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Uno dei referendum del 12 giugno mette in pericolo le donne e la lotta contro il femminicidio

Il 12 giugno, in concomitanza con il primo turno delle elezioni comunali, gli elettori italiani sono chiamati alle urne per una consultazione popolare sulla giustizia voluta dalla Lega e dai Radicali. La consultazione presenterà ben cinque quesiti che, più o meno, andranno a riformare il rapporto dei cittadini con la giustizia. In particolar modo, i quesiti riguardano la giustizia penale e le regole organizzative della vita professionale dei magistrati. 

I primi tre si occupano di come sono eletti i magistrati nel CSM, come sono giudicati per gli avanzamenti di carriera e i ruoli che possono rivestire. Gli altri due, invece, si occupano della cancellazione della Legge Severino (che stabilisce limiti alle candidabilità di politici condannati per mafia, terrorismo o reati contro la pubblica amministrazione) e l’altro si occupa della limitazione dei casi in cui il magistrato può applicare, prima di una sentenza, la misura della custodia cautelare (detenzione in carcere o agli arresti domiciliari). 

Proprio su quest’ultimo quesito, il dibattito nei giorni scorsi si è acceso. Il settimanale “L’Essenziale”, curato e diretto dalla redazione di Internazionale, ha pubblicato una riflessione di Giulia Siviero (Giornalista de Il Post) che scrive: “Uno dei referendum mette in pericolo le donne”. Il tema, appunto, è quello che il sì alla modifica della custodia cautelare renderà difficile tutelare le vittime di violenza. 

Il quesito referendario modifica l’articolo 274 del Codice di procedura penale: elimina, dai casi previsti per l’applicazione delle misure cautelari, il pericolo di reiterazione dello stesso reato. La reiterazione del reato, però, nei casi di violenza sulle donne è quasi sistemica. Proprio la reiterazione del reato è la fattispecie a cui si fa riferimento quando si riesce a far applicare le misure cautelari. Abrogando la reiterazione, però, i casi per applicare le misure cautelari resterebbero il pericolo di fuga, quello di inquinamento della prove, delitti di criminalità organizzata o di gravi delitti. 

Paola Di Nicola Tavaglini, giudice della corte di cassazione, esperta di violenza di genere, conferma questa preoccupazione. “Prevedere l’abrogazione di quella parte della norma determinerà un vero e proprio pericolo per le donne vittime di violenza. Se il giudice non potrà più utilizzare il criterio della reiterazione, le misure cautelari non saranno quasi più applicabili e coloro che sono oggi in misura cautelare per pericolo di reiterazione saranno liberati. Potremmo dunque avere le migliori leggi del mondo di contrasto alla violenza di genere, ma si tratterà di leggi che interverranno troppo tardi: perché il rischio delle donne è nell’immediato e può essere arginato esclusivamente con le misure cautelari”. 

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