Peppe Vessicchio: un’istituzione che ha lasciato il segno
Un omaggio al maestro Peppe Vessicchio attraverso le parole di Carlo Conti: «Con la sua immagine era diventato un’istituzione».

In un pomeriggio che ha gelato il mondo della musica italiana, è calato il sipario su una figura che non era soltanto direttore d’orchestra, ma un volto familiare, una presenza rassicurante, un segno distintivo di un’epoca televisiva e musicale. Il maestro Peppe Vessicchio ci ha lasciati oggi 8 novembre 2025, all’età di 69 anni, a causa di una polmonite interstiziale aggravatasi. Tra i tanti messaggi di cordoglio, le parole di Carlo Conti a FanPage risuonano con una forza particolare: «Con il maestro Vessicchio se ne va un altro grande protagonista del Festival di Sanremo e della musica italiana in generale. […] Con il suo carattere, la sua immagine, il suo carisma e la sua professionalità. Con tutto questo lui era diventato un’istituzione». Conti ha aggiunto: «Dobbiamo essere grati del grande contributo che Vessicchio ha dato alla musica italiana e al successo di tanti artisti».
Un profilo di eleganza e popolarità
Pensare a Peppe Vessicchio significa evocare la bacchetta alzata, lo sguardo attento verso l’orchestra, poi quel mezzo sorriso che sembrava dire: «Andiamo». Figlio di Napoli, nato il 17 marzo 1956, ha intrecciato una carriera fra studio, arrangiamento, musica leggera, e televisione: la sua firma è presente in decine di festival, produzioni, momenti iconici. È stato volto simbolo del Festival di Sanremo, dove la sua presenza voleva dire qualità, savoir-faire, un’eleganza discreta.
La sua partecipazione come direttore d’orchestra – e spesso come arrangiatore – ha contribuito alla vittoria di brani celebri e all’affermazione di nuovi talenti. Ma non solo. Vessicchio è stato anche un uomo di televisione e di educazione musicale, pur mantenendo un atteggiamento umile e bonario. Un ponte fra la musica “seria” e quella leggera, fra il palco dell’Ariston e il pubblico delle case. Era capace di comunicare con chiarezza, ironia, simpatia. Un’enorme qualità: la capacità di farsi capire da molti, senza perdere profondità.
Perché “era diventato un’istituzione”
Il termine scelto da Carlo Conti — “istituzione” — non è casuale. Evoca qualcosa che va oltre l’individuo, oltre la carriera. Rimanda a una presenza tanto radicata da diventare parte del linguaggio comune: “A dirigere l’orchestra il maestro Peppe Vessicchio”. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Quante volte, con quel nome, si accendeva la magia della serata televisiva o musicale? L’istituzione non è rigida, ma costante: la sua professionalità, il suo carisma, la sua immagine sobria ma indimenticabile — barba, sorriso, sguardo gioviale — tutto questo ha costruito un’identità che gli italiani hanno riconosciuto e amato.
Diventare un’istituzione significa incarnare un modello, un riferimento, un simbolo oltre la moda del momento. Conti ricorda anche gli il passato professionale con il maestro: «Per alcuni anni ho avuto il privilegio di condividere con lui le scelte musicali anche per lo Zecchino d’Oro e proprio in quell’occasione ho toccato con mano… la sua grande competenza». Qui si coglie anche l’umiltà dell’artista: non soltanto protagonista sul palco, ma dietro le quinte, con attenzione, dedizione e sguardo lungo.
Il vuoto e il tributo
Con la sua scomparsa, si spegne non solo una carriera, ma una presenza che faceva da rinforzo al racconto collettivo: della musica, del festival, della televisione italiana. Il vuoto che lascia è tangibile e non può essere semplicemente riempito. Come ha sintetizzato Conti: «Dobbiamo essere grati per il suo contributo…». È un invito a ricordare, a valorizzare, a portare avanti quel che lui ha costruito.
E tra gli oltre 40 anni di attività, c’è stato anche un sguardo ai giovani, alla formazione, alla divulgazione. Una volta disse: «Avere avuto a che fare col cabaret e col teatro … quando ho avuto a che fare col pubblico non avevo più solo la musica da rappresentare ma anche la percezione di chi mi stava guardando». Questo connubio fra rigore e accessibilità era una chiave della sua professionalità.
Un ricordo particolare
Nel ripensare a Vessicchio è impossibile non provare una dolce commozione: non era un gigante dell’epicità, bensì un signore della misura, elegante e umano. In un periodo in cui spesso la spettacolarità sovrasta la sostanza, il suo volto sobrio e affabile ci ricordava che la musica, prima ancora che rumore e luci, è ascolto, presenza, disciplina. E in un piccolo teatro televisivo o in una sala di concerto, era capace di farlo sentire.
Vessicchio ha saputo dare dignità alla musica leggera, trasformandola in occasione di riscatto culturale, in passione condivisa e non solo in intrattenimento. La parola “istituzione” va letta in questo senso: istituzione come custode di un tempo, come riferimento per generazioni, come esempio di stile e di cuore.
È un invito anche per noi, spettatori e appassionati, a non dimenticare che dietro l’immagine sorridente del maestro c’era un lavoro quotidiano, una preparazione meticolosa, una dedizione senza clamore e che tutto ciò ha contribuito a rendere tante serate televisive e concerti “speciali”.
In sostanza, Peppe Vessicchio ha reso la nostra musica un poco più umana, un poco più vicina. E in questo senso, sì: dobbiamo essergli grati.
