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Ze Peppe Carnevele, la maschera tipica del Carnevale di Manfredonia

Arrivava il sabato dalla campagna Ze Pèppe, la maschera del Carnevale Sipontino. Fra canti e balli approdava l’impenitente allegrone, proclamando l’apertura dei gioiosi festeggiamenti con il conseguente sconvolgimento dei ruoli sociali.

Da quel momento spadroneggiava seminando buonumore e spensieratezza. Veniva col carretto, raccogliendo al suo arrivo schiere di buontemponi a inneggiarlo, a seguirlo nelle sue scorribande dietro a belle gonnelle, svuotando fiaschi del suo prelibato vino, come unica medicina a tenerlo vivo e pimpante.

Famoso e molto atteso era poi, negli anni ’50, anche il lungo corteo di biciclette, proveniente, il sabato di carnevale, dall’azienda agricola “Terra Apuliae”. Sulla prima bicicletta era issato Ze Pèppe, pupazzo artistico, confezionato mirabilmente dai braccianti “i cafune”.

Il fantoccio apriva il chiassoso corteo, che inondava di grande allegria il paese, canzonando miseria e soprusi. Le “socie”, approntate da allestitori già da Sant’Antonio Abate, attendevano le sue visite col codazzo di maschere chiassose, pronte a incendiarsi in tarantelle vorticose.

Era accolto da re, tutti gli cedevano il passo, il sindaco gli consegnava le chiavi della città, e lui, sua maestà “Ze Pèppe Carnevèle”, accettava inviti, rispondendo agli inchini. Dichiarava solennemente, tracannando e occhieggiando alle leggiadre fanciulle, che il bel tempo, il gioioso divertimento era alla portata di tutti. Bastava volerlo, bastava liberarsi dagli affanni e mandarli negli abissi.

Bastava seguirlo nelle sue allegre scorribande, nei suoi proclami burloni, nel suo continuo farsi beffe, suscitando risate a crepapelle. “Socie” e cantine erano le sue mete preferite, più volte lodate, più volte visitate.

Le maschere, saltellando e folleggiando, affollavano strade e piazze, vicoli e “socie”. Disegnavano canti e balli, coloravano, roteavano. Divertendosi pazzamente, si facevano beffe girellando.

A battaglioni andavano a zonzo. Ze Pèppe era il condottiero smargiasso, il paladino della fragorosa risata. Lo vedevi sorridere e deridere. Ma poi Ze Pèppe altro non era che un fantoccio. Un abito logoro, riempito di paglia, con tanto di giacca rattoppata, cappello sbrindellato, camicia pacchiana. Buffo e sgargiante era il suo abbigliamento.

E lui, sovrano dell’allegria, simbolo dell’istrionesco atteggiamento, a ricordarci che la vita è breve e “di diman non c’è certezza”. Legato a una sediaccia, fissata al cantone del Boccolicchio, o al torrione, o ai sottani, Ze Pèppe, il Re del Carnevale Sipontino, se ne stava con la sua fiasca di vino e coriandoli a brindare continuamente e a contemplare le corse forsennate delle maschere folleggianti, favorendo incontri e licenze per la beata gioventù.

La Manfredonia delle antiche cartoline, occhieggiate dai molti Ze Pèppe paonazzi, troneggianti in ogni dove. Osservava, dall’alto del seggio reale, le scorribande annuvolate di coriandoli, nell’intreccio di stelle filanti e di gragnole di confetti.

Le notti, restava, ammaliato al lume delle stelle, a confabulare con la luna in lamè. I sottani si incendiavano di luci e di balli. Le tante “socie” erano teatro di vorticose tarantelle e artistiche quadriglie, e le sudate talvolta erano fatali. Ze Pèppe,colto da broncopolmonite acuta “a penture”, lascia il ballo, dopo tre giorni di follie, viene tirato giù dal suo trono per allestirgli festosi funerali tra schiamazzi e finti lamenti. Ze Pèppe, bruciato e cremato, chiude così la folleggiante avventura. Gloriosamente, sotto un cielo incendiato di fantasie pirotecniche.

(testo a cura di Lorenzo Prencipe)

 

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