L’Oasi che brucia, in una comunità che deve rinascere

L’OASI CHE BRUCIA, IN UNA COMUNITÀ CHE DEVE RINASCERE
L’incendio che ha colpito l’Oasi Lago Salso è stato un colpo durissimo per l’ambiente, per la fauna, per le persone che vivono nei dintorni e per tutta la nostra comunità. Sono andati in fumo oltre 800 ettari di territorio, un’area unica per biodiversità, valore paesaggistico e funzione ecologica.
L’Oasi non è solo un luogo naturale, è una parte della nostra storia. Oggi brucia, ma non solo per colpa delle fiamme. Brucia per colpa del tempo, dell’abbandono, della mancanza di una visione. E brucia anche nella coscienza di una città che si riscopre fragile, impreparata, ma forse ancora in tempo per reagire.
È giusto chiarire che non si cercano responsabili da accusare. Nemmeno chi governa oggi, che si è ritrovato, come tanti, travolto da un evento tanto tragico quanto prevedibile. Ma è proprio questo il momento per aprire gli occhi e cominciare a parlare seriamente del futuro dell’Oasi.
Perché questo disastro sia almeno un punto di svolta. L’Oasi Lago Salso ha una storia lunga e complessa. Parliamo di una vasta area umidache negli anni ‘50 attrasse l’interesse di imprenditori agricoli del nord Italia. In quell’epoca l’Oasi era un modello: si lavorava, si produceva, si creava occupazione stabilmente.
Poi, nel 1978, l’area tornò al Comune di Manfredonia. Fu la fine di quell’equilibrio.
Vari tentativi di gestione pubblica si sono succeduti, ma nessuno è riuscito a replicare quanto fatto in precedenza. L’inclusione dell’Oasi nel Parco Nazionale del Gargano, avvenuta nel 1999, avrebbe potuto rappresentare una svolta, ma nei fatti si è rivelata insufficiente: vincoli rigidi, poche risorse, nessuna vera presa in carico.
Nel frattempo, la natura ha fatto il suo corso, senza cura, senza manutenzione. I canali si sono ostruiti, le acque stagnanti hanno favorito incendi, i cinghiali si sono moltiplicati a dismisura fino a diventare un’emergenza. L’Oasi è diventata un luogo dimenticato, dove l’abbandono ha preso il posto della bellezza. E così siamo arrivati a oggi, a quest’ultimo incendio, che più che un fulmine a ciel sereno, è stata la cronaca di una catastrofe annunciata.
Un anno fa si è discusso di trasformare l’Oasi in Riserva Statale. Una proposta forte, capace di garantire tutela, risorse, strumenti, ma anche vincoli importanti e rigidità potenzialmente incompatibili con la vocazione civica e produttiva del territorio. La proposta è stata respinta, forse troppo in fretta, forse per paura di perdere il controllo locale.
Ma oggi dobbiamo dirci la verità: il controllo locale, da solo, non ha funzionato. È il momento di tornare a ragionare, senza ideologie e senza pregiudizi.
Cosa conviene davvero fare?
Lasciare tutto così com’è, confidando che non ci siano altri incendi, o costruire finalmente una governance nuova, che sia in grado di coniugare tutela ambientale, fruizione sostenibile e protagonismo delle comunità?
Una delle strade possibili e oggi necessarie è quella della costituzione di una ASBUC, una Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico. Si tratta di uno strumento giuridico già previsto dalla legge, che permette di gestire collettivamente beni come l’Oasi, rispettando il vincolo di uso civico e coinvolgendo direttamente i cittadini nelle scelte e nella gestione. Un modello che tiene insieme responsabilità locale, accesso a risorse, visione strategica e sostenibilità economica.
Proprio ieri, nello spazio Apocrifi alla Marina del Gargano, si è tenuta un’assemblea cittadina promossa dalla Bottega degli Apocrifi. La partecipazione è stata numerosa, sentita, segno di una comunità che c’è, che vuole capire e proporre.
Ma si è anche percepito il rischio di trascinare la discussione su binari populisti, emotivi, disordinati. È il momento della serietà.
Servono competenze, conoscenza, autorevolezza. Per questo sarebbe più opportuno la convocazione urgente di un tavolo tecnico o, meglio ancora, un Consiglio comunale aperto dedicato esclusivamente alla questione dell’Oasi, dove tutte le forze politiche si svestano dei propri colori e si siedano insieme, con tecnici, enti, autorità competenti, per fare il punto da cui ripartire.
Serve un luogo istituzionale dove la cittadinanza sia rappresentata, ascoltata e coinvolta. Un luogo dove si tracci finalmente una strada. La natura, dopo un incendio, può rigenerarsi. Ma noi dobbiamo cambiare.
Dobbiamo decidere se vogliamo essere spettatori di altri disastri o protagonisti di una rinascita possibile. L’Oasi Lago Salso può tornare a vivere.
Ma solo se questa volta, finalmente, decidiamo di prendercene davvero cura. Insieme.
Gaetano Brigida