Attualità Capitanata

Il ritorno ad “Itaca” di Siponta

Il Ritorno ad “Itaca” di Siponta.

a cura di Francesca Finizio

5 maggio ore 7,00: Siponta si sveglia in quel letto non suo, si alza e mette su la caffettiera come ormai fa da 55 lunghi giorni di quarantena, ma il profumo che inebria la cucina è diverso, è intenso, più forte, profuma di casa.

Ore 10,00: con mascherina, guanti, gel in tasca e la valigia pesante sale al binario 2 e vede arrivare il treno che la riporterà a casa, dai suoi cari che non vede da gennaio.

Chiedo a Siponta come aveva immaginato il suo ritorno e quali erano le sue aspettative.

Lei, con voce tremante e ancora visibilmente emozionata, per essere rientrata da poco a casa, nella sua dolce casa, attraverso la webcam mi risponde  di essere salita sul treno e che le era sembrato un sogno. Tuttavia, da quel sogno si era dovuta svegliare presto.

Il treno pian piano era partito e lei, con lo sguardo perso oltre il finestrino, immaginava l’abbraccio alla cara mamma. Nel frattempo il treno era arrivato nella stazione di Pescara dove lei e i suoi compagni di viaggio hanno trovato un ambiente disordinato e con pochi controlli ma, soprattutto, sono venuti a conoscenza che il treno che avrebbero dovuto prendere per proseguire il viaggio verso casa era stato soppresso!

Non solo! Non era assolutamente consentito ai passeggeri scendere per andare alla biglietteria, né accedere ai bagni. Si dovevano utilizzare i bagni chimici presenti sugli stessi binari.

C’era tanta confusione.

Arrivato, finalmente, il treno successivo a quello che era stato soppresso, Siponta riprende la sua valigia e sale. Un altro posto, un altro finestrino, ma lo stesso desiderio: arrivare presto a casa.

Giunti a Termoli, altro dramma. Sclero generale, mancano i mezzi per raggiungere le destinazioni successive.

Siponta, presa dallo sconforto, vede sempre più lontana la sua Manfredonia.  Mancano i mezzi per raggiungere Foggia.

Ormai i passeggeri stanchi e stressati iniziano a perdere la pazienza, chiedono spiegazioni.

Siponta confessa che dopo giorni di chiusura, dopo cinquantacinque lunghi giorni, anche le emozioni sono forti, i nervosismi emergono e sentirsi dire che non c’erano i mezzi per raggiungere casa le aveva provocato un crollo psicologico, tanto da farle scendere qualche lacrima di rabbia.

Con amarezza Siponta sostiene che Il viaggio è stato terribile e che una soluzione più consona a questi spostamenti sarebbe stata mettere dei treni a lunga percorrenza con il dovuto rispetto delle norme e, soprattutto, si sarebbe dovuto svolgere in modo dignitoso: “perché ciò che è accaduto nella stazione di Pescara mi auspico non accada mai più!

A questo punto è doverosa la domanda perché non fosse scesa prima, come hanno fatto in tanti, all’annuncio del lockdown. Siponta, visibilmente commossa e con gli occhi lucidi, parla del suo forte senso civico e la preoccupazione data dalla percezione della gravità del problema, considerato che giù, al Sud, era tutto normale, invece sopra c’erano focolai molto vicini alla città dove viveva.

la Romagna, infatti, era molto attenzionata in quel momento e quindi Siponta aveva deciso di non scendere, come pure hanno fatto tanti altri suoi conoscenti.

E’ molto rammaricata quando racconta, ci dice: “Questa scelta dettata dal buonsenso, però, non è stata ripagata dalle istituzioni. Ci siamo trovati soli e non tutelati.

Si sapeva, infatti, che le attività produttive si sarebbero fermate e non ci sarebbe stata nessuna ripresa delle stesse per molto tempo.

Quando ci siamo rivolti alle Istituzioni, queste ci hanno risposto che seppure eravamo senza stipendio, non c’era una situazione di urgenza da poter giustificare il rientro nella nostra città. Ci è stato detto di rivolgerci ai servizi sociali ed eventualmente alla Caritas. Peccato però, che i soldi stanziati dal Governo per le regioni, a loro volta distribuiti ai comuni, erano destinati solo ai residenti perciò, nessuna tutela è stata garantita ai domiciliati.

Quindi siamo rimasti bloccati in una città non nostra, senza  poter tornare a casa, senza lavoro e senza soldi.

Questa scelta di rimanere è stata dettata dal buonsenso ma non è stata ripagata dalle istituzioni.

Coloro che sono scesi forse, e dico forse, hanno fatto bene a scappare! Io sono rimasta al Nord per l’amore che provo per la mia famiglia, ma questo mi ha creato enormi difficoltà. Ho telefonato, inviato email per avere comunicazioni dalle istituzioni, ma ho ricevuto sempre la stessa risposta: non potevo lasciare il domicilio in cui mi trovavo.

Devo ringraziare la proprietaria di casa che non ha voluto il fitto. Non sospeso, ma annullato ed io la ringrazio infinitamente.

Il sollievo di essere tornata a casa dopo undici ore di viaggio rispetto alle normali cinque ore, ha rappresentato la vera Pasqua, quando finalmente ho dato un colpo di gomito alla mia mamma”.

Le chiedo ancora cosa provasse quando, mentre lei preparava le valigie, molti suoi concittadini pubblicavano post su facebook invitando quanti stavano al Nord a non scendere per non portare l’infezione al Sud.

La sua risposta secca è stata che lei, Siponta, provava tanta rabbia per tutti quei post che circolavano sui social e che solo chi non ha provato quello che ha provato lei, una ragazza sola, lontana dalla famiglia specialmente durante i giorni di festa, mentre su internet venivano postate foto della vita quotidiana di Manfredonia, praticamente una situazione fuori controllo rispetto a dove stava lei, dove i controlli erano capillari, dove si poteva uscire solo per comprovate esigenze di urgenza come da DPCM, poteva scrivere quelle sciocchezze! Ribadisce che coloro che hanno  scritto quei post non sanno cosa vuol dire vivere in un’altra città, soli, senza lavoro, senza famiglia e senza soldi e trovarsi  a dover, dopo  essere andati su per lavorare e per mettere da parte dei risparmi, attingere proprio a quei soldi messi da parte con sacrificio per vivere e tornare a casa con niente.

Pensa che sicuramente questi atteggiamenti sono il frutto di chi si trova in una situazione di confort con l’amore della famiglia.

Ora Siponta è in isolamento fiduciario, dopo aver comunicato la sua presenza al medico di famiglia, atto non solo dovuto, ma fatto consapevolmente e per coscienza e amore verso la sua famiglia e nonostante tutto, per i suoi concittadini.

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Redazione

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