Isole Tremiti: storie di esilio e prigionia in un paradiso terrestre

ISOLE TREMITI: STORIE DI ESILIO E PRIGIONIA IN UN PARADISO TERRESTRE.
Dante Alighieri diceva nel suo Convivio che esistono quattro livelli di lettura per interpretare le cose: il senso letterale, ovvero il significato più superficiale; il senso allegorico, cioè quello che rimanda a un altro significato legato a quello letterale; il senso morale, dal quale si può ricavare un modello di comportamento e un insegnamento etico; il senso anagogico, che rimanda alle verità più oscure e misteriose. Dante si riferiva ai contenuti della Divina Commedia, ma possiamo applicare quanto sopra riportato anche alla ricerca storica.
Si sa: la bellezza di un’opera d’arte si nasconde tra gli arcani misteri delle sue sfumature e a ben guardare tra le “sfumature” della storia, ritroviamo indizi sparsi qua e là, come se il disegno di un grande mosaico sia stato fatto a pezzi e le tessere disseminate ai quattro angoli del mondo. Dobbiamo imparare a leggere le cose con senso anagogico, come ci ha indicato Dante: noi lo facciamo, proponendovi alcune storie.
L’arcipelago delle Isole Tremiti. Un paradiso in terra.
Una bellezza sconvolgente che nasconde un passato ombroso, di esilio e prigionia, di intrighi politici, di oscuri misteri che affondano le radici nella remota antichità.
Giuseppe D’Addetta, nei suoi itinerari garganici, così le descrive: “… Nelle giornate chiare, limpide, quando pare che l’aria ravvicini le cose e gli orizzonti, queste isole garganiche appaiono bige su di un piedistallo candido di roccia, allungate sul mare quasi fossero un’enorme nave. Ma se non vi è trasparenza d’aria, scompaiono come assorbite nel velario azzurro di acque e di cielo che le circonda.”
Le Tremiti sono, appunto, questo: bellezza e mistero.
Durante il Regno d’Italia, qui venivano deportati i confinati. I Borbone ne fecero un penitenziario. Carlo Magno vi bandì Paolo Diacono, che aveva cospirato contro di lui, nel 780 d.C. ma, secondo quanto si racconta, riuscì a fuggire dalla prigionia. La dea Afrodite, per vendicarsi di Diomede, trasformò i suoi compagni in uccelli, le Diomedee, per sempre prigionieri a vegliare sulla tomba dell’eroe perduto.
La più sfortunata, però, fu la giovane Giulia.
Vipsania Giulia Agrippina, meglio nota come Giulia Minore, è stata una nobildonna romana, membro della dinastia giulio-claudia e nipote dell’imperatore Augusto. Ecco la sua storia.
Alle spalle del piccolo centro abitato di San Nicola si apre un piccolo altopiano. Vi è presente un modesto rilievo roccioso alla base del quale è visibile un’apertura semicircolare. È l’ingresso di una spelonca naturale allargata dall’uomo in età classica.
Si vuole che lì dentro sia stato sepolto Diomede. La storia ci dice, invece, che quello scavo ospitò una necropoli. I resti di chi abbia accolto non è dato sapere ma di una sepoltura, però, si può essere sicuri: quella di Giulia. Le sue ceneri vennero tumulate in una nicchia ad arco scavata nella pietra della piccola necropoli. Quelle ceneri erano destinate a essere traslate nella capitale per riposare nella tomba di famiglia, ma l’imperatore Augusto si oppose.
La vicenda di Giulia ci ricorda il clima politico e sociale della prima Roma imperiale. In un contesto di congiure, manovre politiche e matrimoni combinati fra consanguinei per garantire ad Augusto la migliore successione, Giulia si trovò coinvolta in un gioco più grande di lei. Cosa portò a tanto odio nei suoi confronti? L’aver congiurato o l’aver dato pubblico scandalo conducendo vita licenziosa? Della prima cosa non si hanno prove precise. Della seconda, invece, sì. Si racconta, infatti, che Giulia abbia avuto una relazione adultera con Decimo Giunio Silano.
Svetonio tramanda che, esiliata alle Tremiti (Trimerus, al tempo di Roma), “Iuliola” si presentò a San Nicola in stato di gravidanza e che il figlio, che ella partorì sull’arcipelago, venne dichiarato illegittimo da Augusto. Quale sorte ha avuto il figlio di Giulia? Forse restò a San Nicola, nelle vesti di custode delle ceneri dell’amata madre. Forse diventò un pescatore e sposò una ragazza del posto, e un popolo si arricchì a sua insaputa di sangue regale. Ipotesi affascinanti.
Giulia morì il 28 d.C. sull’isola di San Nicola (altre fonti citano Pianosa come luogo di prigionia e morte).
Ma torniamo al “senso anagogico” di Dante per l’ultima storia. Dove è realmente collocata la tomba di Diomede?
Leggendo tra le righe, raccogliendo i frammenti di verità che la storia ha sparso lungo tutto l’Adriatico, sembra esserci un’oscura trama che sfugge, però, nei dettagli. Un personaggio, Diomede, fortemente presente nelle tradizioni dei territori della Puglia fino al Veneto, senza dimenticare le coste della Croazia, eppure di tracce archeologiche “tangibili” legate al suo nome e alla sua figura ne risultano soltanto tre: iscrizioni graffite su terracotta in uno scavo a Pelagosa (Palagruža, oggi croata), graffiti dedicati a Diomede a Capo Ploča in Dalmazia e un bellissimo anello con la sua immagine (con in mano il Palladio di Atena), rinvenuto negli scavi della necropoli di Monte Pucci, presso Peschici.
In antichità, il mare Adriatico era indicato come “Adrias Kolpos”, cioè un golfo, che partiva da Venezia per finire alle Tremiti, mentre la restante parte era indicata come “Iónio Pélagos”, ovvero mare Ionio, terminante a Corfù. L’attuale mare Ionio, invece, era indicato come golfo di Taranto. Questo perché nel dare un nome a un mare si faceva riferimento alle sue caratteristiche peculiari, come ad esempio le correnti (da nord fino alla costa settentrionale del Gargano ruotano in senso antiorario: così, infatti, si sono formati i laghi di Lesina e Varano; dalla punta del Gargano fino al Mediterraneo vanno sempre in senso antiorario, ma il promontorio spezza le due parti: ecco perché molti naufragi, da oriente, conducevano sulle coste pugliesi).
Il nome deriva dalla mitica città di Adria, fondata da Diomede, capitale di una grande isola sprofondata in mare. Le Tremiti sarebbero le cime più alte dell’isola di Adria. Tale isola sarebbe esistita all’interno di un triangolo di mare, con i vertici in Dalmazia, presso il “promunturium Diomedis” vicino Sebenico (Capo Ploča/Punta Planka), nel Gargano e nel promontorio del Conero, presso Ancona, dove è attestata la presenza di un antico tempio dedicato a Diomede.
A ben vedere, questi tre promontori adriatici (Punta Planka, il Gargano e il Conero) sono interessati – e il dato non è certo casuale – tanto al culto di Afrodite quanto a quello di Diomede e alla colonizzazione siracusana, legata a doppio filo alla stessa leggenda adriatica dell’eroe.
E la sua tomba? C’è chi è convinto che non è alle Tremiti ma sull’isola di Pelagosa, ombelico dell’Adriatico, ai confini meridionali della mitica terra di Adria, fondata da lui stesso. Frammenti, indizi, ipotesi, tutto quanto per ora inafferrabile.
A proposito della Divina Commedia: nel canto XXVI dell’Inferno, Dante viene a sapere da Virgilio che all’interno di un fuoco che si leva con due punte ci sono Ulisse e Diomede, i due eroi greci che furono insieme nel peccato e ora scontano insieme la pena. I due sono dannati per l’inganno del cavallo di Troia, per il raggiro che sottrasse Achille a Deidamia e per il furto della statua del Palladio.
Paradiso e inferno. E il cerchio si chiude.
Foto di Giovanni BARRELLA
Immagini da Archivio Giovanni BARRELLA
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