Una turista inglese visita Manfredonia nel 1884, il racconto tratto dal suo diario, “Per tre miglia camminammo…belle masserie s’incontravano…”
Prosegue il racconto del quale pubblicammo già la prima parte, un impresa che ha dell’incredibile, un frangente di un viaggio intrapreso da una donna, intorno al 1880, in Puglia.
La donna in questione è Janet Ross, di origine inglesi, residente in Toscana, affascinata dalla figura di Re Manfredi e appassionata di archeologia, botanica e cucina. Nel 1884 intraprende un viaggio in puglia, da Taranto a Manfredonia grazie al quale scrisse il libro “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”:
“C’incamminammo da Manfredonia la mattina per tempo, in una carrozza tirata da tre robusti cavalli, e provveduti di un paniere di provvigioni, nel quale Don Michele aveva voluto aggiungere a tutti i costi, per me, una bella forchetta d’argento e un bicchiere anche d’argento. Invano m’ero apposta, chiedendo forchette ordinarie e nessun bicchiere d’argento. Don Michele era ostinato: “rubare! Non lo ruberà nessuno. Ma io non posso permettere che la mia signora beva nei bicchieri dove bevono tutti!”.
Per tre miglia camminammo in pianura, fiancheggiando la montagna a sinistra, e il mare a destra. La polvere era insopportabile, in qualche punto alta sino al ginocchio; e il riverbero del sole sulla roccia bianca, abbacinava gli occhi. Delle belle << Masserie>> s’incontravano di tanto in tanto – che evidentemente avevan dovuto essere in origine dei castelli fortificati- fra ulivi rachitici, che non pare trovino qui il suolo adatto per loro; rigogliosi invece le agave e i fichi d’india.
<< Lo sperone d’Italia s’ergeva dritto su di noi; e dopo ancora un ora di sbalzi sull’arena, voltammo a sinistra e cominciammo la ripida salita. La strada è costruita stupendamente sulla roccia della montagna, e ad ogni svolta venivamo a frapporci in mezzo a processioni di pellegrini che salivano dalle scorciatoie, l’antica via mulattiera percorsa già da imperatori, papi e principi nel suo buon tempo antico. Ogni tanto dicevano litanie in onore di San Michele, e qualche volta cantavano in coro dei <<rispetti>>. Me ne feci dire uno, da certi <<cafoni>> che venivano dalla provincia di Benevento, e coi quali facemmo un pezzo di strada a piedi, per alleggerire i cavalli in un punto più ripidi della salita, Invidiavo loro i polmoni che provavano di avere nel cantare a tutta voce, mentre salivano la montagna:
All’angelo di Puglia voglio ine
Vutu pe te, Nennella, voglio fane,
Scavezo e scaruso a lu camminare
lu turnatella nun c’è, magiamu pane.
Chiunque m’affronta dice: povero meschino!
Sta penitenza chi te la fa fane?
Me la fa fane na donna crudela
Stu core non è boluto contentane.
Il panorama, salendo, era magnifico: ai nostri piedi il mare cupo, e di contro, lungo la costa ondulata del golfo, bianche città splendenti al sole, Barletta, Trani, ecc; e più lontano, superbo come sempre, Castel del Monte, che dominava la sottostante regione. Cercammo invano la “querceta Gargani”( le querce menzionate da Orazio) o i boschi lucani. Qua e là degli ulivi rachitici, un miserabile elce mangiato dalle pecore e dalle capre, qualche abete e qualche ginepro; ecco tutta la vegetazione che vedemmo.