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Manfredonia, “Pareva un Natale di seconda scelta”

Dedico questo scritto a tutti i miei paesani per le imminenti festività di Natale.”

Manfredonia – PAREVA un Natale di seconda scelta, quello di un piccola casetta, lungo il confine del Molo dove i capitoni si muovevano nella vasca del pescivendolo e il mare schizzava la banchina di fronte la casa del Faro; casa dove io al piano di sopra dalla finestra mi affacciavo sul Golfo, sospeso nell’immenso panorama. Il vento si avvicinava col fumo alla bocca mentre entrava alla porta del Porto col suo clima grigio natalizio che attendeva la Vigilia.

Avevo un libro, che nel mio cuore è rimasto un testo di aneddoti di un documento importante . Un Natale di Terza era quella di un barbone che viveva come un cane, mezzo zoppo sudicio, seduto sulla fontana di piazza Marconi con gli occhi rivolti ai passanti che con mezzi sorrisi lo chiamavano: Sciamprignone , oggi non canti la canzone di Angiolina che porti in petto. Lui – con il bisogno di essere compreso – abbassava il capo triste in quel giorno che doveva essere di tutti ma non lo sarebbe stato per Matteo. Mentre la quarta festa rifletteva il mare che adagio faceva suonare le sue onde contro un muro grigio, che da spettatore guardava la nascita di un angelo sipontino, sotto la carezza di una nuvola, coperto da una vela gialla di una barca attraccata, per quella commozione della festività ch’era giunta al cielo, sparsa di una sensazione che dava calore alle case scaldando così gli occhi delle persone,e portava un po’ di serenità a chi era preoccupato nel suo cammino, lo si inebriava dell’atmosfera unica al mondo.

Nella quinta festa mangiavo un biscotto freddo di mostarda, mentre il babbo che beveva vino – accompagnato da un pane morbido con il baccalà – diceva: Quanto mi garba tutto questo,mi da una gioia da scuotermi il corpo. La sesta saliva via Ospedale Orsini, insieme ad una signora molto ricca,ma avara da far spostare le nuvole di un cielo esemplare, in un pomeriggio freddo e profumato di vento marino. La chiamavano Ninnella, ed era sempre dietro le porte delle sue case che gestiva in affitto per le mani dell’avere, ma con una mente da perdere la realtà, attraverso il fumo bianco della Cattedrale. Era sola. Molto.

La settima era quella della cenere di vecchi padroni andati nei fuochi sotterranei, trattati con reverenza dagli inferi della loro vita precedente, lungo i binari di una ferrovia che andava oltre la penitenza, masticando atti del perdono al colore delle luci Manfredoniane ,che si preparava Santa Maria,che elemosinava per il paese che profumava di sugo di pesce, che io vedevo passare col cingolo bianco sulla pancia un po’ prominente con la sua camminata stanca, con gli occhi alzati nella via di una luce buia, mentre ritornava dalla questua.

Di Claudio Castriotta 

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Redazione

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