Quindicina
Quindicina
a cura del Prof. Pasquale Ognissanti (Archivio Storico Sipontino – Manfredonia)
La quindicina (cioè 15 giorni, ma in effetti 12, in quanto se ne partiva il sabato per ritornare in campagna il lunedì successivo) era il periodo di tempo che il “cafone” di Puglia restava in campagna a lavorare; egli, naturalmente, provvedeva a munirsi del ricambio intimo e delle provviste alimentari (pane, pasta, sale, olio, legumi, specie fave) utilizzando quando poteva i prodotti naturali che il terreno stesso gli offriva (per lo più erbe selvatiche, cardi) od anche il piccolo orto, (con il permesso del padrone) che egli coltivata presso il pozzo e la cisterna (patate, pomodori, cipolle carote, ecc.).
A fine quindicina si facevano i conti e si riceveva il relativo salario od acconto mensile.
Non mancava qualche motteggio tra il cafone ed il padrone, specie sulla alimentazione, come:
Bbejéte a ttè cafone
ca te mange péne e cardone.
Bbejéte a ttè padrone,
ca ta mange péne e prevelone
Beato te cafone/ che ti mangi pane e cardo./ Beato te padrone che yi mangi pane e provolone.
Ce péje a quinnecine
Si paga ogni quindicina di giorni
O avute a quinnecine
Ha avuto (riscosso) la quindicina (metà mensilità)(1792)
Ogne quinnecine
ce fanne i cunde
Ogni quindicina/ si fanno i conti
Ò seggjute a quinnecine
Ha riscosso la quindicina (variante)
Stéme aspettanne a quinnecine
Stiamo aspettando la quindicina (la retribuzione)