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Quarant’anni dall’arresto di Enzo Tortora, il più grande errore giudiziario italiano

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Il 17 giugno del 1983, all’hotel Plaza di Roma, veniva arrestato il famoso conduttore televisivo Enzo Tortora. Un grande arresto mediatico, con tanto di manette mostrate a favore di telecamera, che segnerà l’inizio di una tormentata e tragica vicenda giudiziaria. L’accusa contro il famoso conduttore di “Porto Bello”, una trasmissione televisiva della Rai seguita da mezzo Paese, era quella di essere un camorrista. Dopo sette mesi di carcere e arresti domiciliari, Tortora fu assolto dalla Corte di Appello di Napoli. Serviranno, però, altri quattro anni dal suo arresto (il 13 giugno 1987) per arrivare all’assoluzione definitiva della Corte di Cassazione. 

Dopo quell’arresto incredibile, Tortora tornò in televisione alla conduzione del suo “Portobello”. Il suo ritorno in studio fu toccante e memorabile. Tortora, con evidente commozione, pronunciò un discorso che tutti ricordano per il suo incipit: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Dopo un grande applauso del pubblico in studio, Tortora continuò: “Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi anni terribili. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo grazie a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiunto: io sono qui, e lo so, anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta”. 

Il calvario giudiziario di Tortora durò 1.185 giorni. Il giudice Diego Marmo, trent’anni dopo quei fatti, si scusò per il grande abbaglio che portò a uno dei più grandi (e vistosi) errori giudiziari dell’Italia. “Ho richiesto la condanna di un uomo dichiarato innocente con sentenza passata in giudicato. E adesso, dopo trent’anni, è arrivato il momento. Mi sono portato dentro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia di Enzo Tortora per quello che ho fatto. Agii in perfetta buona fede. Non fui il solo a reputare Tortora colpevole: la mia richiesta venne accolta. Il rispetto del mio ruolo di magistrato mi impone di non parlare di altri. Dico solo che mi sbagliai. E che dopo le sentenze di assoluzione, mi resi conto dell’innocenza di Tortora e mi inchinai”. 

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