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Matteo, positivo al virus con tutta la famiglia: un’odissea lunga 45 giorni

Due tamponi negativi consecutivi a distanza di una decina di giorni l’uno dall’altro hanno decretato per Matteo (nome di fantasia) la fine di un incubo lungo un mese. Manfredoniano, giovanissimo, con moglie e figli. Quando ha avvertito i primi sintomi, credeva si trattasse di un malessere passeggero, confortato anche dal proprio medico di famiglia. Poi, la scoperta che la suocera era risultata positiva, l’ha gettato nello sconforto presagendo che ormai erano pochi i dubbi su quell’influenza che lo aveva colpito.

Matteo, innanzitutto come stai adesso? “Bene, ma è stata dura”. Quando hai avvertito i sintomi? “I primi giorni di settembre. Ho avuto un po’ di raffreddore e spossatezza ed avvertivo la classica ‘bocca amara’. Qualche dubbio l’ho avuto, ma il mio medico inizialmente aveva escluso il Covid”. Purtroppo, infatti, i sintomi di questo virus sono simili a tante banali influenze.

Dopo la positività della suocera, Matteo ha una crisi di nervi per la paura ed inizia l’iter che lo porterà ad effettuare il tampone. Gli dicono che deve andare a San Marco in Lamis con tutta la famiglia (tasto dolente a Manfredonia), ma non ha l’auto e chiedere ad amici o prendere i mezzi (nel dubbio) non sarebbe corretto nei confronti degli altri. Una dottoressa del Policlinico di Foggia, intuite le difficoltà, si reca presso la sua abitazione (e lo farà per altre quattro volte). “Non ho mai saputo il suo nome, veniva da noi coperta dalla testa ai piedi, ma le sono infinitamente grato per la pazienza e la disponibilità”, confessa.

Il verdetto di quel primo tampone è sconfortante: Matteo, sua moglie e i loro due bambini risultano tutti positivi. La moglie è asintomatica, il figlio più piccolo se la cava con un giorno di febbre a 38 gradi, mentre il più grande ha vomito e diarrea ed un po’ di debolezza. Per i bambini il tutto si risolve in fretta, mentre Matteo, che non ha ancora 30 anni, giorno dopo giorno viene fiaccato dal virus. Fortunatamente riesce a curarsi a casa, seguito a distanza dal Policlinico di Foggia.

Non va altrettanto bene alla suocera, che a soli 54 anni e senza malattie pregresse, finisce in terapia intensiva per due settimane. La nonna della moglie, neanche 80enne, sarà costretta addirittura a 46 giorni nel reparto di rianimazione.

“Il Covid non guarda in faccia a nessuno e non ammette distrazioni”, racconta Matteo, che non ha mai sottovalutato l’epidemia in corso, stando sempre attento ad indossare mascherine ed al distanziamento. Eppure, fatale è stato un pranzo in famiglia alla fine di agosto. Doveva essere un modo per ritrovarsi insieme con i parenti al termine di un’estate un po’ anomala, in cui, causa virus, in generale sono mancati i momenti di convivialità.

Una giornata di innocua ‘leggerezza’ che invece è costato caro e nessuno ha mai capito chi sia stato il contatto positivo da cui è partito il contagio che ha colpito buona parte della famiglia.

Ora sono tutti guariti, ma addosso portano ancora gli strascichi delle sofferenze fisiche e morali. Matteo ha qualche problema di respirazione e non ha riacquistato completamente gusto ed olfatto. La nonna della moglie ha problemi alle gambe, mentre la suocera ha dovuto attendere ben sette tamponi prima di essere considerata completamente guarita.

“Siamo stati additati come degli appestati. La voce che fossimo positivi si è diffusa in fretta e molti hanno avuto comportamenti assurdi nei nostri confronti, nonostante la nostra condizione di isolamento e sofferenza che invece ci portava ad essere vittime. Eppure, siamo rimasti sempre chiusi in casa, in una lunghissima quarantena che ci è costata fatica. Mia moglie, pur essendo asintomatica, è stata positiva per ben 45 giorni. Il suo scrupolo è stato quello di evitare di contagiare gli altri, finché il tampone non l’avesse dichiarata finalmente guarita”. “Non tutti – aggiunge – hanno questa accortezza. Ho visto personalmente dei positivi asintomatici a Manfredonia tranquillamente in giro senza alcun tipo di controllo”.

A subire la discriminazione, anche parenti che non hanno mai contratto il virus né si sono avvicinati a Matteo e alla sua famiglia dopo essere risultati positivi, ma tenuti a ‘distanza’ per il solo fatto di avere con loro un legame di sangue.

“Sono molto cattolico e ho messo me e la mia famiglia nelle mani di Dio”, evidenzia il giovane sipontino. “Devo anche dire che alcune persone ci sono state vicine e lo abbiamo apprezzato molto. I nostri vicini di casa, ad esempio, ci lasciavano dolci e biglietti vicino la porta per non farci sentire soli e i miei colleghi di lavoro mi hanno circondato virtualmente in un abbraccio di solidarietà”.

Matteo, perché hai voluto raccontare la tua storia? “Perché molti ancora oggi pensano sia qualcosa di lontano. Invece è un nemico infido ed invisibile ben presente e non bisogna abbassare la guardia”.

Qual è stata la prima cosa che hai fatto dopo aver saputo che anche il secondo tampone era negativo? “Ho portato i miei figli in spiaggia, a respirare e a cominciare a guardare nuovamente insieme l’orizzonte”. Cosa ti senti di dire dopo questa bruttissima esperienza? “Nonostante tutto, sono ancora convinto che ce la faremo a venirne fuori e che andrà tutto bene”.

di Maria Teresa Valente

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Maria Teresa Valente

Giornalista pubblicista dal 2000 ed impiegata, esercita anche l’attività di mamma full time di due splendidi e vivacissimi bambini: Vanessa e Domenico. È nata e cresciuta a Manfredonia (FG), sulle rive dell’omonimo Golfo, nelle cui acque intinge quotidianamente la sua penna ed i suoi pensieri. Collabora con diverse testate ed ha diretto vari giornali di Capitanata, tra cui, per 10 anni, Manfredonia.net, il primo quotidiano on line del nord della Puglia. Laureata in Lettere Moderne con una tesi sull’immigrazione, ha conseguito un master in Comunicazione Politica ed è appassionata di storia. Per nove anni è stata responsabile dell’Ufficio di Gabinetto del Sindaco di Manfredonia. Ancora indecisa se un giorno vorrebbe rinascere nei panni di Oriana Fallaci o in quelli di Monica Bellucci, nel frattempo indossa con piacere i suoi comodissimi jeans, sorseggiando caffè nero bollente davanti alla tastiera, mentre scrive accompagnata dalla favolosa musica degli anni ‘70 e ‘80.

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