Storia

Matteo Gatta e l’emozionante arte dei Maestri d’Ascia a Manfredonia

Ognuno di noi ha il proprio destino scritto nel grande libro della vita. E per Matteo Gatta, sipontino doc classe 1934, un bel giorno le pagine di questo libro vennero mandate alla rinfusa da un temporale. Eh già, perché Matteo, appartenente ad una famiglia di pescatori, stava imparando lo stesso mestiere del papà, quando una notte imperversò un furioso temporale mentre era in mare aperto che mandò in subbuglio il cuore della madre. Matteo aveva circa 12 anni e la sua mamma non aveva nessuna voglia di passare con il figlio ciò che già viveva col marito: giorni e giorni divorata dalla preoccupazione, col bello e col cattivo tempo, in attesa di vedere rientrare all’orizzonte il peschereccio con il suo carico di pesce, ma anche soprattutto con quello umano che si sperava sempre di poter riavere sano e salvo.

Se non doveva seguire le orme del padre, cosa poteva fare allora quel bambino vispo e curioso? La mamma di Matteo pensò di mandarlo da un suo parente a fare qualche lavoretto, in attesa di avere le idee più chiare. Quel parente si chiamava Teodoro Fortunato ed è uno dei più importanti maestri d’ascia che la città di Manfredonia possa ricordare.

Matteo cominciò ad affacciarsi alla bottega artigianale del papà di Teodoro, Antonio Fortunato, di fronte a Largo Diomede, facendo piccole cose: accendeva il fuoco all’alba e preparava gli attrezzi per chi doveva costruire o riparare le barche, poi cominciò a raccogliere la segatura e a raddrizzare i chiodi caduti a terra che ancora si potevano riutilizzare; intanto, guarda oggi e guarda domani, piano piano si ritrovò a calafatare gli scafi, ovvero a renderli impermeabili inserendo tra le tavole fasciami di canapa e pece per resistere al mare e al tempo.

Quel mondo marinaresco così simile a quello in cui era nato eppure così diverso e affascinante conquistò Matteo, che giorno dopo giorno imparò a carpire prima dallo zio e poi dal cugino Teodoro i vari trucchi e segreti per costruire imbarcazioni piccole e anche grandi. Ed a proposito del passaggio di consegne di padre in figlio, Matteo ricorda ancora con un po’ di rimorso il giorno dell’ammutinamento nella ‘baracca’ Fortunato, quando i vari dipendenti, d’accordo con Teodoro, di cui avevano intuito l’incredibile bravura, all’arrivo del ‘padrone’ si rifiutarono di accendere il fuoco e preparare gli attrezzi, cosa che invece fecero appena arrivò suo figlio. Matteo con gli occhi lucidi ammette di non aver mai dimenticato il volto sorpreso dello zio Antonio, che si girò e andò via, rifiutandosi di tornare lì per anni.

Non fu semplice, ma il tempo diede ragione agli ammutinati, che grazie a Teodoro Fortunato da una baracca si ritrovarono a lavorare in un vero e proprio cantiere, che divenne un fiore all’occhiello in città. Il cantiere Fortunato fu il primo cantiere navale di Manfredonia a creare uno scalo di alaggio e nel 1957 fu il primo cantiere ad acquistare i macchinari (in via Zara a Milano). Durante gli anni ‘60, ‘70 e ‘80 furono realizzate qui decine e decine di imbarcazioni di grosso tonnellaggio che hanno reso importante la nostra flotta contribuendo allo sviluppo economico della città.

“Teodoro fece una barca nuova per mio padre – racconta Matteo – dandole una forma a prua più arrotondata. Da allora tutti noi in famiglia venimmo soprannominati ‘mandolino’”. Da quel momento, occorre precisare, anche tutte le altre imbarcazioni di Manfredonia, squadrate in maniera identica a poppa e a prua, presero quella nuova rivoluzionaria forma a ‘mandolino’ che oggi ci è tanto familiare.

“Si lavorava tutto a mano”, racconta Matteo Gatta. E sembra di vederle quelle mani sapienti che in tempi ormai lontani sotto il sole o punte dal freddo invernale davano forma alle imbarcazioni, piegando con maestria vicino ad un fuoco vivacissimo semplici assi di legno.

Matteo, che non era figlio d’arte come solitamente accadeva, divenne così bravo da riuscire a meritare il titolo di maestro d’ascia nel 1972, sostenendo un esame presso la Capitaneria di porto. Oltre a Matteo Gatta dal cantiere Fortunato vennero abilitati altri noti maestri d’ascia, tra cui il figlio Antonio Fortunato, Nicola Guerra (poi titolare in società del cantiere Guerra – Castigliego), Antonio Trigiani (nipote di Teodoro) e Antonino Berardinetti. Cosa significa essere maestro d’ascia? Avere una profonda conoscenza dei vari tipi di legname e saperlo sagomare, cosa che un tempo veniva effettuata con un attrezzo chiamato ascia, oggi sostituita da pialle e fresatrici. Ma essere un maestro d’ascia significa essere anche progettista, ingegnere, carpentiere, falegname e persino artista.

Un mestiere ormai quasi scomparso, ma che resiste negli occhi e nei cuori di coloro che a Manfredonia hanno vissuto fino agli anni ‘80 un’epoca meravigliosa, quando si realizzava una imbarcazione ogni 10 giorni e in un anno si riuscirono a costruire persino tre grossi motopescherecci, facendo diventare famosa la nostra città anche oltre i confini regionali per le sue eccellenze nella cantieristica navale con i Rucher, i Prencipe e i Fortunato.

Fino a pochi anni fa, passeggiando sul lungomare Nazario Sauro, era possibile vedere i caratteristici scheletri arancioni delle barche in costruzione. Oggi i pochi cantieri rimasti si limitano ad effettuare per lo più delle riparazioni.

Matteo, che è in pensione dal 1995, oggi cosa fa? Glielo chiedo e si alza mostrandomi nel soggiorno di casa le sue creazioni: le riproduzioni in scala della barca a ‘mandolino’ del padre, della sua prima barca e di altre che hanno segnato le tappe più importanti della sua vita. E, quando trascorre il tempo con i nipoti, disegna barche e insegna loro quell’antica magica arte.

Quando fa una passeggiata con l’amata moglie Angiolina, il suo cuore lo porta in Largo Diomede, ad accarezzare con gli occhi quei luoghi dove un tempo svettavano con superbia i giganti dei mari, creati con mani sapienti di uomini dall’animo forgiato dal sale e dal sole. Oggi quel luogo si chiama piazzale Maestri d’Ascia, in ricordo di un tempo così lontano eppure così vicino e passandovi accanto Matteo riesce ancora a sentire il maglio che batte la padella per il calafataggio, il rumore della sega a nastro e del pialletto… e l’odore delle assi messe al fuoco. Ed una lacrima di nostalgia e commozione gli accende lo sguardo.

Maria Teresa Valente

NB: Ringrazio Cristiano Romani per avermi messa in contatto con la famiglia e Roberto Basta per i preziosi suggerimenti.

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Maria Teresa Valente

Giornalista pubblicista dal 2000 ed impiegata, esercita anche l’attività di mamma full time di due splendidi e vivacissimi bambini: Vanessa e Domenico. È nata e cresciuta a Manfredonia (FG), sulle rive dell’omonimo Golfo, nelle cui acque intinge quotidianamente la sua penna ed i suoi pensieri. Collabora con diverse testate ed ha diretto vari giornali di Capitanata, tra cui, per 10 anni, Manfredonia.net, il primo quotidiano on line del nord della Puglia. Laureata in Lettere Moderne con una tesi sull’immigrazione, ha conseguito un master in Comunicazione Politica ed è appassionata di storia. Per nove anni è stata responsabile dell’Ufficio di Gabinetto del Sindaco di Manfredonia. Ancora indecisa se un giorno vorrebbe rinascere nei panni di Oriana Fallaci o in quelli di Monica Bellucci, nel frattempo indossa con piacere i suoi comodissimi jeans, sorseggiando caffè nero bollente davanti alla tastiera, mentre scrive accompagnata dalla favolosa musica degli anni ‘70 e ‘80.

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