Artigiane, terapeute, sacerdotesse: il racconto del ‘femminile’

ARTIGIANE, TERAPEUTE, SACERDOTESSE: IL RACCONTO DEL ‘FEMMINILE’ NELLE STELE DAUNIE.
Nel Gargano e in tutta la Daunia, in ogni epoca storica, le donne hanno avuto un ruolo sociale determinante, anche se spesso occultato per via di una cultura maschile predominante. Oggi, l’Archeologia e certi studi antropologici ci forniscono ulteriori dati per confermare quanto detto.
In un angolo dell’antica Apulia, tra il IX e il I secolo a.C., fioriva una civiltà affacciata sulla laguna, oggi perduta, della Daunia. Qui, nel cuore di una cultura indigena arcaica e potente, le donne non erano mere figure d’ombra: erano protagoniste. Il loro ricordo non ci è giunto attraverso cronache o lettere, ma scolpito nella pietra – sulle stele antropomorfe – che ci parlano ancora oggi con la forza simbolica del rito e dell’immagine.
Le stele daunie, alte lastre calcaree decorate con pigmenti rossi, neri e bianchi, risalgono a un periodo compreso tra la fine dell’VIII e l’inizio del VI secolo a.C. Scolpite con dovizia di dettagli, raffigurano scene di vita, riti, duelli, cacce e misteriose cerimonie. Ma soprattutto, raffigurano donne. Donne in numero superiore rispetto agli uomini. Donne centrali, solenni, non solo come spose o madri, ma come sacerdotesse, terapeute, artigiane, profetesse.
LA STELE COME SIMULACRO.
Non tutte le stele erano funerarie. Alcune erano troppo piccole per segnare una sepoltura. Sembrano piuttosto ex voto, oggetti propiziatori, forse simulacri di culto rivolti a una coppia sacra: un guerriero e una sacerdotessa, talvolta assimilabili a divinità. La sacerdotessa compare spesso in abiti solenni, col corpo adornato da collane, fibule, simboli e amuleti, molti dei quali riconducibili a capsule di papavero da oppio, sacra pianta dalle virtù medicinali e visionarie.
LA DONNA E IL PAPAVERO: TRA MEDICINA E MITO.
L’opium somniferum, il papavero da oppio, è al centro di un mondo ierobotanico antico. La pianta, raffigurata come amuleto, ornamento, o fiore nei capelli delle donne, suggerisce un uso medicinale e rituale, connesso a guarigioni e pratiche oracolari. Come “donne-medicina”, alcune figure scolpite sembrano assistere persone in scene che ricordano sessioni terapeutiche. L’uso del papavero, potente e delicato, unisce il sapere erboristico a una visione sacra del dolore e del sonno.
IL POTERE DELLA PAROLA E DEL GESTO.
Tra le scene scolpite si distinguono donne sedute su troni, spesso intente a tessere al telaio, un gesto carico di simbolismo. In alcune stele, un’adepta più piccola sembra rivolgersi a loro in ascolto, come se aspettasse una risposta sacra: forse una profezia, una formula magica, un canto mitico. È un’immagine che vibra di sacralità e conoscenza. Anche questo gesto, apparentemente domestico, assume qui un valore liturgico: tessere significa creare, unire fili e destini.
IL SEGNO DEL SACRO.
Una delle chiavi più potenti per comprendere l’importanza femminile nelle stele è il simbolo a “VVVV”, spesso inciso nella zona del bacino. Un motivo triangolare, talvolta accompagnato da cerchi che paiono gocce. Forse, suggerisce Maria Laura Leone in un suo articolo, un’allusione al ciclo mestruale. Il numero dei triangoli – da tre a sei – potrebbe indicare i giorni del ciclo stesso. Un simbolismo che lega la donna alla terra, alla semina, alla capacità di generare, ma anche a una sacralità verginale e rituale: non la madre, ma la vergine profetessa.
NON SEMPLICI DEFUNTE.
Le donne raffigurate non sono “defunte” celebrate per il loro rango familiare. Sono figlie di un culto, officianti, figure carismatiche. Le “accolite” scolpite sulla stele rendono omaggio a una figura centrale, con gesti, offerte, e processioni. Le olle portate in equilibrio sulla testa, i papaveri alla cintura, le vesti rituali ci raccontano una liturgia tutta al femminile, in cui il corpo della donna – la sua parola, il suo sangue, le sue piante – diventa mezzo di intercessione col divino.
UN CULTO DELLE VERGINI?
Fonti letterarie antiche, come Licofrone e Timeo di Taormina, confermano indirettamente questo quadro. Raccontano di donne daunie vestite di nero, con il volto dipinto di rosso e un bastone tra le mani – forse proprio il papavero – che si rifugiano nel tempio di Cassandra per sfuggire a matrimoni indesiderati. Qui, legate a un sacerdozio della verginità e della profezia, accettano una vita sacra in onore della figlia di Priamo, profetessa inascoltata. Ancora una volta, la libertà femminile appare intrecciata alla scelta religiosa, al rifiuto della norma patriarcale.
L’ARTE E LA MEMORIA DEL FEMMININO.
Nella Daunia, come forse in Etruria, le donne non vivevano nell’ombra. Partecipavano alla vita pubblica, banchettavano, creavano, officiavano. Non è da escludere che fossero esse stesse artigiane delle stele, progettiste, ideatrici. Le stele parlano di loro perché forse furono proprio loro a parlarne per prime, attraverso le mani che scolpivano e i segni che tramandavano. Un sapere forse riservato, tramandato da donna a donna, come presso le tribù berbere Kabile studiate da Makilam.
Anche la ceramica figurata della Daunia, sebbene posteriore alle stele, conserva tracce di questo mondo simbolico. In alcune scene rare, un uomo e una donna si scambiano una pianta (forse il papavero), o la mangiano insieme. L’uomo tiene una lira dalla quale pende una capsula di papavero, spesso confusa con un plettro. Il vaso stesso, come contenitore, sembra carico di mistero. Spesso è decorato con figure femminili, uccelli, elementi zoomorfi e simboli magici.
UN MONDO ROVESCIATO?
E poi, il mistero. A partire dal VI secolo a.C., molte stele furono rotte e sepolte in tombe o reimpiegate in edifici. Un gesto che può evocare iconoclastia, un rovesciamento culturale. Forse il culto della sacerdotessa era divenuto scomodo, e nuove religioni o poteri maschili ne cancellarono le tracce. Ma la pietra ha resistito al tempo. E oggi, come allora, le stele ci parlano.
Ci parlano di una società in cui il femminile non era marginale, ma cuore pulsante del sacro, dell’arte, della guarigione. Un mondo in cui le donne erano oranti e operanti, intessendo le trame del visibile e dell’invisibile. Un mondo forse perduto, ma ancora leggibile nella lingua silenziosa della pietra.
Archivio di Giovanni BARRELLA.
Ricordiamo di visitare il bellissimo museo ospitato nel Castello di Manfredonia, dove è possibile ammirare le stele daunie in tutto il loro fascino antico. Diversi altri musei sul territorio ospitano ulteriori frammenti di stele.
Fonte e foto: Maria Laura Leone, “DAUNIA ANTICA. Artigiane, terapeute, sacerdotesse: le donne delle stele”, estratto da LEONE 2020, 2021