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Vivere per lavorare o lavorare per vivere? Gli Italiani scelgono la “settimana breve”

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Vivere per lavorare o lavorare per vivere? In Italia non ci sono dubbi. Secondo quanto emerge da un recente sondaggio di Assirim per Confindustria Intellect, il 55% degli Italiani sembrerebbero apprezzare la “settimana breve”. Sarebbero disposti a guadagnare meno per avere un giorno di riposo in più. I più convinti sono i giovani tra i 25 e i 34 anni, il 62% dei quali crede che la “settimana breve” consentirebbe maggior riposo e più tempo da dedicare ai propri hobbies. Dopo la pandemia il mondo del lavoro ha subito un’importante trasformazione. I lavoratori sono sempre più indirizzati verso modelli e orari lavorativi più flessibili per garantirsi un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata. Lo smart working viene dato quasi per assodato dalle fasce più giovani e lo stress, dopo la scarsa retribuzione e la conseguente insoddisfazione personale, è il principale motivo del “Great resignation“.

I due modelli della settimana breve

Il primo modello consiste nella riduzione delle giornate di lavoro che da 5 diventano 4, accompagnate da una contrazione dell’orario di lavoro a parità d salario. Quindi 32 ore su 4 giorni piuttosto che 40 su 5. Il secondo modello prevede un allungamento dell’orario di lavoro giornaliero nei quattro giorni, sempre a parità di salario. È quanto ha fatto il Belgio lo scorso anno: 38 ore di lavoro settimanale sono spalmate su quattro giorni invece di cinque, per un totale di 10 ore al giorno anziché 8.

Benefici della settimana breve: i dati statistici di un esperimento a Valencia

Negli ultimi anni Paesi di tutto il mondo stanno sperimentando questo nuovo modello lavorativo. Oltre al Belgio, il Regno Unito, la Spagna, la Scozia, il Portogallo e la Nuova Zelanda. Recentemente sono stati pubblicati i risultati relativa ad una piccola sperimentazione di “settimana breve” svolta a Valencia durante la scorsa primavera, che ha coinvolto 360.000 lavoratori per un mese. Il livello di stress è calato del 35% e il 64% dei lavoratori ha avuto modo di dormire più ore. Il 37% ha dichiarato di aver aumentato l’attività fisica, il 46% il tempo di dedicato alla lettura e il 70% di aver trascorso più tempo con gli amici. Non solo, a ricavarne benefici dalla “settimana breve”, è anche l’ambiente: il traffico è notevolmente ridotto e di conseguenza anche l’inquinamento atmosferico.

In ultima analisi, la “settimana breve” condurrebbe anche ad un’economia più resiliente e sostenibile. Ma aumenterebbe davvero la produttività individuale? E soprattutto un Paese come il nostro sarebbe davvero pronto?

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Lucia Pia Caputo

Classe ‘98, pugliese di origini ma emiliana di adozione. Laureata in Lettere, specializzanda in Filologia, Letteratura e tradizione classica. Innamorata della paleografia Latina. Aspirante docente e food e content creator. Ho esperienze pregresse nel mondo dell’editoria. Nel tempo libero organizzo e modero eventi. Da sempre appassionata di giornalismo e comunicazione. Scrivo per liberarmi del superfluo.

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