Attualità Capitanata

C’erano una volta i campi di concentramento a Manfredonia

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Oggi, anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, si celebra il Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in Italia. Un’occasione per non dimenticare, ma anche per fermarsi a pensare all’attualità di quelle tragedie ed ai valori nati dalla lotta contro quelle mostruosità della storia.

Per non dimenticare. Eppure a Manfredonia in tanti hanno già dimenticato. Pochi sanno infatti che in città durante la seconda guerra mondiale furono allestiti ben due campi di concentramento. Uno era ubicato di fronte la Stazione Campagna ed ospitò un paio di centinaia di prigionieri tedeschi; l’altro fu invece un campo di concentramento per rifugiati politici, allestito presso l’ex Mattatoio.

Il primo oggi non esiste più, mentre il secondo non è cambiato affatto ed è situato nella periferia sud della città, su viale Di Vittorio. Un pezzo di storia incastonato nella vita di tutti i giorni, ma i sipontini lo ignorano, perché mentalità comune dell’immediato dopoguerra voleva si dimenticassero le tragedie appena conclusesi.

Ai piccoli manfredoniani che negli anni ’50 chiedevano cosa nascondesse quel luogo ancora tutto recintato, gli adulti rispondevano: “un carcere”, per proteggerli da una verità che bruciava ancora gli animi degli italiani. E negli anni divenne un tabù tale che poi scomparve dalla memoria collettiva.

Era il 16 giugno del 1940 quando, contro la volontà del podestà, incominciò a funzionare il campo di concentramento presso l’ex Macello. La scelta cadde su Manfredonia perché la città era ben collegata, via mare, con la colonia penale di Tremiti. Per adeguarlo furono effettuati dei lavori e lo si recintò. Lo storico Viviano Iazzetti racconta che al suo interno la dicitura: “Forno crematorio” contrassegna uno dei vani, ma smorza anche le facili deduzioni poiché “forni crematori sono presenti in tutti i macelli comunali”.

Il mattatoio comunale di Manfredonia appena terminato era perfetto: vi furono ricavate delle camere, attrezzati i bagni e le cucine, scavate le fognature, eretta una recinzione e dal 16 giugno 1940 e fino all’8 settembre 1943 la direzione fu affidata al Commissariato di Pubblica Sicurezza. Nel campo di Manfredonia trovarono allocazione anche le ex internate slave sottoposte ad addestramento militare ed inviate sulla costa dalmata per missioni rischiose. Fu una delle prime volte in cui ci si trovò dinanzi a donne organizzate in formazioni militari, soldatesse professioniste, tanto che in città la notizia suscitò scalpore.

Il campo sipontino fu un posto in cui la gente veniva sorvegliata, custodita, anche se non con un regime particolarmente rigoroso, come si evince dai documenti conservati presso l’Archivio Storico di Foggia. L’unica restrizione di rilievo era che la sera chiudevano i camerini. A quanto risulta, inoltre, gli internati ebbero la possibilità di realizzare degli orticelli e c’era anche un campo di bocce, ma era vietato giocare a carte.

Alcuni dei prigionieri dopo essere stati nel campo di Manfredonia furono destinati ad Auschwitz, lì dove in maniera beffarda si accoglievano i nuovi arrivati con la scritta ‘il lavoro rende liberi’ e che invece a milioni non riassaporarono mai più la dolcezza della libertà morendo tra atroci sofferenze.

A rammentare l’esistenza di un campo di internamento vi è una targa apposta il 27 gennaio del 2013 dall’Amministrazione comunale, ma che oggi è purtroppo diventata nera ed illeggibile.

Per non dimenticare. A volte però la memoria gioca brutti scherzi e l’auspicio è che davvero non ci si dimentichi di quanto accaduto anche nella nostra città, affinché gli errori del passato non si ripetano mai più, perché diventare intolleranti e decidere che ‘l’altro’ possa essere un nemico semplicemente per via del colore della pelle, del credo politico, dell’etnia o della religione, è un attimo.

di Maria Teresa Valente

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Maria Teresa Valente

Giornalista pubblicista dal 2000 ed impiegata, esercita anche l’attività di mamma full time di due splendidi e vivacissimi bambini: Vanessa e Domenico. È nata e cresciuta a Manfredonia (FG), sulle rive dell’omonimo Golfo, nelle cui acque intinge quotidianamente la sua penna ed i suoi pensieri. Collabora con diverse testate ed ha diretto vari giornali di Capitanata, tra cui, per 10 anni, Manfredonia.net, il primo quotidiano on line del nord della Puglia. Laureata in Lettere Moderne con una tesi sull’immigrazione, ha conseguito un master in Comunicazione Politica ed è appassionata di storia. Per nove anni è stata responsabile dell’Ufficio di Gabinetto del Sindaco di Manfredonia. Ancora indecisa se un giorno vorrebbe rinascere nei panni di Oriana Fallaci o in quelli di Monica Bellucci, nel frattempo indossa con piacere i suoi comodissimi jeans, sorseggiando caffè nero bollente davanti alla tastiera, mentre scrive accompagnata dalla favolosa musica degli anni ‘70 e ‘80.

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