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“Era sbronza, ha lasciato la porta socchiusa: un invito a osare”: assolto presunto stupratore

La sentenza, dopo giorni, fa ancora parlare. La Corte d’appello di Torino nei giorni scorsi ha ribaltato una condanna a 2 anni e 2 mesi per violenza sessuale. I fatti risalgono al 2019, ma la sentenza del gup è del 2021: primo grado, con rito abbreviato. Oggi, però, la sentenza ha ribaltato tutto con delle motivazioni abbastanza stravaganti. La storia, come detto, si svolge nel 2019. I due si conoscono da cinque anni, si sono baciati occasionalmente, ma lei ha chiarito che si trattava di qualcosa che non aveva nessuna serietà sentimentale. Dopo alcuni bicchieri, la ragazza va in bagno in un locale, lascia la porta socchiusa e chiede al ragazzo di porgerle dei fazzoletti. 

È a quel punto che la storia si complica. Il ragazzo entra, tappa la bocca di lei con una mano e le sfila i pantaloni strappandone la cerniera. Per il gup, ovviamente, è violenza sessuale, ma non per la corte d’appello che ha scritto che si “trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da far insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire”. Un invito a osare, dunque, secondo la corte d’appello. Non una violenza sessuale o, meglio, un intromissione in un momento privato e intimo, poiché “non si può affatto escludere che al ragazzo la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendo sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa”, hanno scritto i giudici Piera Caprioglio, Giacomo Marson e Marco Lombardo. 

La Procura Generale ha fatto ricorso in Cassazione, chiedendo l’annullamento della pronuncia. Secondo il ricorso firmato dal sostituto procuratore generale Nicoletta Quaglino, la sentenza è “contraddittoria e illogica, rispetto alle risultanze processuali. La Corte dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale”. Continua: “Illogica appare la sentenza quando esclude la sussistenza del dissenso, sia perché tale dissenso risulta manifestato con parole e gesti, sia perché nessun comportamento precedente può aver indotto l’agente in errore sulla eventuale sussistenza di un presunto consenso”. 

Il dissenso c’è stato, come ribadisce la procura generale. La ventenne, nelle prime deposizioni, confessò: “Ho ripetuto più volte a lui: che cazzo stai facendo? Che cazzo stai facendo? Non voglio!”

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