Uomini e Donne, dal salotto dei ’90 al rito pop del trono
Dalla versione “adulta” di Amici negli anni ’90 al format con i tronisti, fino al Trono Over: la storia di Uomini e Donne.

L’aria del pomeriggio televisivo italiano ha un profumo particolare, una miscela di cipria, rose e luci da studio: è il profumo di Uomini e Donne, che dal 16 settembre 1996 abita l’immaginario pop come pochi altri programmi. All’inizio era un salotto adulto, una camera di confessioni e conflitti coniugali, l’emanazione “matura” di Amici quando Amici era ancora un talk generazionale e non la fucina di talenti che conosciamo oggi. Poi, all’alba dei Duemila, il cambio di passo: la scena si fa rituale d’incontro, la sedia diventa trono, nasce un lessico – tronista, corteggiatore, esterna, scelta – che si imprime nella lingua comune. Il resto è costume: dalle entrate vamp di Tina Cipollari alla diplomazia danzante di Gianni Sperti, dai poster di Costantino in cameretta ai lidi senza tempo del Trono Over, con l’eterna Gemma e il “Gabbiano” Giorgio. Un racconto che muta ma non invecchia, perché il desiderio di narrarsi resta identico, anche mentre cambiano gli abiti, le musiche, i filtri delle storie. E se il dibattito lo accompagna da sempre – tra accuse di “televisione spazzatura” e difese affettuose del pubblico – la sua persistenza ne certifica la forza: Uomini e Donne è un rito laico dell’Italia pop, uno specchio, spesso deformante, ma fedele alle nostre contraddizioni.
Uomini e Donne: anatomia di un lungo pomeriggio italiano
La genealogia è chiara: Uomini e Donne nacque nel 1996 come versione “adulta” del talk giovanile Amici, allora ancora tavolo di confronto e non talent show. Al centro, storie di coppie, separazioni, figli, routine, tradimenti e mediazioni rese possibili dalla moderazione ferma ma empatica di Maria De Filippi. La platea era divisa – quaranta uomini e quaranta donne – a testimoniare la dialettica dei ruoli in un’Italia che stava slittando dal decennio della Milano da bere al realismo domestico dei tardi Novanta. Questa prima stagione, persino con uno spin-off in prima serata Speciale Uomini e Donne, resistette fino al 2000, quando il calo d’ascolti e l’evoluzione dei gusti impongono la mutazione. Nel gennaio 2001, con un gesto d’autorialità che segna la televisione nostrana, il programma divenne un dating show: la scena iniziò a organizzarsi intorno a una figura regale – il tronista – e alla liturgia delle esterne e dei balli. All’inizio convivevano residui del talk (segmenti ribattezzati C’è una cartolina per te), ma dalla stagione autunnale 2001 il cuore era ormai il corteggiamento. La decisione di scandire il percorso con una scadenza temporale e di utilizzare un vocabolario del tutto esclusivo, andò a definire l’identità della trasmissione; “tronista” entrò persino nello Zingarelli, prova che la televisione genera lessico e non solo ascolti. Il nuovo corso venne così suggellato, registrato, ritmato e calibrato sul desiderio: desiderio di essere scelti e di scegliere davanti a tutti. Il primo tronista, nel 2001, fu Roberto Maltoni. Proprio in questo momento fece il suo ingresso Tina Cipollari: dapprima corteggiatrice, poi tronista con Claudia Montanarini; infine opinionista, ruolo con cui dal 2002 è divenuta architrave di un controcanto ironico e tagliente. La sua figura, volutamente “larger than life”, travalica lo studio: piume, plissé, biondo-platinum e sferzate polemiche, ma anche quella componente autoironica che la rende icona pop riconoscibile su più generazioni. Accanto a lei, Gianni Sperti: ex primo ballerino di Buona Domenica, trasmigrato nel salotto di U&D all’inizio dei Duemila. Gianni – tra una smorfia scettica e un sopracciglio alzato – dà voce alla morale spicciola del pubblico, facendo domande che la platea di casa vorrebbe porre. Tina e Gianni sono la coscienza rumorosa del programma, la coppia fissa che teatralizza il dubbio, l’entusiasmo, la gelosia, restituendo alle storie un contrappunto imprescindibile. Se gli anni 2003-2005 furono l’età dell’oro del Trono Classico, il merito fu anche di un volto che divenne fenomeno nazionale: Costantino Vitagliano. Ex modello, ragazzo immagine, la sua parabola si saldò con quella del programma in una stagione basata su merchandising (il diario scolastico 2004 con il suo volto in copertina), ospitate nei talk e cinema nazional-popolare (Troppo belli, 2005). La sua “scelta”, vissuta come cliffhanger sentimentale, palesò l’idea che Uomini e Donne non fosse più solo una trasmissione ma un ecosistema, dove appartenenze e tifoserie si polarizzano come nel calcio. Accanto a lui si “sviluppò” anche Daniele Interrante, altro tronista simbolico di quell’epoca, che condivise con Costantino l’espansione mediatica tra reality, film e salotti di intrattenimento. Due ragazzi di bell’aspetto che in pochissimo tempo divennero delle star e il trono una piattaforma di lancio. Solo i primi di una lunga serie di novelli vip. La tv del pomeriggio creò celebrità, anticipando l’era dei social. Il 2010 segnò un’altra novità epocale: nacque il Trono Over, una dimensione narrativa parallela dove dame e cavalieri – ben oltre i quarant’anni – rimettono in circolo il desiderio, con tempi, codici e sentimenti diversi. Non più l’attesa della “scelta” ma la trama aperta del conoscersi e lasciarsi, chiamarsi e cambiare idea. Fu il regno in cui Gemma Galgani divenne protagonista assoluta, con la sua vulnerabilità esibita e fieramente difesa, e in cui spiccò il carisma di Giorgio Manetti, il “Gabbiano”, figura romanzesca caratterizzata dall’arte dell’affabulazione e del distacco. Le loro stagioni – fatte di rose bianche, lacrime in controluce e arrivederci sempre provvisori – trasformarono U&D in un feuilleton continuo, dove i capitoli non finivano mai davvero. Nell’Over, l’amore ha il volto della seconda possibilità. A scandire i decenni arrivarono vari esperimenti: L’amore non ha età (2010-2012), con tronisti corteggiati da gruppi anagraficamente differenti; Ragazzi e Ragazze (2012), preludio al modello “piazza” poi esploso sui social; prime serate-evento come La scelta, con scenografie fastose al Castello di Tor Crescenza, camei e rituali extrastudio a sancire il momento fatidico. Il format si aprì, nelle stagioni 2016-2018, anche a troni omosessuali; e nel 2021-2022 vide la prima tronista transgender, segnando l’attenzione al mutare della società e dell’immaginario amoroso in tv generalista. Non tutto è rimasto uguale: negli anni la presenza del pubblico in studio si è rarefatta (fino quasi a sparire durante la stagione 2020-2021, complice l’emergenza sanitaria), rimodellando l’acustica emotiva delle puntate. Naturalmente, la storia di Uomini e Donne è anche la storia delle sue polemiche: l’accusa di essere “televisione spazzatura”, le campagne del Moige e i sospetti di “copione” dietro le litigate e le riconciliazioni fulminee. Eppure, proprio la persistenza del programma nel palinsesto di Canale 5 dimostra la sua funzione di barometro sociale: da vent’anni e più registra come l’Italia parla d’amore, come si rappresenta, come desidera essere vista desiderabile. Nel bene e nel male, la sua forza è nella riconoscibilità: quando parte la sigla, sappiamo già cosa stiamo cercando: un pezzo di noi, magari kitsch, ma irriducibilmente nostro. Dentro questa costellazione, le figure-chiave meritano un ritratto dedicato. Tina Cipollari, come detto, esordisce nel 2001 e, grazie alla “parte” reinventata di sé stessa, prende posto accanto a Maria come opinionista fissa dal 2002: un’icona e volto di quel programma che, anche chi non lo segue, guardando la Cipollari, sa bene che è figura correlata e da correlare a esso. Gianni Sperti, dall’altra parte, porta la sua disciplina di danzatore in un ruolo di coscienza “metodica” del racconto: segnala incoerenze, chiede prove, sorride di rado. Sono il freno e l’acceleratore del pathos, e non è un caso che molte dinamiche passino attraverso il loro sguardo. E poi i “volti poster”: Costantino, che ha compiuto 51 anni nel 2025 e continua a raccontare la propria parabola tra picchi e cadute, simbolo di un’epoca in cui la tv pomeridiana lanciava star al cinema e nei reality; Daniele Interrante, che attraversa programmi e stagioni televisive con la versatilità del personaggio da salotto leggero. Sul versante Over, l’onnipresente Gemma – origine torinese, vocazione teatrale e una calendarizzazione degli amori che è ormai format nel format – e Giorgio, che per un lungo arco narrativo ha incarnato la figura del seduttore maturo e sfuggente. Ognuno di loro è stato, a suo modo, un ponte tra il programma e il Paese. La struttura del racconto, nel tempo, si è fatta sempre più autoreferenziale ma anche più fluida: i social hanno aggiunto un secondo schermo permanente, dove le “ship” nascono e muoiono in poche ore, e dove le anticipazioni girano prima della messa in onda. Le esterne, una volta “mini-film romantici” da 20-30 minuti, si adattano a grammatiche più snelle; la “scelta” resta il totem, ma spesso è il percorso – i dubbi, le gelosie, i “no” a metà – a catalizzare l’attenzione. Negli anni più recenti le prime serate speciali hanno incorniciato i finali come balli di corte contemporanei, legittimando l’idea che il corteggiamento studiato in studio possa trascendere lo studio (e si scusi il gioco di parole!). Guardarlo oggi significa osservare un mosaico di Italia. Lo si può amare o detestare, ma è difficile ignorarlo: Uomini e Donne è un romanzo popolare in fieri. Ogni ingresso in studio è un capitolo, ogni sedia è un punto e virgola. Dalla versione “adulta” di Amici alla grammatica indelebile del trono, dal boom di Costantino e Daniele che fecero battere il cuore a migliaia di ragazze fan dello show (e non), all’epica senzatempo dell’Over. Il programma ha in pratica intercettato – e spesso codificato – la teatralità sentimentale che abita il nostro quotidiano. Anche per questo, al di là delle polemiche, è diventato patrimonio di memoria collettiva, capace di regalare ancora oggi quel misto di attesa e familiarità che solo i riti sanno dare.
