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“Auschwitzland non incita all’odio”, assolta la Ticchi. Procura fa ricorso

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Selene Ticchi, la donna che utilizzò una maglietta che rimandava al logo Disney trasformato in “Auschwitzland”, è stata assolta dalla violazione della Legge Mancino. Per la donna, che nel 2018 aveva indossato la maglietta a Predappio per celebrare l’anniversario della Marcia su Roma, mancano le prove sulla “portata distintiva” del logo e sul fatto che quel logo, che ironizzava sul massacro di Auschwitz, perseguisse realmente finalità di incitazione alla discriminazione. 

Ticchi, all’epoca militante di Forza Nuova, non avrebbe offeso nessuno secondo il tribunale di Forlì. Le motivazioni della sentenza, pronunciata dal giudice Marco de Leva, puntano molto sulla mancanza di prove a carico della donna. “In ordine alla portata distintiva del segno grafico esibito da Ticchi, alla genesi del logo, per come ostentato sulla maglietta, all’uso che ne viene fatto e al suo grado di diffusione”. E ancora: “Non può ritenersi che abbia rilievo penale un qualsivoglia segno grafico”. 

La Procura, però, in queste ore ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo fermamente che quella maglietta era un simbolo di discriminazione e quel logo era comune a molti gruppi fondati sull’apologia della Shoah. Laura Brunelli, pm, aveva chiesto una condanna a nove mesi per la Ticchi. Per la Procura, che ha impugnato la sentenza in Cassazione, non si può dire che l’immagine dell’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz non sia un segno grafico dotato di portata distintiva, ovvero che non sia nota la sua portata simbolica e la sua pubblicità in molti contesti e mezzi. “La rappresentazione di esso, ancorché in offensiva forma grafica giocosa rimanda sempre, pesantemente, al genocidio degli ebrei la cui denigrazione, mediante raffigurazione con stampa Disney, assume maggior efficacia di apologia della Shoah”. 

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