Attualità Capitanata

Sandro Pertini, prigioniero nel campo d’internamento a Manfredonia

QUANDO arrivò lui, il paese portava l’ombra del campo d’internamento senza cielo, Manfredonia dava di piscio e di vento, sopportava con fatica a digerire gli avanzi di piombo. Gli angeli sui pali elettrici della ferrovia guardavano il treno che andava lungo il binario sesto tronco sud,lento macinava il macchinoso motore,con vecchi vagoni messi uno in fila all’altro e serpeggiava di fronte all’alba della guerra.
Fermati di colpo i puzzolenti vagoni di colore rosso e marrone da una frenata strida da far sobbalzare il gruppo dei deportati contro i pezzi di metallo e legno degli scomparti.

Scesi a due, tre alla volta, era ottobre del 1940, con dei vestiti in maniera molto dimessa con grossi fagotti sulle spalle ,vennero trasportati nel centro del campo di concentramento del macello Comunale, conosciuto meglio come la zona del “Tratturo del Carmine” strada per Siponto. La struttura era fresca di costruzione appena nata come macello paesano.. ma intervenuti i fascisti su comando dei tedeschi col preciso ordine di appropriarsi della grande e spaziosa palazzina con cortile, già adibita a lager, con cucine, camerate, finestre con cancellate chiuse in modo particolare da dei lucchetti.

Il posto era pieno di ebrei e sloveni compresi gli italiani ,tra i prigionieri c’erano vari personaggi di spicco. Ma quello di cui ricordava e parlava papà era Sandro Pertini, il ligure partigiano nato a San Giovanni di Stellain provincia di Savona classe 1896, dal carattere caparbio, tenace e forte, poi in seguito pare venne trasferito alle Isole Tremiti. La durata di questo internamento durò fino al 1943. Ricorda il babbo che gli stanzoni contenevano circa 300 internati, in quel campo di dimensioni modeste rispetto ad altri campi più grandi e mostruosamente brutali. Quando chiusero quell’internamento dopo la guerra, il macello Comunale riprese la sua vera origine, ma le strutture rimasero uguali a come i tedeschi l’avevano trasformata.

Ancora oggi ha quell’aspetto d’internamento tedesco e di inquietudine dal salto dalla vita che viaggia nell’orripilante bruttura dell’essere uomo condannato da uomo senza alcuna forma di parvenza all’esistenza di essere umano, ma solo il libero e potente pensiero che lasciò il Pertini, uomo di grande speranza sempre pronto con i sui detti di coraggio a resistere a quella forma di apparente vita di  soppiatto.

di Claudio Castriotta

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Redazione

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