Fede e religioneStoria

L’iconografia delle sirene in territorio dauno. Gli esemplari di Monte Sant’Angelo e Troia. Da GarganodaScoprire

[esi adrotate group="1" cache="public" ttl="0"]

L’ICONOGRAFIA DELLE SIRENE IN TERRITORIO DAUNO. GLI ESEMPLARI DI MONTE SANT’ANGELO E TROIA.

Le Sirene, fin dall’antichità, hanno sempre affascinato, popolando il fantastico mondo della mitologia. Metà femmina e metà essere acquatico, esse al pari delle Erinni sono state sempre considerate come un essere mostruoso bisognoso di attirare a sé i mortali maschi per ucciderli.

Omero, nell’Odissea, le descrive come esseri fantastici che, dopo aver sedotto con il loro canto i malcapitati naviganti che costeggiavano l’isola in cui dimoravano, ne segnavano irrimediabilmente il destino infliggendo loro una morte tragica.

Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio è invece Orfeo ad avere la meglio, inducendo le Sirene al suicidio dopo aver vinto il loro canto con il suono della cetra.

Euripide, invece, ne capovolge le valenze malefiche descrivendole come splendide creature in grado di addolcire con il loro canto il fatale passaggio delle anime dei defunti nell’aldilà.

Le Sirene diventano un soggetto artistico soprattutto nell’arte romanica, dove vengono simboleggiate, in chiave cristiana, a rappresentare la duplicità della natura umana, in cui il bene e il male convivono.

Nell’arte medievale le Sirene non hanno un vero nome né alcuna valenza positiva; sono una delle tante immagini, pur cariche di significati simbolici, che popolano l’animato mondo fantastico dei bestiari.

L’esempio più lampante in territorio daunio è presente sul “rosone” della chiesa di San Pietro a Monte Sant’Angelo [figg. 1 e 2]. Il rosone risale al 1605 (come inciso sul rosone stesso) ed è strano vedere questo tipo di iconografia scultorea tipica invece delle chiese del XII e XIII secolo.

Le Sirene che animano il rosone di questa chiesa, pur nella natura mostruosa di cui sono partecipi, rivelano una certa sensualità, sottolineata dall’acconciatura, dalle morbide rotondità, dai seni che l’artista ha voluto floridi, attributo di femminilità per eccellenza, ma che, come per le loro compagne di età medievale, mostrano al fedele in modo evidente anche le costole, sottile riferimento al disfacimento del corpo dopo la morte.

Ci si chiede allora se le Sirene rappresentate nel rosone della chiesa di San Pietro rappresentino un messaggio positivo di bellezza o se, al contrario, esse siano solo un’esibizione di virtuosismo dell’artista che avrà voluto fare sfoggio della sua abilità. In ogni caso, questo rosone è unico nel suo genere.

Un’altra Sirena compare scolpita sulla cattedrale di Troia [fig. 3]: non è bicaudata come a Monte Sant’Angelo ma mostra una tipica iconografia abbastanza diffusa nell’Italia meridionale. Nello specifico, a Troia viene mostrato un corpo femminile con coda pisciforme, ali d’uccello, un serpente sulla testa e in mano due pesci. Sembra voler rappresentare simbolicamente i quattro elementi: terra (la parte umana), aria (le ali), acqua (metà pisciforme e i due pesci), fuoco (il serpente).

In realtà, secondo diversi studiosi di simbologia sacra, l’elemento “Sirena” può far riferimento, in diversi casi, alla storia di Melusina.

Quando la Sirena è bicaudata (doppia coda) con le estremità serpentiformi rappresenterebbe proprio la fata Melusina. La leggenda racconta di questa fata che una volta alla settimana si trasforma in serpente; essa sposa Raimondino, figlio del re dei Bretoni, che diviene, per le doti soprannaturali della moglie, valoroso principe di Lusignano; ma questi, rompendo il giuramento fatto alla moglie, la sorprende nel bagno e assiste alla sua metamorfosi in serpente; la scoperta, che lo priva della presenza della donna amata, lo getta in uno straziante dolore.

Tale leggenda, di origine molto antica, è diventata col tempo specifica della storia del casato di Lusignano.

Il fascino delle Sirene, simbolo che attrae e incuriosisce, ancora oggi ammalia con il canto silenzioso delle antiche sculture.

Curiosità: nel primo episodio della serie TV “Il Nome della Rosa” del 2019, nella scena dell’arrivo di Guglielmo al monastero ma anche in altre, si vede un “mezzo” rosone, una lunetta che decora l’entrata principale. È la riproduzione del rosone di San Pietro di Monte Sant’Angelo [fig. 4]. In realtà sarebbe un errore stilistico e architettonico perché nella serie si tenta di riprodurre una chiesa in stile romanico (è stato tutto ricostruito a Cinecittà), ma il nostro rosone è dell’inizio del XVII secolo.

Foto di Giovanni BARRELLA

Fotogrammi tratti dalla serie TV “Il Nome della Rosa” (2019)

GarganodaScoprire

[esi adrotate group="1" cache="public" ttl="0"]