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La dolce cucina di un sognatore, Marco Cassatella: la rivoluzione inizia dal cibo. L’intervista di ManfreChef

Questa volta è toccata ad un nostro amico nonché ex compagno di Liceo, attivista e pasticcere, dottore in Scienze Gastronomiche all’università degli studi di Foggia, Marco Cassatella, che ha deciso di costruirsi un futuro a Manfredonia. 

Ecco come ha risposto Marco alle domande che gli abbiamo rivolto:

D: Come mai hai scelto di fare proprio questo lavoro?

M: Ciao ragazze, grazie innanzitutto a voi per avermi ospitato sul vostro canale. Sono cresciuto con una madre che non sapeva cucinare. Questo mi ha portato per necessità ad imparare da solo. Ho iniziato facendo la pasta insieme alle mie nonne che avevano il peso e l’importanza di cucinare per la famiglia, io invece mi ritagliavo il tempo di fare un dolce.  Il pasto principale deve sfamare, il dolce invece no, è qualcosa che deve soddisfare la libido. Il fatto di avere questa autonomia mi ha fatto amare quello che facevo, impastare o comunque fare dei pasticci, perché avendo iniziato da piccolo, facevo delle cose molto imbarazzanti. Poi pian piano mi dava sempre più soddisfazioni, anche semplicemente l’idea di poter realizzare qualcosa di buono. Da piccolo era un gioco fantastico. Adesso ho deciso di fare questo perché mi rende felice. Ho fatto della mia passione la mia professione.

D: Qual è la cosa che più ti piace e più ti soddisfa del tuo lavoro?

M: l’idea di poter creare qualcosa con le proprie mani e confrontarlo con quello che avevo pensato, immaginato, è qualcosa che mi da molte soddisfazioni. Credo che attraverso il cibo si possa “scavare” nell’animo umano, si riesca in qualche modo a comunicare delle cose. Il cibo non è come un quadro che resta di fermo, il cibo ti entra visceralmente, entra a far parte del tuo metabolismo e questa cosa per me è stupefacente.

D: D’altra parte, come diceva Feuerbach, l’uomo è ciò che mangia. Marco, come mai hai deciso di rimanere a Manfredonia? Ma soprattutto quanto è difficile restare qui piuttosto che decidere di crearsi una posizione lavorativa fuori?

M: La mia intenzione è quella di provare a costruirmi un futuro qui. Però ho intenzione di spostarmi per formarmi professionalmente. Farò un’accademia di pasticceria a Brescia. Il mio mestiere ha bisogno di molta pratica.  Ho vissuto qui fino ad adesso e fare questo mestiere dall’età di 16 anni è stata una scelta decisa: lavorare qui significa accettare anche soldi a nero, oppure lavorare più delle ore pattuite dal contratto, significa accettare delle condizioni scomode. 

Io ho anche studiato qui; fare una facoltà come Scienze gastronomiche nel mio territorio, studiare i prodotti con cui sono cresciuto, ha avuto sicuramente una valenza maggiore. La mia pasticceria in futuro sarà inevitabilmente legata ai primi ricordi di dolci, dolci fatti in casa con le mie nonne. 

D: Poc’anzi hai detto che la pratica nel tuo lavoro è fondamentale, ma quanto è stato importante per te il percorso accademico? 

M: I ragazzi e le ragazze che scelgono di fare questo mestiere molto spesso preferiscono non seguire un percorso accademico perché nel mio mestiere le conoscenze pratiche sono preponderanti, ma allo stesso tempo il percorso formativo mi ha permesso di acquisire un bagaglio culturale molto ampio che tiene conto anche di materie che riguardano la chimica degli alimenti. I gusti cambiano e quello che mangiavamo ieri non lo mangiamo oggi ed è importante in qualche modo conoscere come gli ingredienti si leghino fra di loro, è importante anche conoscere quello che è stato il passato.

D: Tu non sei molto social. Come mai deciso di non aprire una pagina instagram che per il lavoro che fai potrebbe esserti di grande aiuto?

M: Rispetto ai nuovi strumenti multimediali di massa ho sempre difficoltà ad approcciarmi, è anche una scelta “politica” la mia. Riguardo al cibo, penso che a volte semplicemente sentir parlare di cibo senza vederlo crea ancora più quel del desiderio e risulta essere più accattivante rispetto a qualcosa che viene continuamente mostrato e spiattellato. Vorrei che si creasse un archetipo, come il cibo diventasse un oggetto di desiderio.

D: Ti va di parlarci dell’insostenibilità del cibo di oggi rispetto a quello tradizionale?

M: Prima di rispondere alla domanda vorrei fare chiarezza sul concetto di tradizionale: non sempre il sistema di produzione passato era nobile dal punto di vista della sostenibilità ambientale, anzi quasi per provocarvi direi che forse c’è un’inversione di tendenza, adesso, rispetto a ieri. Noi qui a Manfredonia avevamo il petrolchimico ANIC che produceva prodotti di sintesi per l’agricoltura, il settore da cui derivano i prodotti con cui anch’io lavoro: ad esempio il grano, la frutta… o ancora a causa dell’esplosione del 1976 sono stati abbattuti diversi capi di bestiame, dai quali venivano prodotti: ricotta, formaggi e latte, con i quali io lavoro. Il passato non è sempre meglio del futuro.

Se invece pensiamo ad un’economia molto più primitiva, non c’erano forme di industrializzazione e c’era un impatto ambientale molto meno invasivo rispetto ad oggi. Sicuramente oggi il tema della sostenibilità ambientale viene trattato; il 2019 è stato segnato dal grande movimento di Fridays for Future che ha, forse per la prima volta, messo davanti agli occhi di tutti qual è la realtà che molto spesso non voleva essere vista, e la realtà è un pianeta che rischia continue epidemie e devastazioni ambientali, e molto spesso queste devastazioni sono anche legate al cibo. Per me il tema della sostenibilità ambientale dovrà essere una chiave attraverso la quale immaginarsi anche il cibo di domani.

D: Quale messaggio vorresti lasciare i nostri coetanei, e quanto è importante che i giovani riscoprano quelle che sono le loro radici e tradizioni?

M: Il messaggio che voglio lasciare ai nostri coetanei è quello di cercare di costruirsi una formazione sempre più approfondita del presente perché la nostra generazione è quella che si è vista consegnare un mondo che è destinato a continue situazioni di instabilità, di crisi geopolitiche. Noi giovani siamo visti dalle generazioni passate come quelli che non vogliono lavorare. Il mondo che hanno vissuto i nostri genitori era un mondo dove c’era molta più accessibilità al lavoro, un mondo in cui l’ambiente è stato devastato. Oggi noi ci troviamo questa grande sfida davanti, quella di immaginarci un mondo migliore, ma anche ricostruirlo. Bisogna informarsi su come cambiare. La mia scelta è stata quella di rimanere qui è anche stata dettata dal fatto che io sono impegnato politicamente, però mi rendo conto che cambiare le cose in maniera stabile si può fare solo se si interviene sul posto.

Per me il cibo ha senso se è qui e se viene fatto qui, con il linguaggio e per me è fin da piccolo è stato quello del cibo, quindi un linguaggio fatto di cartellate, calzoncelli, mostaccioli e farrate, cioè dei prodotti che ti fanno sentire a casa. Ma ciò non significa che ciò si debba fare per forza a Manfredonia, si può fare anche fuori! Si può mangiare una farrata o fare una farrata fuori per provare a sentire quei sapori che abbiamo sentito qui per la prima volta e avere questo senso di casa, di essere “nel posto giusto” anche attraverso un morso a una farrata.

Se ci chiedessero di descrivere in tre parole Marco e il suo amore per la pasticceria, noi che lo conosciamo da più di dieci anni, diremmo: spirito di sacrificio, umiltà e passione, oltre che talento naturalmente. Marco ha tenuto brillantemente testa a tutti quelli che sono gli obiettivi del nostro canale. Lo ringraziamo per questa piacevolissima chiacchierata e gli auguriamo un grande in bocca al lupo per i suoi progetti futuri.

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Redazione

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