La fuga in Puglia di Celestino V’, la storia raccontata da Vincenzo D’Errico

Chi di noi sa di Celestino V qualcosa in più rispetto a quanto detto nel celeberrimo verso dantesco ‘…che fece per viltade il gran rifiuto’ (LX verso del III Canto dell’Inferno) alzi la mano! In realtà la figura di Celestino V, che sedette sul soglio pontificio per pochissimo tempo, è molto più complessa rispetto a quanto si possa credere: non si trattò, Dante ce ne perdoni, di un rifiuto dettato dalla viltà ma di una scelta ben ponderata… un’eroica rinuncia’ come affermò Paolo VI. Il saggio ‘La fuga in Puglia di Celestino V’ del foggiano Vincenzo D’Errico vuole ripercorrere l’ultimo periodo di vita di Pietro dal Morrone – da Papa prese il nome di Celestino V – che proprio sul Gargano cercò la salvezza in quanto sentì il pericolo di poter essere privato della propria libertà da parte di Bonifacio VIII, colui che da tempo mirava al potere pontificio.

Celestino V fuggì da Vieste per raggiungere la Grecia ma una tempesta arrestò il suo viaggio e fu costretto a tornare indietro; da quel momento in poi non provò più a fuggire da quella che diverrà la sua prigione convinto che il suo destino fosse rimanere lì dove, poco dopo, fu difatti catturato dagli sgherri di Bonifacio VIII. La vicenda dell’Incoronazione del ‘monaco Papa’ è complessa: nel 1310 Clemente V proclama Papa il monaco con il titolo di confessore e non il papa Celestino V ed infatti al momento della morte Pietro non era più Celestino. La canonizzazione venne poi voluta dal re di Francia. Solo molto secoli dopo il calendario romano aggiunse al nome di Pietro quello di Celestino.
Pietro dal Morrone era un monaco eremita dedito alla preghiera e ad una vita veramente santa, come spiega bene D’Errico, ed è facile capire quanto si possa essere sentito inadeguato fin dal primo momento nel dover gestire ‘beghe burocratiche’ ed un potere più grande di lui. La sua scelta di abbandonare il ruolo di Pontifex maximus non fu dovuta alla vigliaccheria ma ad una sana consapevolezza di trovarsi a ricoprire un ruolo non adatto alla sua spiritualità. Altro elemento che fortemente contribuì alla disfatta di Celestino V fu la presenza incalzante di quello che sarà il suo successore, Bonifacio VIII: anch’egli, nonostante fosse ancora in vita, non verrà risparmiato da Dante che senza censure di sorta lo pone all’Inferno tra i simoniaci (coloro che svolgono compravendita di cariche ecclesiastiche). Bonifacio VIII, a differenza del suo predecessore rinunciatario, aveva molto a cuore il possesso del potere temporale e sapeva, essendo tra i maggiori esperti di diritto canonico, come muoversi tra i cavilli giudiziari per trarre vantaggio per la sua posizione. “Questo libro è nato sull’onda della curiosità”, spiega l’autore D’Errico; “la scoperta che i luoghi dove papa Celestino V ˗ tornato frate Pietro dal Morrone ˗ ha vissuto le sue ultime giornate da uomo libero, sono luoghi a me conosciuti, a pochi chilometri dalla mia città di Foggia: Apricena, la Foresta Umbra, Rodi Garganico, Vieste. Non ho certo la pretesa di aver scritto un saggio storico, ma sono sicuro di aver scrupolosamente tentato di coniugare le fonti che sono riuscito a rintracciare alla mia fantasia, documentando il documentabile e immaginando il resto”.

La figura di Celestino V riporta alla mente quella più recente di Benedetto XVI che nel 2013 rinunciò al soglio pontificio, al ‘ministero di vescovo di Roma successore di San Pietro’; anch’egli un uomo di fede, tra i più grandi studiosi di teologia al mondo ma poco avvezzo a gestire poteri così forti e contrastanti come sono quelli presenti in Vaticano. Anche in questo caso non una rinuncia per viltà ma una scelta dettata da consapevolezza e forza d’animo.
Marilina Ciociola