Natura

Il fico d’India: la pianta americana che diventò sipontina

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Il fico d’India: la pianta americana che diventò sipontina

Ne avevo già parlato tempo fa, ma oggi -12 ottobre – mi piace tornarci, approfittando della data che ricorda l’arrivo di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo. Perché sì, anche Manfredonia, in un modo curioso e inatteso, ha qualcosa a che fare con quella traversata del 1492.

Colombo partì alla volta delle Indie, e invece trovò l’America. Da quel viaggio, oltre all’incontro tra civiltà, arrivò anche una pianta che avrebbe cambiato il volto del nostro paesaggio: l’Opuntia ficus-indica, che noi chiamiamo semplicemente fico d’india.

Giunta in Europa al seguito dei marinai – che ne portavano i frutti sulle navi per combattere lo scorbuto – la pianta trovò nel clima del golfo sipontino la sua dimora ideale. Così, tra vento e sale, attecchì meglio che altrove sul Gargano, fino a diventare parte integrante dell’immagine di Manfredonia.

I fichidindia, come li chiamiamo qui, non sono solo una presenza del paesaggio. D’estate colorano gli angoli dei marciapiedi, dove i venditori li espongono in cesti colmi, pronti da gustare. Da bambina ricordo mio padre che li portava a casa e, con pazienza, li ripuliva dalle spine: quei frutti rossi e succosi erano l’attesa più dolce delle lunghe giornate estive.

Perfino la storia ne custodisce un episodio singolare: durante la Prima guerra mondiale, si racconta che le pale dei fichi d’india salvarono Manfredonia da un bombardamento, perché scambiate dagli austriaci per elmetti di soldati italiani.

Oggi quella pianta, arrivata da lontano, continua a raccontare molto di noi: la capacità di adattarsi, di resistere al caldo e alla scarsità d’acqua, di trasformare in forza ciò che per altri è aridità.
Un simbolo discreto ma potente, nato oltreoceano e diventato, col tempo, profondamente sipontino.

Maria Teresa Valente

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