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Monte Sant’Angelo, la torre ottagonale e il suono perduto della campana di San Michele

Gelsomino Ceramiche

LA TORRE OTTAGONALE E IL SUONO PERDUTO DELLA CAMPANA DI SAN MICHELE.

Arrivando ai piedi della Basilica Santuario di San Michele, lo sguardo viene inevitabilmente rapito dalla maestosità della torre campanaria. La sua struttura ottagonale, scolpita nella pietra con una precisione che sfida il tempo, si erge come un monumento di abilità e ingegno. È un monolite che racconta, attraverso le sue forme, l’arte e la dedizione di chi l’ha realizzato.

Tra questi spiccano i nomi di Giordano e Marando, due fratelli di Monte Sant’Angelo, il cui talento aveva già conquistato fama e onori al servizio della corte sveva. Formatisi nelle migliori scuole artistiche dell’epoca, portarono nella loro opera un tocco di eccellenza che ancora oggi lascia i visitatori senza fiato.

Ma qual era lo scopo di quest’opera?

Facciamoci guidare dalle parole dell’Angelillis:

“Il compito che loro si imponeva era duplice e cioè:

1) erigere un blocco granitico di massa muraria che dominasse l’alta e libera vetta del Promontorio;

2) procurare allo sguardo degli umani un senso improvviso e gradito di forza e a un tempo stesso di grazia e di bellezza.”

Se il “corpo” imponente di questo monumento è visibile a tutti, la sua vera “anima” resta un mistero per molti. È la campana, con il suo suono profondo e il ritmo solenne, che scandiva il tempo e segnava gli eventi importanti, coinvolgendo abitanti e viaggiatori in un’atmosfera di sacralità e partecipazione collettiva.

Ma quante erano, in origine, le campane che facevano risuonare la loro voce dall’alto della torre?

Le informazioni disponibili sono frammentarie e a tratti incomplete, ma si narra che fino al 1576, a risuonare erano ben sette campane, ciascuna testimone di momenti storici e religiosi che ancora riecheggiano, seppur lontani, nella memoria del luogo.

Per far luce sulla loro storia, proseguiamo nel racconto magistrale dell’Angelillis:

“Di certo conosciamo che il fonditore della vecchia campana della Selva fu nel 1628 il maestro Andrea Presbiteris da Tossiccia, abbruzzese, in quel di Teramo. Probabilmente anche quella del Castello fu opera del medesimo artefice, se non anche quella più grande di tutte, rifatta poi, tra il 1666 e il 1667.”

Tra le sette campane che un tempo riempivano l’aria con i loro rintocchi, quattro erano di dimensioni medio-piccole, ma le tre più grandi avevano nomi che evocavano la storia e il paesaggio circostante. C’era la Campana di San Michele, la più maestosa, la Campana della Selva, orientata verso i boschi dell’epoca di Carbonara, e la Campana del Castello (rivolta verso la fortezza della città).

La Campana di San Michele era senza dubbio la regina della torre: con i suoi 1,55 metri di altezza, una circonferenza di 4,50 metri e un peso di circa 30 quintali, dominava tutte le altre. Dalle cronache conservate negli archivi della Chiesa di Santa Maria Maggiore, emerge che il 6 maggio 1665 essa fu colata direttamente nella Tomba di San Giovanni, all’interno della Chiesa di San Pietro. Dopo alcuni mesi di preparativi, iniziò l’imponente operazione di sollevamento sul campanile di San Michele. L’impresa fu così complessa che si dovette addirittura demolire l’ultimo piano della torre per permetterne l’installazione.

Seguiamo ancora le parole dell’Angelillis:

“Quando intorno al 1666, si ebbe l’idea di collocare nel centro del quarto piano l’enorme campana esistente anc’oggi del peso di circa trenta quintali, si pensò di sistemare la parte superiore del campanile rifacendola quasi interamente ed abbattendo la cupola per impedire che il grave suono del bronzo potesse rimanere in qualche modo soffocato.”

Poi continua:

“Or ecco spiegata l’attuale disarmonia del quarto piano rispetto alla costruzione primitiva, ed ecco ancora chiarito come la torre che originariamente, compresa la cupola col tamburo, si approssimava ai quaranta metri di altezza, se pur non li superava, si ridusse, come si vede oggi, all’altezza di poco più di ventisette metri.”

Col trascorrere degli anni, la grandezza stessa della Campana di San Michele divenne la sua rovina. Il peso eccessivo, unito alle oscillazioni causate da un’installazione non perfettamente bilanciata, cominciò a minare la stabilità non solo della campana, ma anche dell’intera struttura del campanile. Le crepe si fecero strada nel metallo, finché il suo maestoso rintocco si spense, lasciando la campana in silenzio.

Oggi, dopo decenni di tentativi falliti e difficoltà tecniche, è irrimediabilmente danneggiata e non suona più. Si è discusso a lungo sulla possibilità di rifonderla, un’operazione delicata che richiederebbe l’intervento di laboratori specializzati, come quello di Anagni, e un notevole investimento economico, ma la decisione tarda ancora ad arrivare.

Le sorti della Campana della Selva e di quella del Castello furono diverse. Nel 1848, ormai logorate dall’usura, si decise di rifonderle davanti agli occhi della comunità montanara. Il lavoro venne affidato a Giuseppe e Antonio Ripandelli di S. Angelo dei Lombardi, ed ebbe luogo nella stessa Tomba di San Giovanni dove venne colata quella di San Michele.

Le donne del paese, in un gesto di devozione, gettarono oro e argento nel bronzo fuso, contribuendo alla rinascita di questi antichi strumenti. Una volta completata la fusione, le due campane furono ricollocate nello stesso piano della Campana di San Michele.

Foto di G. BARRELLA e A. GRANA

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