Cronaca Capitanata

Le Iene: “Società foggiana: città in guerra nonostante il lockdown”

Gaetano Pecoraro, dopo la fine del lockdown, torna a occuparsi di Foggia e della Società foggiana, la spietatissima e violenta quarta mafia d’Italia che terrorizza a colpi di agguati e bombe incendiarie. Abbiamo raccolto le testimonianze dei familiari di chi ha pagato con la vita la scelta di non piegarsi alle estorsioni e siamo andati a sentire anche i familiari degli affiliati ai tre clan egemoni: “La società foggiana non esiste, la legge fa un sacco di sbagli”

Siamo tornati, dopo il primo servizio di Gaetano Pecoraro, a Foggia, una città che in meno di un mese dall’inizio dell’anno nuovo aveva già registrato un bilancio terribile: un omicidio e sei bombe esplose, ai danni di altrettanti esercizi commerciali. La città è nella morsa della quarta mafia d’Italia, la cosiddetta “Società foggiana”. A contendersi il territorio, a suon di bombe per intimidire chi non paga il pizzo, ci sono tre gruppi principali, chiamati “batterie”: il clan Moretti-Pellegrino-Lanza, i Sinesi-Francavilla e i Trisciuoglio.

Un business, quello del pizzo per la protezione, estremamente importante, con cifre da sborsare che vanno dai 500 ai 3.000 euro al mese. Una recente intercettazione degli inquirenti mostra la ferocia di questa mafia, che spaventa chi è chiamato a pagare “la protezione”. Come in questo messaggio: “Ue bastardone, tu ti devi sbrigare, sennò gli facciamo la festa a tuo figlio”.

Tante cose nuove e tutte tragiche sono successe in città: dalla mega evasione dal carcere, dopo una protesta per la paura del Covid, ai roghi ad alcuni stabilimenti di ditte ortofrutticole, fino alla bomba sotto all’auto di un’imprenditrice e alle rapine ai negozi che hanno riaperto dopo il lockdown e altre sparatorie, tutte in piena città. Insomma a Foggia è ancora piena emergenza.

Abbiamo incontrato ancora una volta Luca Vigilante, responsabile della cooperativa “Il Sorriso di Stefano”, da tempo nel mirino della società foggiana, che le ha già fatto tre attentati incendiari in pochi mesi. Attentati che hanno colpito un centro anziani che già in questi mesi di Covid sta lavorando nell’emergenza. “Parliamo di Rsa, lunga degenza, di pazienti anziani fragilissimi”, ci racconta Luca . “I Dpi sono scarsi, la paura degli operatori sanitari, con l’angoscia che in qualsiasi momento del giorno o della notte ti possano chiamare e dire ‘è scoppiata una bomba così forte e devastante che …’” Fortunatamente però la Polizia ha individuato chi ha messo la prima bomba sotto l’attività di Luca, un ragazzo di 33 anni ora in arresto.

Gaetano Pecoraro incontra diversi imprenditori, che si sono rifiutati di sottostare alle richieste dei clan. “Hanno buttato la benzina sotto alla saracinesca, danni per diecimila euro”, racconta un negoziante. Negli ultimi tempi, dopo le numerose inchieste giudiziarie e i blitz che hanno portato molti boss in carcere, il “mercato” delle estorsioni è andato in crisi.  A confermarla un’intercettazione ambientale, in cui alcuni boss si lamentano: “Qua soldi non se ne prendono. Questi costruttori non stanno pagando nessuno”. Dalle intercettazioni è chiaro come la Società foggiana stiano controllando gran parte dei cantieri della città: “Adesso facciamo una cosa, andiamo per i cantieri vediamo chi sono i costruttori e vediamo chi paga”. E per chi non paga, ovviamente, sono pronte le bombe.

Bombe e proiettili, come quelli che hanno ucciso negli anni numerosi imprenditori onesti della città. Come Giovanni Panunzio, un importante imprenditore edile di Foggia che ha costruito un sacco di palazzi e molto attivo anche negli appalti del comune. Un imprenditore che non ha pagato il pizzo e ha perso la vita. Ce lo racconta la figlia: “Era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare , era molto amato dagli operai. Una ventina di giorni prima del natale 89 arriva un telefonata: ‘Riferisci a don Giovanni che deve sborsare 2 miliardi, di lire, altrimenti farete tutti un brutto Natale. Pensavo fosse uno scherzo, non immaginavo che la vera mafia stesse entrando in casa nostra”. Tre anni dopo quattro colpi di calibro 38 ne stroncano la vita, a 51 anni.

Incontriamo anche la figlia di Francesco Marcone, un dirigente del catasto che nel 1995 ha pagato con la vita la scelta di non assecondare le richieste dei boss per i loro lucrosissimi affari. L’uomo aveva notato comportamenti anomali nel suo ufficio. “C’erano persone che aspettavano gli utenti fuori dall’ufficio del registro e in cambio di denaro promettevano di aiutarli a sbrigare le pratiche. L’hanno ucciso con due colpi alle spalle”, ricorda commossa la figlia.

Ma come è possibile che queste morti non abbiano cambiato Foggia? “Questo fenomeno mafioso è cresciuto perché inizialmente è stato negato e successivamente sottovalutato”, spiega Giuseppe Gatti, sostituto procuratore antimafia di Bari. E c’è forse anche un altro motivo, come ci aveva già spiegato Ludovico Vaccaro, procuratore capo di Foggia: “La provincia, 7mila chilometri quadrati di territorio, ha una sola procura a occuparsi di questa potentissima mafia. La Liguria ha un’estensione di 5.400 chilometri quadrati e ha ben 4 procure operative, 4 prefetture, 4 squadre mobili, 4 reparti operativi dei carabinieri. Perché a Foggia non viene dato altro che quello che hanno altri territori?”.

Un imprenditore foggiano, che per non aver pagato è stato di fatto emarginato negli affari, racconta  a Gaetano Pecoraro: “Io non esco con mia moglie a farmi una passeggiata saranno minimo 15-16 anni”. Nello scorso servizio eravamo andati anche da alcuni degli imprenditori che invece, stando alle inchieste e alle intercettazioni, avrebbero pagato il pizzo alle batterie della società foggiana. La Iena incontra un uomo che non solo avrebbe negato la circostanza davanti agli inquirenti ma una volta uscito dall’interrogatorio avrebbe addirittura avvertito i suoi aguzzini. A telecamera nascosta, a Gaetano Pecoraro, dice: “Io non ho mai avuto questi problemi. Queste persone mi hanno aiutato a trovare dei pezzi per la macchina, perché sono amici. Ho pagato 1.500 euro ma hanno pensato che fosse un’estorsione. Io non ho mai pagato una lira. Non è gente cattiva. Vengono a mangiare, gli faccio lo sconto… Se tu stessi al mio posto faresti la stessa cosa”.

Nega tutto anche un gommista della zona, che avrebbe pagato 5.000 euro una tantum e poi 500 euro al mese per la protezione dei clan. La moglie: “Qui non paghiamo, assolutamente, te lo posso assicurare. Non abbiamo pagato nulla, al mille per mille”. Una donna, che gestisce un’altra attività, tenta di giustificarsi, ammettendo tra le righe la situazione: “Foggia ha una brutta nomea, parliamoci chiaro, quelle poche persone che stanno o parlando o collaborando, stanno passando i guai… ragazzi, qua la pelle… se permetti devo pensare alla mia pelle…”.

Andiamo infine da alcuni dei familiari dei boss della società foggiana, attualmente in carcere. A cominciare dalla figlia del presunto boss Roberto Sinesi, che ci caccia dal suo negozio senza rilasciare alcuna dichiarazione. In un’altra attività, sempre legata a quella famiglia, incontriamo un altro parente, con precedenti per spaccio: “Non c’è una spiegazione a questa violenza, la natura umana è fatta in questo modo”. In un altro bar troviamo un parente di alcuni affiliati alla batteria dei Francavilla, con precedenti penali per estorsione: “Non esiste nessuna batteria, la mia famiglia, i Francavilla, i Sinesi, sono famiglie come le altre. Che io sappia la Società foggiana non esiste. La legge sai quanti sbagli ha fatto?”.

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Redazione

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