Storia

I manfredoniani che vennero assassinati nelle foibe

Si chiamava Nicola Montella ed era emigrato da Manfredonia in cerca di fortuna, dopo i dolori e le sofferenze patite durante la prima guerra mondiale. Trovò lavoro come dipendente della società triestina carbonifera Arsa e quando credeva di aver finalmente ricominciato a vivere, giunse una nuova guerra. Aveva 58 anni quando venne ‘scaraventato’ nella foiba di Vines.

Volete sapere come si moriva a Vines? Immaginate l’inferno: ecco, non basta. A Vines i condannati venivano legati l’un all’altro col filo di ferro ai polsi “due a due, così stretti da farci gonfiare le mani ed urlare dai dolori”, ha raccontato un sopravvissuto. Poi venivano schierati sugli argini delle foibe e gli aguzzini aprivano il fuoco “trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili” (Focus).

Il sipontino Giuseppe Di Staso era, invece, un giovane militare quando morì nelle foibe carsiche. Cosimo Castriota, figlio di Raffaele, era un agente di polizia e lavorava allo scalo ferroviario di Fiume, dove venne arrestato l’1 maggio 1945; avevo solo 26 anni quando venne ammazzato.

Cosimo, Giuseppe e Nicola sono i manfredoniani che vennero assassinati nelle foibe durante la seconda guerra mondiale.

Le foibe sono voragini rocciose tipiche del Carso (area compresa tra Friuli-Venezia Giulia, Slovenia e Croazia) a forma di imbuto rovesciato, create dall’erosione dei corsi d’acqua, che possono raggiungere anche i 200 metri di profondità.

Dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943, e nell’immediato dopoguerra, i partigiani comunisti del maresciallo jugoslavo Tito gettarono nelle foibe migliaia e migliaia di italiani, civili e militari, fascisti o semplicemente contrari al comunismo, per vendicarsi di quando, a cavallo tra le due guerre, i fascisti avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo la loro lingua e le proprie usanze, reprimendo ed osteggiando le popolazioni slave locali.

A guerra terminata, poi, ben 350mila nostri connazionali, quando il 10 febbraio 1947 fu ratificato il trattato di pace che sanciva il passaggio alla Jugoslavia delle ex province italiane dell’Adriatico, dovettero abbandonare all’improvviso le terre dov’erano nati, dove avevano casa e avevano costruito un’esistenza.

Nel 2004 il Parlamento italiano ha votato una legge che fissa il 10 febbraio come Giornata del Ricordo “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra”.

Ecco, dunque, in questo giorno ho voluto ricordare i nostri concittadini, rei di essere stati uccisi, in fondo, senza un vero motivo, perché mai nessun motivo è giusto per ammazzare, nemmeno nell’inumana guerra, quando ‘il sonno della ragione genera mostri’.

Articolo di Maria Teresa Valente del 10 febbraio 2020

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