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Rosa, Giovanni, Tonio e tutti gli altri: all’Anna Rizzi la meglio gioventù di Manfredonia

Dentro le mura dell’ASP SMAR Anna Rizzi non ci sono semplicemente anziani: c’è un patrimonio di storia, racconti e tradizioni della nostra città d’inestimabile valore.

L’animatrice Isa Azzarone, che mi ha invitata per illustrarmi le attività della Casa di Riposo, mi fa accomodare e mi racconta di come sia importante far sì che il soggiorno dei loro ospiti possa essere il più possibile piacevole. Ecco dunque che per loro vengono organizzate feste, attività cognitive e ludico-ricreative, poi c’è il rosario pomeridiano e la messa della domenica con i padri camilliani. Ad aiutarli ci sono gli instancabili operatori e tantissime associazioni, e non mancano i volontari. “Dora e Anna – mi dice indicandomi due signore – vengono qui tutti i giorni da quando ho cominciato a lavorare 9 anni fa e dedicano il loro tempo ai nostri ospiti con amore e premura”. E tutti i giorni ci sono i parenti degli ospiti, che col tempo si affezionano così tanto agli anziani della casa che anche quando il loro caro abbandona questa vita, continuano a far visita agli altri.

Mentre mi parla, il suo sguardo di uno sfavillante ed intenso azzurro si divide tra me e gli anziani, che di continuo raggiunge per una carezza affettuosa o un sorriso rassicurante, per dire alla più vanitosa che a breve le metterà lo smalto e alla più timorosa che il dottore arriverà presto, per poi tornare a raccontarmi delle loro giornate. Mi spiega che li saluta quotidianamente raccontando cosa succede nel resto della città e commentando con loro le stagioni che scorrono e gli eventi salienti. Ad esempio, in questo periodo in cui si ritorna a scuola, gli ospiti emozionati ricordano quando ai loro tempi tornavano tra i banchi, ma non a settembre, bensì il primo ottobre.

“C’è una maestra che ha insegnato per 40 anni”, mi svela Isa. “E il suo ricordo più forte legato alla scuola è di quando prima ancora di approdare in un vero e proprio istituto era educatrice in un collegio, dove c’erano ragazzi orfani o abbandonati”. Isa mi racconta che lei si sentiva per loro come una mamma e loro la trattavano proprio come tale, chiedendole una carezza, un consiglio ed un conforto. Per lei erano i suoi bambini ed in quel collegio li accudiva giorno e notte, donando loro caramelle quando erano buoni e vegliandoli durante il sonno, attenta che le coperte non scivolassero giù dal letto lasciandoli infreddoliti. Lei, che il destino figli non ne ha mai dati, si sentiva responsabile di quei poveri fanciulli così giovani eppur già così tanto privati dalla vita del bene più grande: una mamma e un papà.

Isa mi racconta poi di Tonio, che ha iniziato come lattaio, ma era ambizioso, e seppur non aveva potuto continuare le scuole, aveva ben pensato d’imparare quanto più possibile frequentando persone colte. Finché un giorno andò a Napoli dove rimase affascinato da un orologiaio e da lui decise d’apprenderne i segreti. Tutti i giorni viaggiava da Manfredonia a Napoli, finché con caparbietà ed ingegno non imparò quel mestiere così bene che poté aprire a Manfredonia una bottega tutta sua e divenne il primo orologiaio della città.

La premurosa educatrice mi presenta ad un giovanotto ultranovantenne. Si chiama Giovanni e quando comincia a parlare è un fiume in piena, ma non c’è nulla di noioso o scontato in ciò che dice, poiché le sue parole sono intrise di vita, quella vera. “Mio padre era pescivendolo e mia madre sarta”, mi racconta. “Ho cominciato a lavorare a 12 anni perché a casa eravamo in 8 e con il mare non sempre mio padre poteva lavorare. Ho fatto il manovale del pesce e ho lavorato ininterrottamente per 67 anni”. È orgoglioso Giovanni quando mi svela il suo passato, ma gli occhi gli diventano lucidi quando mi racconta qualcosa di veramente straordinario: una sua sorella riuscì a laurearsi in sociologia (che già oltre 50 anni fa doveva essere qualcosa di eccezionale!) e divenne la prima donna capostazione, prendendo servizio a Roma Tiburtina, ma un brutto male se la portò via a soli 45 anni.

Poi c’è Domenico che da ragazzo emigrò in Germania dove lavorò come meccanico in una fabbrica. Ma nonostante avesse solo la quinta elementare, i suoi superiori gli affidavano incarichi importanti e delicati perché aveva “un ottimo cervello”. E Domenico è orgoglioso di averlo ‘tramandato’ a suo nipote, di cui più di una volta mi dice con orgoglio che è ingegnere aerospaziale e lavora in America da alcuni anni. “Anche lui ha un gran cervello”, mi dice con soddisfazione. Poi mi racconta un aneddoto simpatico, ovvero di quando da giovane andò a trovare Padre Pio a San Giovanni e mosso dalla sua insaziabile curiosità si rivolse a bruciapelo al futuro santo chiedendogli: “Hai fatto cose che valgono miliardi, perché vivi in questa cella piccolissima?”. E lui gli rispose semplicemente: “Questa è la mia vita”.

Ecco poi Antonio, che con passione colora decine e decine di disegni da donare ai bambini che, grazie ad insegnanti lungimiranti, partecipano ai progetti scolastici di scambio intergenerazionale e si recano all’Anna Rizzi a far visita agli anziani e a scoprire le loro storie. Antonio ha passato un’intera vita a cercare la sua mamma. Purtroppo è un desiderio che non è mai riuscito a realizzare ed i suoi occhi chiari tradiscono un dolore mai lenito, ma il suo amore oggi è tutto in quei disegni e nella gioia di poterli donare a quei bimbi che al loro arrivo illuminano l’Anna Rizzi e i volti dei loro ospiti.

E mentre sto per andare via, mi avvicino ad una graziosa signora che mi scruta con attenzione dietro i suoi occhiali spessi. “Mi chiamo Rosa e ho 83 anni”, mi dice mentre mi stringe la mano. Ma la compagna accanto a lei, che sembrava in tutt’altre faccende affaccendata, la riprende immediatamente: “Hai 95 anni, non 83”. Ah, le donne! Poi mi racconta: “Sono stata insegnante, figlia e nipote d’insegnanti. Ho lavorato in un collegio dove c’erano i miei bambini. Io ero per loro come una mamma…”. I miei occhi si riempiono di lacrime.

Quando lascio la casa di riposo mi sento stranamente più ricca. È come se avessi aperto uno scrigno e trovato un tesoro. Un’esperienza che invito a fare, perché non c’è niente di più bello che ascoltare storie di vita, quella vera.

Maria Teresa Valente

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