Bossetti confessa a ‘Belve Crime’: ‘Ho tentato il suicidio in carcere’
Una confessione inedita, tra disperazione e speranza: Massimo Bossetti si è raccontato in esclusiva su Rai2.

Nel gelo del carcere di Bollate, Massimo Bossetti — muratore di Mapello condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio — si è fatto portavoce di un’immagine diversa da quella descritta dalla giustizia. Interrogato con fermezza da Francesca Fagnani nella prima puntata di “Belve Crime” andata in onda martedì 10 giugno, ha ammesso di aver sfiorato la morte più volte, affidandosi però alla preghiera e — sorprendentemente — al ricordo della giovane vittima. A undici anni dal suo arresto avvenuto il 16 giugno 2014, e sette dalla sentenza definitiva del 12 ottobre 2018, Bossetti continua a proclamare la sua innocenza, accusando la macchina giudiziaria di averlo trasformato in un “mostro” piuttosto che cercare la verità. “Sopravvivo all’ingiustizia che sono costretto a vivere ogni giorno” ha detto.
Bossetti: il tentato suicidio e il dramma personale
Durante l’intervista, sono emersi dettagli drammatici e inediti. Bossetti ha confessato di aver tentato il suicidio dopo aver scoperto i tradimenti della moglie Marita: è stato trovato con la testa nel lavandino e una cintura al collo, salvato in extremis dagli infermieri del carcere. L’uomo ha descritto il gesto come un’azione automatica, priva di pensieri razionali, un grido di dolore, d’amore tradito e di impotenza. Bossetti ha raccontato che, dopo, ha trovato la forza di reagire nel legame — seppur distante — con la famiglia: “Mia moglie è ancora al mio fianco. Ci sentiamo sempre, siamo uniti e vedo i miei figli una volta a settimana”. Inoltre, Bossetti ha rivelato di pregare ogni giorno per Yara. “Né io né lei abbiamo ricevuto giustizia” ha dichiarato.
Le ombre sul DNA e la denuncia di presunte anomalie
L’intervista si è accesa quando Fagnani ha incalzato Bossetti sul DNA ritrovato su slip e leggins di Yara. L’ex muratore di Mapello ha ribadito che quella traccia non gli appartiene, o quanto meno non è stata acquisita seguendo metodi corretti. Il detenuto non si capacita di come il suo DNA sia finito sul corpo della ragazzina, accusando, inoltre, la gestione delle prove di incertezza scientifica e possibile contaminazione. Il condannato ha puntato il dito contro la disparità di trattamento tra DNA nucleare e quello mitocondriale, sottolineando la presunta contraddizione tra un “assurdo anomalo” scenario e la certezza legale che invece sostiene la sentenza.
I drammi personali di Bossetti
Nell’intervista è emerso un uomo segnato, ma non spezzato. Massimo Bossetti ha raccontato le difficoltà economiche nelle quali era caduto — difficile pagare i debiti in cantiere, rinviare gli stipendi — e come queste abbiano indotto a inventare malattie fingendo di avere un tumore al cervello, diventando “il Favola” tra i colleghi. C’è poi un altro, drammatico, elemento familiare: la scoperta di essere figlio biologico di un’altra persona e non di colui che pensava essere suo padre. Frustrazione, tradimento, perdita di punti di riferimento: tutto gravita intorno al “sistema Bossetti” che si sgretola, tra la pena inflitta e le relazioni personali che si rompono sotto il peso della condanna. Bossetti ha spinto per riaprire un dibattito sul caso, sulle modalità dell’inchiesta, sulla trasparenza dell’accertamento. “Le sentenze vanno rispettate, ma si possono anche mettere in discussione” ha affermato. Il ricorso alla Corte suprema è per lui un simbolo di una battaglia ancora aperta.
