La Telenovela piemontese: fake o geniale operazione meta-TV?
Il mistero della “Telenovela piemontese” lanciata dalla Gialappa’s in Mai dire TV: era reale o costruita a tavolino?

Ci sono fenomeni che, a distanza di trent’anni, continuano a resistere come fantasmi televisivi. La cosiddetta “Telenovela piemontese”, così ribattezzata dalla Gialappa’s Band negli anni Novanta, è uno di questi. C’è chi la ricorda come una vera soap, povera e artigianale, trasmessa da una piccola emittente locale e poi approdata su Italia 1 grazie allo zapping dissacrante di Mai dire TV. C’è chi, invece, sostiene con fermezza che non sia mai esistita al di fuori di quel contenitore satirico, che sia stata concepita a tavolino come perfetta parodia del genere, costruita per sembrare talmente scadente da risultare irresistibile. E il bello è che, dopo decenni, nessuno è riuscito a dimostrare con certezza né l’una né l’altra ipotesi, trasformando quella soap in un mito che vive più di memorie e suggestioni che di prove concrete.
La Telenovela piemontese a giudizio: il verdetto definitivo(?)
Mai dire TV, in onda fra il 1991 e il 1993, aveva la missione dichiarata di frugare nei palinsesti locali e proporre al grande pubblico le “meraviglie” della tv minore. Fu in quel contesto che emerse Sogni d’amore, ribattezzata con affetto e ironia “Telenovela piemontese”. La trama era un mosaico confuso di amori, tradimenti, padri che cambiavano nome di puntata in puntata e figlie che non sembravano mai le stesse. Ogni episodio si chiudeva con un cartello finale che sanciva il “termine della puntata”, come se esistesse davvero una serialità consolidata, eppure i materiali trasmessi in prima serata erano quasi sempre spezzoni identici, montati in modo da sembrare l’ennesima conclusione di un capitolo. Un gioco narrativo troppo perfetto per essere frutto del caso. Secondo la versione “classica”, riportata da diverse schede televisive e da Wikipedia, la soap sarebbe nata sul circuito piemontese, trasmessa da emittenti come Rete 3 Manila o TF9, prodotta a bassissimo costo e interpretata da attori dilettanti. Ma la stessa enciclopedia digitale annota la stranezza di due “prime puntate” differenti, dettaglio che suona più come un indizio postmoderno che come un errore produttivo. Altri archivi digitali, come Davinotti, spingono più in là: parlano di “serie apocrifa”, quasi certamente confezionata ad hoc per la Gialappa’s. In tempi più recenti, il blogger televisivo MikiMoz ha indagato a fondo sull’enigma, arrivando a una possibile e coerente conclusione: Sogni d’amore non sarebbe, in realtà, mai stata trasmessa altrove. Non esiste traccia nei palinsesti locali, nessun giornale d’epoca ne certifica la messa in onda. E allora l’ipotesi più plausibile è che si trattasse di un mockumentary televisivo ante litteram, ideato e prodotto negli ambienti Fininvest, o al di fuori di essi, come materiale grezzo da consegnare alla Gialappa’s per la loro satira. Un prodotto costruito a tavolino, su cui la stessa Gialappa’s avrebbe potuto esercitare la propria ironia. In quegli anni Italia 1 sperimentava molto, mescolando veri reperti delle emittenti locali a filmati confezionati apposta per Mai dire TV. Una parte significativa di quel “trash televisivo” tanto amato dal pubblico non era quindi frutto del caso, ma materiale studiato con cura per far brillare la satira del trio. A rafforzare questa pista c’è il mistero più affascinante: gli attori fantasma. Nessuno di loro è mai stato identificato con certezza. Non esistono interviste, non circolano biografie, non si trovano curricula teatrali o cinematografici che li colleghino alla soap. Un silenzio assordante, che può essere letto in due modi. Se davvero fosse stata una produzione locale, ci si aspetterebbe che almeno uno degli interpreti, a distanza di anni, si fosse fatto avanti, rivendicando il proprio ruolo in un piccolo cult televisivo. Il fatto che ciò non sia avvenuto alimenta la tesi opposta: i volti erano forse figuranti, studenti di recitazione, o persino collaboratori interni alla produzione, vincolati da accordi di riservatezza. Volti costruiti per restare anonimi e dissolversi nel mito. Ma a venirci di nuovo incontro è Mikimoz che, da ottimo e premuroso filologo televisivo, riesce a darci qualche nome: una donna di nome Alessandra (che nella serie avrebbe interpretato il personaggio di Lucrezia) e un certo Massimo F. che avrebbe interpretato il ruolo di un aggressore in un episodio. Su Carlo Maria, il “Baluba”, grottesco e irresistibile protagonista della serie, si dice che il suo nome reale sia Paolo e che lavorasse all’epoca come cameraman. Il Baluba, la camiciaia, le fidanzate “mutaforma” di Carlo Maria, i famosi “viali” del tutto esageratamente antisettici, la prostituta chiamata “peripatetica” e poi… l’indimenticabile Mago Gabriel, l’unico personagggio di cui sappiamo dirvi qualcosa in più! Nato Salvatore Gulisano a Catania nel 1947 e trasferitosi a Torino negli anni Settanta, fu per anni un volto noto delle emittenti locali piemontesi. Conduttore notturno di programmi esoterici su reti come Rete 3 Manila, si presentava in scena con candele, tarocchi e formule incomprensibili, spesso pronunciate con un linguaggio barocco e bizzarro che mescolava italiano, dialetto e neologismi. Era un personaggio vero, non inventato, e proprio questa sua natura ambigua lo rese materiale perfetto per la Gialappa’s Band, che ne fece un cult televisivo. Gabriel è morto nel 2010, lasciando dietro di sé un mito che resiste soprattutto grazie a quelle apparizioni surreali. Dentro la cornice di Sogni d’amore, la sua figura acquisisce un’aura quasi mitologica. Non era un protagonista stabile come il “Baluba”, ma piuttosto un’apparizione laterale, un guest star che irrompeva per spostare il racconto su territori inaspettati. In una soap già segnata da nomi che cambiavano di puntata in puntata e intrecci incoerenti, la presenza del Mago Gabriel introduceva una dimensione soprannaturale: i suoi riti, le sue formule e i suoi gesti solenni diventavano elementi narrativi che mescolavano melodramma e occultismo. Il suo ruolo era quello di un oracolo, di un consigliere oscuro. In più di una sequenza si vedono i protagonisti della telenovela che lo interpellano per ricevere risposte sul proprio destino sentimentale, come se la soap, a corto di coerenza, trovasse nella magia la scorciatoia narrativa per giustificare svolte improvvise. Le sue apparizioni surreali e no-sense erano costruite per sembrare decisive ma in realtà restavano sospese, aumentando il senso di straniamento. Parlando di altre “bizzarrie” della Telenovela piemontese c’è poi la questione stilistica. Le incongruenze narrative – padri che cambiano nome, figlie che appaiono e scompaiono, relazioni famigliari rimescolate a piacere – sono così insistite e reiterate da sembrare scritte a tavolino. Non più errori accidentali, ma una cifra voluta, un meccanismo comico progettato con la precisione di una parodia. A pensarci bene, era il modo perfetto per spingere il pubblico a ridere non solo delle assurdità della soap, ma del genere televisivo in sé, esasperando le stesse dinamiche che avevano reso popolari le telenovelas sudamericane negli anni Ottanta. Eppure, nonostante tutte le evidenze, il dubbio resiste. Alcuni cultori della televisione insistono nel credere a un nucleo reale, a una produzione autentica rimaneggiata e rimontata per la prima serata. Forse esisteva davvero un embrione di soap provinciale, mai decollata, recuperata e manipolata fino a diventare l’oggetto ibrido che conosciamo. In questo scenario, l’operazione Gialappa’s avrebbe funzionato come un laboratorio di riscrittura: dal materiale “sporco” di un’emittente minore sarebbe nata una delle invenzioni più raffinate di meta-televisione italiana. Ciò che resta, oggi, è soprattutto un mito condiviso. I frammenti circolano su YouTube, le pagine ufficiali della Gialappa’s li ripropongono periodicamente, e ogni volta i commenti si dividono fra chi ricorda di averla vista davvero sulle tv locali e chi giura che sia stata solo una farsa. La memoria collettiva funziona così: ricompone ciò che non c’è più, rimescola ricordi autentici e suggestioni indotte, costruisce una leggenda capace di resistere anche senza prove tangibili. Il verdetto finale, dunque, non può essere definitivo. Le fonti più accreditate e le indagini indipendenti puntano con decisione verso l’ipotesi del fake orchestrato da Fininvest e Gialappa’s, con attori anonimi e copioni volutamente paradossali. Ma l’assenza di una confessione ufficiale, il silenzio degli interpreti e la memoria ambigua di chi giura di averla vista su Rete Manila mantengono viva la leggenda. Forse la vera forza della “Telenovela piemontese” non sta nella sua esistenza o inesistenza, ma nella sua capacità di sopravvivere come mistero irrisolto, un gioco di specchi tra realtà e finzione che ha anticipato l’era della post-verità televisiva. E in fondo è questo il suo lascito più prezioso. Non importa se sia stata girata in un garage torinese o in uno studio Fininvest: quella soap inesistente ha insegnato a generazioni di spettatori a dubitare di ciò che vedono in tv, a ridere dell’assurdo, a sospettare che dietro ogni “trash” possa esserci una raffinata strategia di intrattenimento. Un capolavoro involontario o perfettamente calcolato: la differenza, forse, non conta più.
