Salute e Benessere

Lopalco: “Partito lo studio per capire quanta gente abbia contratto il coronavirus”

E’ partito da giorni lo studio nazionale di sieroprevalenza. In una parola lo studio che serve a capire quanti italiani, più o meno consapevolmente, abbiano incontrato il nuovo coronavirus ed abbiano sviluppato anticorpi specifici.

Ha destato stupore il rifiuto di molti a partecipare allo studio, probabilmente a causa di una insufficiente comunicazione preventiva che spiegasse bene i vantaggi di partecipare ad una indagine del genere. Partecipare allo studio significa usufruire gratuitamente della possibilità di controllare sia il proprio stato immunitario che l’eventuale stato di portatore del virus, visto che in caso di positività si è invitati anche ad eseguire il tampone.Insomma, in un Paese in cui a gran voce si chiedono test diagnostici e in qualche regione si sono viste le file per fare, a pagamento, gli stessi test, essere selezionati nel campione dello studio avrebbe per molti significato vincere il biglietto di una lotteria.

Per questo motivo tanti si chiedono: ma se diventa complicato convincere i soggetti estratti nel campione a sottoporsi al test, non sarebbe meglio offrirlo liberamente a chi avesse voglia di farlo? Perché non testare un campione di soggetti volontari? Purtroppo è il concetto di campione rappresentativo che ci impedisce di seguire questa via, senza dubbio più veloce ed economica. Per ottenere un campione di una popolazione rappresentativo, cioè che in piccolo rifletta le stesse caratteristiche della popolazione originaria, bisogna necessariamente procedere utilizzando degli schemi di estrazione casuale.Se volessi estrarre, ad esempio, un campione rappresentativo degli studenti iscritti alla mia università, dovrei mettere in un cesto tanti bigliettini ciascuno riportante i numeri di matricola di ogni studente ed estrarre uno ad uno un certo numero di bigliettini, come si fa appunto in una lotteria. Si chiama campionamento casuale semplice: ogni individuo della popolazione ha le stesse probabilità di essere estratto. Oggi questo lavoro di estrazione si fa attraverso un software, ma il principio è lo stesso. Con un numero di soggetti sufficientemente ampio, potrò misurare quello che voglio nel mio campione ed avere una stima più o meno precisa di questa misura nella popolazione originaria. Se per esempio scopro che il 30% degli studenti campionati ha gli occhi chiari, posso concludere che il 30% di tutti gli studenti della mia università abbia gli occhi chiari. La statistica, poi, mi aiuterà a calcolare il livello di incertezza di questa stima grazie a parametri come varianza, errore standard, intervalli di confidenza e altre diavolerie del genere.Se non si procedesse in questo modo, non avrei garanzie che il campione estratto rappresenta davvero la popolazione e in sostanza non saprei che farmene della misurazione ottenuta nel campione.

Nel caso della indagine di sieroprevalenza nazionale, se ci si affidasse ad un campione di volontari, nel campione finale potrei trovare maggiormente rappresentati i cittadini più premurosi, che magari sono quelli che meglio di altri sono stati attenti ad evitare il contagio, e in questo caso avrei una sottostima della reale prevalenza; o al contrario, quelli più ansiosi di sapere se quel febbrone avuto un mese prima sia stato o meno causato dal coronavirus: in questo caso, la prevalenza sarebbe sovrastimata.

Insomma, i risultati non sarebbero attendibili.

Maggiori dettagli sul protocollo dello studio nazionale si possono trovare a questo link http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_campagneComunicazione_146_0_file.pdf

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Redazione

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