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GarganodaScoprire: “Il dente miracoloso di San Matteo: la protezione divina per uomini e animali”

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IL DENTE MIRACOLOSO DI SAN MATTEO: LA PROTEZIONE DIVINA PER UOMINI E ANIMALI.

Il Santuario di San Matteo Apostolo è tra i luoghi sacri più amati e visitati del nostro promontorio. In passato era conosciuto come il convento di San Giovanni in Lamis, ma fu solo nella seconda metà del XVI secolo che la struttura cambiò nome, quando la custodia e la proprietà passarono ai Frati Minori Osservanti.

Durante questo periodo, secondo la tradizione, fu portata una reliquia di enorme importanza, un dente molare attribuito a San Matteo. Non ci è dato sapere come esattamente giunse sul Gargano, ma secondo il francescano umbro Agostino Mattielli, in visita canonica nel 1686, il dente fu portato direttamente da un cardinale, all’epoca abate commendatario del feudo ecclesiastico di San Giovanni in Lamis.

L’ipotesi che la reliquia sia stata traslata da Salerno appare plausibile, considerando gli antichi legami con l’Abbazia di Montecassino, l’intera Campania e il Gargano, rafforzati dal culto micaelico.

La presenza di una statua lignea dell’apostolo e la venerazione della reliquia catalizzarono un fervente interesse devozionale. San Matteo, inizialmente venerato come apostolo ed evangelista, assunse un nuovo ruolo di taumaturgo, rispondendo ai bisogni spirituali e materiali delle comunità locali. Il “dente” dell’apostolo evocava una protezione contro i morsi di cani rabbiosi e serpenti velenosi, pericoli comuni nella vita dei contadini e dei pastori.

I pellegrini che salivano al Santuario di San Matteo cercavano protezione non solo dai morsi di serpenti e cani, ma anche da quelli di cavalli, asini, maiali, lupi e orsi. Questi animali rappresentavano una minaccia concreta per la popolazione rurale, come documentato in una lunga serie di ex voto pittorici conservati nel santuario. Decine di tavolette votive testimoniano anche le guarigioni miracolose di animali, associando San Matteo alla guarigione degli indemoniati, delle persone e degli animali morsi da cani rabbiosi.

Questo fenomeno non può essere compreso senza considerare il contesto storico, culturale, socio-economico e devozionale del promontorio garganico. Il cambiamento riflette l’influenza dei pastori transumanti provenienti dal Molise e dall’Abruzzo, che portarono con sé tradizioni e credenze profondamente radicate nella simbiosi tra uomo e natura. Il “cammino” del pastore spesso coincideva con il “cammino” del pellegrino, come dimostra il Regio Tratturo Pescasseroli – Candela, portando a una coincidenza della ciclicità del tempo liturgico con quella del tempo dei transumanti.

Sono molte le testimonianze che riportano queste peculiarità del culto del santo.

Lo stesso domenicano Serafino Razzi, in viaggio per la grotta di San Michele a Monte Sant’Angelo, ne fa un accenno nel suo diario “I viaggi adriatici”, redatto nella seconda metà del XVI secolo:

“Da Stignano, beuto che havemmo un poco ancora noi, partimmo, et salendo per quella valle trovammo al III miglio San Marcuccio, Terra picciola e murata, abondante di pomi, e di castagne. E più alto un altro miglio trovammo San Matteo: Badia del signor Giovan Vincenzo Caraffa, cavailiere di Malta, e priore di Ungheria, ove sono liberati gli Indimoniati, e coloro che sono morsi da i cani arrabbiati sono sanati.”

Francesco Gonzaga, già Ministro Generale dei Francescani Osservanti, nunzio apostolico di Clemente VIII in Francia, nel suo “De origine Seraphicae Religionis” (1587), riferisce (versione tradotta):

“Se qualcuno, morso da cane rabbioso, unge la ferita con l’olio della lampada che arde nella cappella del B. Evangelista Matteo viene liberato dal male. Lo stesso rimedio giova anche agli animali affetti da rabbia. Questo è il motivo per cui la chiesa viene indifferentemente detta di San Giovanni o di San Matteo…”

Lo stesso Agostino Mattielli, nel suo “Viaggio in Puglia”, ci racconta:

“… un dente di questo Apostolo … che si conserva in sagristia in un ostensorio d’argento et è in grande devotione appresso a tutta la Puglia per li continui miracoli che fa e le gratie che se ne ricevono, massime per l’infermità dell’animali de’ quali abbonda la Puglia: cavalle, pecore, vaccine, porci e tutti che toccati con l’oglio della lampada che arde davanti all’altare di esso Santo guariscono subito e ciò si vede ogni giorno…”

Michelangelo Manicone, verso la fine del XVIII secolo ci fornisce anche la sua testimonianza:

“La chiesa è un Santuario celebre, perché vi si conserva il Sagrato Dente del Gloriosissimo Apostolo. Tutte le persone da animali rabbiosi morsicate vengon qua a prostarsi dinanzi alla Statua del Santo, e dinanzi al Dente, ed a sciorre i voti, ond’esser dalla terribile rabbia liberati. Quindi la gran confluenza di tutti i popoli del Gargano, della Pianura Dauna ed anche degli Irpini, e de’ Frentani.”

Manicone aggiunge alcuni dettagli interessanti riguardo alle pratiche legate fortemente alla superstizione, che spesso accompagnavano quelle devozionali. Lui stesso raccomandava ai pellegrini di consultarsi innanzitutto coi medici per poi, una volta guariti, recarsi in pellegrinaggio per ringraziare il santo.

Secondo le fonti, quindi, la devozione popolare verso San Matteo era profondamente radicata nel potere taumaturgico attribuito sia all’olio della lampada, che ardeva sull’altare della chiesa del convento accanto alla reliquia del dente, sia alla reliquia stessa, col fine di guarire uomini e animali morsi dai cani rabbiosi.

Il culto era caratterizzato da una forte componente identitaria. Le pratiche devozionali, come la benedizione degli animali, riflettevano il legame profondo tra la comunità e il territorio, tanto da plasmare alcuni aspetti delle tradizioni secondo la fantasia e il volere della popolazione locale. Un esempio emblematico è il cavallo, che divenne l’animale preferito del santo. Molti cavalli venivano infatti chiamati “Matteo”, come attestato dai registri zootecnici dell’epoca.

La reliquia di San Matteo non era solo un oggetto di venerazione, ma un simbolo di una tradizione viva e pulsante. Ancora oggi, la devozione è vivace e coinvolgente. Contadini e pastori contribuiscono attivamente alle celebrazioni, che includono non solo la venerazione della reliquia, ma anche l’uso di olio benedetto e la partecipazione a riti che coinvolgono la statua del santo e il santuario stesso.

Questi riti sono espressione di una fede che si intreccia con la vita quotidiana e le attività produttive della comunità, spesso legate al mondo animale.

Fotografie:

G. BARRELLA, A. GRANA, Google Earth Studio.

Fonti:

– “DA EVANGELISTA A TAUMATURGO, LA TRASFORMAZIONE DEL CULTO DI SAN MATTEO SUL GARGANO”, di C. Scardigno (O.P. MONTE DI PIETÀ E CONFIDENZE – ARCICONFRATERNITA DEL S. MO SACRAMENTO MOLFETTA).

– “L’UNITÀ DI BARI. SANTUARI, PELLEGRINAGGI, ESPERIENZE DEVOZIONALI: IL PERCORSO DI UNA RICERCA”, L. Carnevale (Estratto – Biblioteca Tardoantica 11).

– “Il Convento di San Matteo sul Gargano e il territorio vol. I”, p. M. Villani (Andrea Pacilli Editore).

– “L’Insigne Abbazia di San Giovanni in Lamis detta poi di San Marco in Lamis e suoi Abati”, L. Giuliani (Bastogi)

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