma salvo i ruderi delle antiche mura di Manfredi ed il bellissimo castello finito da Carlo D’Angiò, tutto il resto costituiva la più moderna delle città orientali.
A pranzo Don Michele ci servì egli stesso, e portò in tavola una bottiglia di eccellente vino vecchio “per la signora”. Volle raccontarci la sua storia, una storia strana anche questa. I suoi antenati erano ricchi proprietari terrieri di Troia ed egli ricordava tuttora quando era bambino di soli cinque anni, che una notte vennero i briganti alla “masseria” bruciarono tutto compreso i grandi cumuli di fieno, e appiccarono sua madre in cima alla colombiana, i suoi fratelli maggiori furono uccisi, e la sua povera madre morì dallo spavento e dal dolore, pochi giorni dopo.
Don Michele aggiunge ch’egli era il discendente di una delle più antiche famiglie spagnuole e che aveva il titolo di barone, ma finì per dire “un albergatore può mai farsi chiamare barone? No” sono un galantuomo e tengo un albergo per le persone che mi sono simpatiche, e che sanno come comportarsi.
Tutta la notte sotto le finestre sentimmo il via vai del pellegrini che cantavano le litanie in onore di San Michele, perché l’8 Maggio è “il giorno di festa” del sommo arcangelo.
Il Don Michele della descrizione è lo stesso che viene citato da Antonio Beltramelli nel suo libro “Il Gargano”.
FINE PRIMA PARTE
Leggi anche la seconda parte del racconto
Tratto da “https://www.facebook.com/storiepatorie/”