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La tradizione culinaria del Carnevale

La tradizione culinaria del carnevale sipontino è molto antica, riscontri se ne hanno nei documenti di archivio, in particolare dai “Cibari”, cioè dalle note spese giornaliere e mensili, redatte dai Priori o dalle Badesse, per contabilizzare sia le entrate che le uscite dei conventi cittadini.

Dai “cibari” dei Celestini si riscontra che nel 1721 (seguendo una tradizione già invalsa nel ‘600), in occasione del Carnevale, si consumavano “pietanze straordinarie”.

In queste “occasioni” erano presenti molti ospiti, sia laici che ecclesiastici, venuti a Manfredonia proprio per “celebrare” o “festeggiare” il carnevale.

L’essenzialità della cucina monastica era data soprattutto dalla carne di maiale e dai maccheroni.

Dai “Cibari” delle Clarisse si ha, in particolare, che il pasto tipico dei tre giorni di Carnevale era dato dai maccheroni (1783).

Tradizione che ci viene già indicata nel 1767, quando si riscontra che si sono consumati: bollito di carne di manzo, maccheroni, fatti a mano, e fegato stufato con la cipolla, cosparso con pecorino: bollito, maccaroni, fecato e nel 1777, allorché viene pure indicato che si devono consumare i maccheroni di Carnivalicchio.

E per maccheroni si devono intendere tutti i manufatti di farina ed acqua, con gli ingredienti vari, che si sono tramandati nel tempo, sino ai nostri giorni. Comprova ne è che le stesse ecclesiastiche avevano cura che le orfanelle a loro affidate imparassero anche le attività manuali nel preparare la pasta.

In una delibera decurionale, del 5 ottobre 1806, apprendiamo, tra l’altro, che presso il Conservatorio delle Orfane, mercè le buone maestre, si possono manifatturare pasta, panni, ed altro.

Per i dolciumi, come si rileva per gli 1775 e 1782, si hanno le “sfoglie”, cioè un impasto di: ricotta, ova, cannella, garofani, zucchero, miele).

Non mancavano i taralli di semola con vin cotto: tarallucci nel dì di S. Luca (cioè semola e musto cotto) (1774).

Una costante è oltremodo il rustico tipico del Carnevale sipontino, la farrata, preparato sia dai Celestini e sia dalle Clarisse e di cui si hanno continui riferimenti nei “Cibari” dei periodi 1664-1670, 1765 e 1767.

Consuetudine corrente, da parte della Pubblica amministrazione, era fornire la popolazione (la “grassa” cittadina) di animali neri (tipo particolare di maiali), con i quali si potevano preparare i vari ragù e i vari arrosti.

E pure cura dell’Amministrazione era procurare la neve per le bevande da consumarsi nel periodo di Carnevale: neve occorrente al Comune per il Carnevale (1814).

Fra tanta varietà non mancavano i prodotti ricavati dalle seppie: Frutti delle seppie, Garofali e menne (1775).

Prof. Giovanni Ognissanti
Archivio Storico Sipontino

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Redazione

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