Manfredonia – Il Dominio Veneziano
Manfredonia Il Dominio Veneziano – arch. Michele Di Lauro
La Pietà della “Cappella della Maddalena”
(L’influsso della pittura veneta di Giovanni Bellini sulla Pietà Sipontina)
L’antico abside della chiesa di S. Domenico, detto anche “Cappella della Maddalena”, venne scoperto casualmente nel 1895. Da una lettera inviata dal Sindaco della città, il dott. Pietro Guerra, al Direttore dei monumenti artistici del Ministero della Pubblica Istruzione in data 29 novembre 1895, apprendiamo che il 15 dello stesso mese la cappella venne individuata dal custode delle carceri, allora dislocate nel complesso dell’edificio, che aveva l’abitazione in locali adiacenti. Nell’effettuare lavori di scavo in un’aiuola annessa alla sua abitazione, <<scorse la cima di un arco gotico, dal quale scavando la terra, venne fuori una nicchia con l’effige del Cristo morto nel punto in cui la Maddalena lo pose nel sepolcro.>> (Vedi Fig.1 e 2).
Fig. 1 Edicola e Pietà della Cappella della Maddalena, Autore anonimo della seconda metà del XV secolo. Affresco restaurato dalla dott.sa Cinzia Dicorato.
Gli influssi belliniani sono circoscritti all’ambito compositivo delle immagini e non certamente alla resa realistica dei soggetti raffigurati e alla raffinata esecuzione dei particolari mancanti nella nostra Pietà sipontina
Il nome “Cappella della Maddalena” verrà attribuito al primitivo abside di San Domenico dallo stesso Sindaco Guerra, nella sua lettera al Ministero di cui si è fatto cenno sopra. Il dottor Guerra ritenne di interpretare nella figura femminile che sorregge il corpo di Gesù morto, la Maddalena. Tale errata lettura iconografica è probabilmente da mettere in relazione con la vecchia denominazione della chiesa da parte della Curia sipontina.
Fig. 2 Edicola e Pietà della Cappella della Maddalena, Autore anonimo della seconda metà del XV secolo.
Affresco restaurato dalla dott.sa Cinzia Dicorato.
Identica è la posizione del viso Di Maria S.S. che pone le sue guance tra quelle del Figlio visibile nella tavola Belliniana della Pietà di Brera.
Infatti essa è citata come <<Santa Maria Maddalena, col Convento de’ Padri Domenicani>>, dal Sarnelli, ai tempi del Cardinal Orsini (1675-80), poi divenuto papa con il nome di Benedetto XIII. Dall’analisi iconografico-simbolica, tuttavia, è evidente che la figura femminile che sorregge Cristo morto è Maria, la Madre di Gesù, e non certamente Maria di Magdala. Infatti la Vergine Maria è sempre raffigurata avvolta nel maphorion, il tipico velo che, nell’area siro-palestinese, le donne sposate portavano sul capo e sulle spalle quando erano in pubblico. Il maphorion è ornato da tre stelle, antico simbolo di verginità, le quali stavano a significare la verginità della Madonna, prima, durante e dopo il parto. Diversa è la rappresentazione iconografica della Maddalena, che viene raffigurata priva del maphorion (Vedi Fig. 3). Lo si vede benissimo anche nelle rappresentazioni iconografiche di un altro tema sacro, quello della Crocifissione di Cristo, dove la Maddalena è con il capo scoperto e con i lunghi capelli che scendono sul corpo, a differenza di Maria Vergine che ha il capo coperto. Se ne noti, ad esempio, una testimonianza nella splendida Crocifissione del Masaccio.
Fig.3 Giovanni Bellini, Madonna col Bambino tra le sante Caterina e Maria Maddalena (Sacra Conversazione), (1490), olio su tela (58 x 107 cm.). (Gallerie dell’Accademia Venezia).
L’affresco della Pietà nella “Cappella della Maddalena” è stato realizzato, con molta probabilità, da un pittore proveniente dalla Repubblica di Venezia, in quanto è possibile rilevarvi un chiaro riferimento alla pittura veneta di Giovanni Bellini, detto Giambellino, e della sua scuola. È evidente che l’anonimo pittore è stato influenzato verosimilmente per aver avuto modo di vederlo di persona – da uno dei capolavori del Bellini, vale a dire la “Pietà di Brera” (1460-1465) (Vedi Fig.4). Il tema iconografico della Pietà è ricorrente nella produzione pittorica del Bellini e della sua bottega. È da inserire nell’alveo di una tradizione antica di derivazione orientale che era diffusamente presente a Venezia per via degli intensi scambi che la Repubblica aveva con quell’area del Mediterraneo. Nelle case private, oltre che nei conventi, erano presenti numerose icone bizantine che costituiscono la cosiddetta pittura devozionale.
Quindi si può parlare di rielaborazione in chiave umanistica della tradizione iconografica bizantina. Nella Pietà di Brera vediamo la Vergine accostare con tenerezza le proprie guance a quelle del Figlio morto. Un medesimo atteggiamento lo si vede nella Pietàsipontina. Altro riferimento dell’anonimo pittore della nostra Pietàai modelli veneziani è sicuramente costituito dalla precedente tempera su tavola del Bellini, l’Imago Pietatis, del museo Poldi-Pezzoli, databile al 1457 circa (Vedi Fig. 5).
Fig.4 Giovanni Bellini, Pietà (1460-65) tempera su tavola, 87,6×109,4 cm. Milano Pinacoteca di Brera
In questo quadro la posa di Cristo morto, ritto nel sepolcro e con gli occhi chiusi e le braccia incrociate sul ventre, si rifà all’ Akra Tapeinosis, di chiara ispirazione bizantina e nota in Occidente con il nome di Imago Pietatis o Vir Dolorum (in Italia anche con il nome di Cristo Passo). Il Bellini l’ha trasformata nel senso di un rinnovato gesto rinascimentale di pittura devozionale umanistica, eliminando la fissità delle icone orientali e inserendo il corpo di Gesù in un paesaggio e in una atmosfera realistici. Gli influssi della pittura veneta e belliniana in particolare sono quindi evidenti nell’affresco sipontino. L’anonimo pittore è giunto probabilmente in Manfredonia quando la città fu data in pegno dal re Ferdinando I di Napoli, meglio conosciuto con il nome di Ferrante I, alla Repubblica di Venezia: <<Il Re vedendosi mal ridotto, e bisognoso di monete, impegnò Manfredonia a’ Venetiani>>.Venne quindi concessa alla Repubblica Veneta l’amministrazione e il governo della città. È ovvio immaginare che, con l’arrivo dei Veneziani, sia giunto al loro seguito anche l’artista autore della Pietà dell’abside di San Domenico. Ecco quindi che l’evento storico del dominio veneziano sulla città ci permette di giustificare ulteriormente l’influsso della bottega del Giambellino sulla nostra Pietà, che cronologicamente è da datare con molta probabilità tra il sesto e settimo decennio del Quattrocento.
Fig. 5 Giovanni Bellini, Imago Pietatis (1457) tempera su tavola, 48×38 cm. Milano Museo Poldi Pezzoli
Il pittore autore della Pietà della Cappella della Maddalena ha preso come punto di riferimento il corpo del Cristo morto dell’Imago Pietatis del museo Poldi-Pezzoli, con le braccia incrociate sul ventre ed inserito nel sepolcro. La Madonna che pone le guance su quelle del Figlio è chiaramente ispirata alla Pietà di Brera, sempre del Bellini: Maria ha la stessa identica posizione e inclinazione del viso rispetto al corpo e al viso di Gesù della nostra Madonna della Cappella della Maddalena. Tale modalità raffigurativa la troviamo anche nella successiva Pietà del Palazzo del Doge a Venezia, del medesimo autore, ma con distanza e inclinazione del viso della Madonna leggermente differenti. In questa tela manca inoltre l’inserimento della rappresentazione in un contesto realistico, come i bellissimi paesaggi sia dell’Imago Pietatis sia della Pietà di Brera. Inoltre la Pietà del Palazzo del Doge ha un aspetto ancor più drammatico rispetto a quella di Brera. La minore drammaticità è, allo stesso modo, presente nella Pietà della “Cappella della Maddalena”, la quale, tra l’altro, presenta una composizione ancora legata alla tradizione bizantina. Bellini – come si è detto – supera quella tradizione, avendo egli traghettato l’iconografia di origine orientale nel nuovo modo di rappresentazione realistico-rinascimentale della pittura devozionale umanistica. Gli influssi belliniani sono circoscritti all’ambito compositivo delle immagini e non certamente alla resa realistica dei soggetti raffigurati e alla raffinata esecuzione dei particolari, mancanti nella nostra Pietà sipontina. Bisogna però tener presente che la tecnica dell’affresco, per la sua veloce modalità esecutiva senza ritocchi o sovrapposizioni, non permette un’accurata resa dei particolari come la tempera su tavola, dove è possibile sovrapporre e rifinire a tratteggio finissimo l’opera. Inoltre i guasti del tempo, insidia propria di ogni affresco, non ci permettono di ammirare l’opera come si presentava in origine. Bellini opera nel raffinato e colto ambiente umanistico veneziano della seconda metà del XV secolo e quindi non a caso inserisce nel cartiglio in fondo al quadro della Pietà di Brera una frase ispirata alle Elegie di Properzio << (HAEC FERE QVVM GEMITVS TVRGENTIA LVMINA PROMANT / BELLINI POTERAT IONNIS OPVS, “Questi occhi gonfi quasi emetteranno gemiti, quest’opera di Giovanni Bellini potrà spargere lacrime”>>.
(a cura dell’arch. Michele Di Lauro ) (Il materiale contenuto in questo articolo può essere riprodotto, in tutto o in parte, per scopi non commerciali, purché siano citati l’autore e la fonte).