Quartiere Ferrovia: “L’omertà di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto”

Quartiere Ferrovia: “L’omertà di chi vuole nascondere la polvere sotto il tappeto”
Omertà.
È la parola che più si addice a una parte di Foggia, dopo il servizio del TG4 che ha raccontato senza filtri il degrado del quartiere Ferrovia: rapine, scippi, urla disumane nella notte, sesso a cielo aperto, feci sui marciapiedi, violenza e paura che si respirano a ogni passo. Molti foggiani, invece di indignarsi per le immagini, hanno storto il naso. Non perché il racconto fosse falso, ma perché, secondo loro, “certe cose non si devono dire”. Bisogna nascondere la polvere sotto il tappeto, mantenere un silenzio che sa più di complicità che di prudenza.
Guarda caso, tutti quelli che parlano così vivono lontano dal quartiere Ferrovia. Nessuno di loro manda moglie o figli a passeggiare tra via Podgora e viale XXIV Maggio. Tanto i problemi sono degli altri: dei residenti, di chi si ritira la sera a piedi, delle famiglie che hanno fatto tanti sacrifici pagando 200 o 300 mila euro per una casa che oggi si affaccia su immondizia, urla, coltelli, scippi e degrado quotidiano.
E così accade il paradosso: la colpa non è più di chi crea il degrado o di chi non è capace di reprimerlo, ma di chi lo denuncia. Colpevole diventa chi alza la voce, chi pretende attenzione, chi mostra al mondo la realtà nuda e cruda. Colpevoli, insomma, non i carnefici ma le vittime: colpevoli di non stare zitte. E ovviamente parte il solito disco: “la solita destra, fascisti, razzisti”. Etichette facili, buone per mettere a tacere chi osa denunciare.
Ma la realtà è che proprio chi oggi viene additato come “intollerante” è stato l’unico a fare proposte sociali concrete: a dire che dormire per strada non è accoglienza, che ammassare persone in un quartiere fragile non è integrazione ma ghettizzazione, che la sicurezza non è un lusso ma un diritto. Gli unici a chiedere progetti veri di inclusione, soluzioni abitative dignitose, controlli costanti, regole chiare. Gli unici, insomma, ad aver provato a unire legalità e dignità.
E a rendere tutto ancora più paradossale c’è chi, davanti alle segnalazioni dei residenti, anziché ringraziarli, li accusa persino di “procurato allarme”. Noi residenti che dal 2016 chiediamo collaborazione, avanziamo proposte, presentiamo petizioni firmate da migliaia di cittadini. Eppure veniamo trattati come disturbatori, non come cittadini che reclamano il diritto elementare di vivere in sicurezza.
È un atteggiamento che sa di provincialismo. “Succede in tutte le stazioni d’Italia” è l’alibi preferito. Ma allora? Perché dovrebbe succedere anche a Foggia? Perché mai dovremmo pretendere di distinguerci in meglio? È davvero questo il ragionamento di una città che vuole crescere: uniformarsi al peggio, rassegnarsi al degrado, abbassare l’asticella fino a toccare terra?
Il problema di Foggia, oltre alla criminalità, oltre agli extracomunitari che bivaccano o delinquono, è anche e soprattutto questo: una parte dei foggiani stessi. Quelli che girano la testa dall’altra parte. Quelli che tacciono e chiedono silenzio. Quelli che, anziché affidare i propri locali a un progetto che valorizzi il quartiere, per guadagno li cedono al solito money transfer o al minimarket fotocopia, contribuendo così a distruggere ulteriormente la zona. Quelli che, anziché rimboccarsi le maniche, puntano il dito contro chi denuncia e lo trasformano nel nemico pubblico numero uno.
Alla fine il problema non sono solo gli stranieri, non sono neppure i gruppi di disperati che popolano il Ferrovia. Il problema è la mentalità tipica di alcuni foggiani, fortunatamente non tutti: chiudere gli occhi, fingere che tutto vada bene e condannare chi osa dire il contrario.
È questa omertà, più ancora della violenza, che rischia di uccidere davvero la città.