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Con i coriandoli nelle vene: omaggio a Gigetto Prato (prima parte)

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Amava dire di avere i coriandoli che gli scorrevano nelle vene e mai metafora è stata più ‘azzeccata’ per descrivere una persona il cui nome è indissolubilmente legato al carnevale di Manfredonia. Quella persona è Gigetto Prato, nato a San Severo l’11 giugno del 1946 da Severino e Rosetta Capurso, ma sipontino doc come pochi.

Gigetto Prato, infatti, pur essendo manfredoniano solo da parte di madre e nonostante fosse venuto a vivere in riva al golfo già adolescente, era così perdutamente innamorato di Manfredonia, del suo mare e della sua storia che con il suo estro creativo e la sua esuberanza riuscì a riportare in auge eventi polverosi e addirittura a creare nuove tradizioni, ridando linfa ad una manifestazione amatissima quale è il carnevale.

Se è vero che buon sangue non mente, Gigetto vantava parenti di tutto rispetto: suo nonno Nicolino Capurso, commerciante ortofrutticolo, durante il periodo carnascialesco indossava il costume da pagliaccio, la maschera sipontina più in voga nei primi del Novecento, e saltellando a destra e a manca, con i bastoni nascosti nei pantaloni larghissimi, diventava un tormento per amici e conoscenti, scatenando l’ilarità della gente; sua zia, Tinella (all’anagrafe Elisabetta) Capurso, costretta da bambina a lunghi ricoveri in ospedale per dei problemi di salute, inventò in quegli interminabili momenti ciò che poi è divenuto il leit motiv del carnevale sipontino: creare con materiale povero o inutilizzato abiti e decorazioni, dando vita con genialità a veri e propri capolavori.

La storia narra che dopo la seconda guerra mondiale il carnevale in Capitanata era una tradizione in stile kermesse soprattutto a Foggia, dove al Teatro Umberto Giordano si tenevano veglioni e concorsi a premi per le maschere più belle. A Manfredonia andavano per la maggiore i balli per casa nelle cosiddette socie, con gruppi di giovani che giravano mascherati per la città in maniera spontanea. Poi, nel 1951, ‘zia Tinella’, divenuta un’abile sorta, portò a Foggia il piccolo Gigetto con un travestimento che lasciò tutti stupefatti ed incantati, stravincendo al concorso: il gatto con gli stivali. Nel 1953 iscrisse Gigetto, la cuginetta Rita Palumbo ed un loro amichetto, Nino Brigida, vestendoli da tre porcellini. Gli abiti originali ed i dettagli curati alla perfezione fruttarono al fantastico trio il podio e fu così per gli anni successivi. Tanta era la maestria di Tinella e la fama che aveva raggiunto con i suoi abiti carnascialeschi, che ad un certo punto, i veglioni in maschera da Foggia si spostarono a Manfredonia.

Intanto il piccolo Gigetto divenne il modello preferito per la creativa e geniale zia ed ogni anno, già subito dopo il Natale, la mamma lo portava da San Severo a Manfredonia per prepararlo a vestire i panni di un nuovo personaggio per una nuova spumeggiante avventura carnascialesca, tra coriandoli, maschere e trombette. E quei coriandoli, anno dopo anno, s’insinuarono tra le pieghe dei vestiti e soprattutto nell’anima di Gigetto, plasmandogli l’indole.

Quando con la famiglia si trasferì a Manfredonia, il carnevale era ormai per Gigetto uno stile di vita: in ogni periodo dell’anno poteva giungere l’ispirazione giusta per il personaggio da impersonare e ogni oggetto abbandonato poteva essere riutilizzato e tornare a nuova vita. Il clou era a Natale, quando scartando i regali si mettevano da parte decorazioni e carta da pacchi per trasformarli in abiti e lustrini qualche settimana dopo.
Di veglione in veglione, in riva al Golfo si andava accendendo tra i sipontini l’amore e la passione per il carnevale.

Nel 1956 ci fu la prima sfilata con gruppi organizzati, grazie alla nascita del Comitato del Carnevale che si assunse l’onore e l’onere di coordinare i festeggiamenti per il cafone venuto dalla campagna, Ze’ Peppe, morto di polmonite dopo tre giorni di bagordi. Fu quello anche il primo anno dei carri in cartapesta, una tradizione nata ‘per caso’. Poiché alla sfilata parteciparono le scuole e all’epoca presso il Liceo Scientifico era insegnante d’arte Tommaso Adabbo, un formidabile artista, questi pensò di affiancare ai gruppi dei ragazzi dei manufatti creati artigianalmente con un materiale economico qual era la carta. Adabbo insegnò anche ai colleghi e agli studenti degli altri istituti a lavorare la cartapesta e il risultato fu sorprendente.

Il dado era tratto: in riva al Golfo erano nati i carri allegorici. In quel primo anno il Liceo Scientifico stupì tutti con il carro di Satanello, maschera tipica manfredoniana dei primi del Novecento ormai dimenticata. Le sfilate di carri e di gruppi organizzati dalle scuole si susseguirono in una tradizione che si andò consolidando facendo di Manfredonia il perno del carnevale in Capitanata, con turisti che arrivavano dai paesi limitrofi e persino dalla vicina Campania.

…CONTINUA…

Maria Teresa Valente

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