Scomparsa Emanuela Orlandi: la pista dei “cinematografari”
Un appunto inedito scritto da Emanuela Orlandi, risalente a un mese prima della sua scomparsa, ha riaperto la pista del regista Bruno Mattei.

La scomparsa di Emanuela Orlandi rimane il buco nero più insondabile della cronaca italiana. A oltre quarant’anni dagli eventi, la Commissione bicamerale ha riportato alla luce un appunto autografo della ragazza, redatto circa un mese prima del 22 giugno 1983. Nell’appunto è citato un “teatro-cineforum” sulla Cassia, un luogo oggi dimenticato, ma che all’epoca si trovava non lontano da dove viveva il regista Bruno Mattei, figura controversa del cinema popolare italiano. La coincidenza geografica, il dettaglio dell’evento frequentato da Emanuela e perfino l’avvistamento di un’automobile compatibile con quella usata dal regista fanno riaffiorare una pista che era stata sfiorata negli anni Ottanta e poi abbandonata. Il mondo dei “cinematografari” torna così a collidere con una delle vicende più oscure della storia repubblicana, offrendo scenari nuovi, disturbanti, e ancora tutti da verificare.
Il regista individuato: Bruno Mattei
L’appunto di Emanuela parrebbe descrivere un cineforum sulla Cassia dove la ragazza avrebbe assistito a uno spettacolo teatrale-cinematografico. Poco distante si trovava la casa di Bruno Mattei, regista che negli anni Settanta e Ottanta aveva costruito la sua carriera tra exploitation, horror a basso budget, film di guerra e produzioni rapide destinate ai mercati esteri. Un cinema grezzo, artigianale, popolato da comparse, scenografi improvvisati, direttori di fotografia precari e interi ambienti semi-clandestini.
Le indagini della Commissione sottolineano che una BMW verde metallizzato, vista nei pressi della ragazza nei giorni precedenti alla scomparsa, coincide con il modello utilizzato da Mattei all’epoca. Non è una prova, ma un dettaglio che riapre interrogativi mai veramente affrontati. Per quarant’anni il nome del regista è rimasto ai margini dei fascicoli, quasi un’ombra. Oggi quella stessa ombra torna a interrogare la ricostruzione tradizionale del caso. Che cosa ci faceva Emanuela a un cineforum di quel tipo? Chi la portò? E con chi entrò in contatto?
La pista dei “cinematografari”
Quando si parla di “cinematografari” ci si riferisce a una fauna specifica della Roma anni Settanta-Ottanta: tecnici malpagati, aspiranti attori, proprietari di piccoli teatri, registi di serie B, fotografi, operatori, gente che negli anni del declino della grande industria cinematografica si arrangiava come poteva, spesso orbitando attorno alla Cassia, alla Balduina, alle zone periferiche più economiche per affittare teatri o laboratori. Era un mondo fatto di proiezioni notturne, laboratori artigianali, casting improvvisati e frequentazioni ibride.
La scoperta dell’appunto rimette in gioco quel microcosmo, suggerendo che Emanuela potrebbe aver avuto un contatto – volontario o meno – con persone appartenenti a quell’ambiente. Se questa pista fosse confermata, la narrativa classica del caso Orlandi si rimescolerebbe drasticamente, allontanandosi dalle teorie sui grandi poteri e avvicinandosi invece a un contesto più quotidiano, più vicino alla vita della ragazza e ai luoghi che frequentava.
Cosa significa questa nuova direzione
La pista dei “cinematografari” nell’indagine produce un effetto duplice. Da un lato apre spiragli prima ignorati, costringendo gli investigatori a ripercorrere vie trascurate dagli inquirenti dell’epoca. Dall’altro impone prudenza: la vicinanza fra cineforum, Mattei e appunto è un indizio, non una soluzione. La nuova documentazione, però, offre finalmente un quadro più organico. Forse Emanuela non fu catturata da poteri remoti e inaccessibili, forse il primo anello della catena si trovava molto più vicino a lei, nella Roma dei piccoli teatri e delle produzioni clandestine.
Il nuovo appunto apre una domanda che pesa come un macigno: quel cineforum fu l’ultimo luogo in cui Emanuela incontrò qualcuno che non avrebbe dovuto? Il nome di Bruno Mattei, rimasto finora sullo sfondo, entra ora nella luce di un’indagine che non smette di cambiare forma. Resta da capire se la pista dei “cinematografari” sia finalmente la chiave giusta o un altro corridoio verso il nulla. Ma una cosa è certa: questa vicenda non ha ancora finito di parlare.
