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“Gli scacchi della vita” verrà proiettato al Luc

Lunedì 23 novembre alle ore 21 presso il Luc verrà proiettato il film Gli scacchi della vita con la regia del sipontino Stefano Simone.

Recensione tratta da “Terre di confine”

Massimo, un architetto, viene ricoverato in ospedale dopo un incidente; durante la degenza è assistito dalla compagna scrittrice, che gli legge la bozza del suo nuovo romanzo, intitolato “Gli Scacchi della Vita”. La suggestione è tale che Massimo finisce trasportato in una dimensione onirica e si ritrova al cospetto di un bizzarro personaggio con il quale è costretto a giocare una partita a scacchi dalle regole assai pericolose: la perdita di ciascun pezzo comporta il rivivere un evento doloroso del passato

Gli Scacchi della Vita, presentato il 7 febbraio 2015 al Cinema Teatro San Michele Nicola a Manfredonia, è l’ultima realizzazione del ventinovenne regista pugliese Stefano Simone, già autore di Una Vita nel Mistero e Unfacebook. Il soggetto è ispirato al racconto omonimo di Gordiano Lupi, pubblicato nella raccolta Piombino a Tavola. Le pagine sono state interpretate con libertà, sceneggiate dagli abili Sebastiano Giuliano e Matteo Simone.

Il regista – che ha curato anche la fotografia e il montaggio – dà prova di aver maturato un proprio stile personale, fatto di inusuali fusioni di generi apparentemente estranei tra loro, e di coraggiose rielaborazioni di stereotipi. Il dramma sociale lascia spazio al thriller sovrannaturale, e personaggi resi familiari dalle fiction vengono reinterpretati con gusto cinefilo. Il senso di meraviglia nasce proprio dall’incontro inaspettato di luoghi comuni nazional-popolari e citazioni dotte, realismo e fantasia sognante.

Il protagonista della pellicola fa i conti con un passato doloroso. È figlio di una prostituta e ha subito l’emarginazione da parte dei coetanei, benpensanti o bulli sguaiati; quando poi la madre si è suicidata, oppressa dalla vergogna e dalle richieste del protettore, non ha esitato a vendicarla sparando all’uomo. Queste tragedie non hanno tuttavia impedito a Massimo di costruirsi una vita serena, trovare un lavoro onesto e affetti sinceri. Non siamo di fronte però un personaggio di maniera, raccontato con il linguaggio piano e semplice tipico dei tanti film televisivi: Stefano Simone gioca piuttosto sul parallelo col crociato Antonius Block, protagonista de Il Settimo Sigillo. Il cavaliere medievale del film di Ingmar Bergman conosce l’identità dell’avversario all’altro capo della scacchiera (la Morte in persona), non ha dubbi né inopportune speranze; è consapevole del fatto che ogni pezzo perso corrisponde al distacco da un affetto, da un ideale, e che l’inevitabile scacco matto porrà fine alla sua esistenza. La partita di Massimo è invece un percorso di dolorosa maturazione; il premio finale non è la vita ma la salvezza dell’anima, intesa come conquista dell’equilibrio interiore e possibilità di guardare al domani con ottimismo. Ogni perdita di un pezzo traspone in flashback un episodio infelice della vita; lo scacco matto finale coincide con il compiersi della catarsi.

Nell’aldilà onirico, il protagonista può riconciliarsi finalmente con la debole madre; può distinguere l’infatuazione adolescenziale dagli affetti più responsabili, e riconoscere l’amicizia disinteressata. Nell’epilogo, sorprendente e poetico, Massimo torna all’esistenza con la consapevolezza che nulla va perso e nulla è inutile, neppure il dolore e la miseria. Lo sfondo da noir di provincia diviene un pretesto per affrontare temi universali, quali la ricerca del senso della vita, l’emarginazione, la solitudine, l’incomprensione e il valore delle amicizie sincere.

Stefano Simone sceglie di osare, anche dal punto di vista formale: ci sono riprese a mano libera, la macchina da presa spesso abbandona inquadrature consuete, e l’uso della luce contribuisce al senso di estraniamento dei personaggi. La colonna sonora sfrutta suoni in presa diretta, musica rap, sonorità contemporanee, con percussioni che ben sottolineano lo scorrere implacabile del tempo. Purtroppo l’audio penalizzando alcune sequenze, in particolare quelle con Massimo da giovane (interpretato da Libero Troiano). La recitazione ne soffre, e se la gestualità rende bene il tormento del protagonista, i dialoghi appaiono impacciati. Gli attori coinvolti hanno alle spalle esperienze teatrali e di cinema indipendente; in alcuni momenti, la tecnica teatrale emerge e le voci risultano troppo impostate. Fluide e indimenticabili sono invece le sequenze oniriche, con il bravo Michael Segal (Massimo adulto) e lo splendido Filippo Totaro (nel ruolo del misterioso scacchista). La performance di quest’ultimo in particolare è imperdibile, esagerata e caratterizzata al punto giusto. La presenza che gioca la partita è forse l’alter ego onirico di un amico barbone (Antonio Potito) di Massimo, appassionato di scacchi e unica persona positiva nell’adolescenza del protagonista; deve diversificarsi dall’androgina Morte di Bergman, dal diavolo tentatore di Luis Buñuel, dai protettivi fantasmi di René Clair. Totaro delinea allora un personaggio enigmatico, contraddistinto da una risata ambigua e da battute sibilline che riecheggiano nello spazio del capannone dismesso, teatro della partita.

La scelta delle location, tutte situate nel territorio di Manfredonia (Foggia), è in parte dovuta alla necessità di razionalizzare i costi. Gli Scacchi della Vita è un film indipendente nel senso più autentico della definizione, ossia realizzato con risorse davvero limitate che il regista ha di certo sfruttato al meglio. Memore della lezione di Pasolini, ha trasposto un racconto suggestivo con tanta creatività e passione, senza dimenticare l’impegno ideologico. Naturalmente, con simili premesse, gli effetti speciali e gli artifici scenici passano in secondo piano; poco male, comunque, poiché la suggestione della pellicola nasce proprio dalla sua atipicità, dalle innovazioni coraggiose e dal soggetto. Assimilati gli inevitabili adattamenti, la vicenda si avvantaggia dei grandi spazi, dei caseggiati anonimi, degli edifici malmessi. “Sei tra il nulla e l’addio”, recita il misterioso giocatore, e il capannone industriale ospitante la partita e la desolata periferia ammiccano sia alle borgate di Pasolini, sia agli spazi surreali di Buñuel. Il lungomare è perfetto per le sequenze più meditative, che mostrano il tormento del ragazzo.

Gli Scacchi della Vita conferma la vena artistica del giovane regista. Pur nella disomogeneità tra sequenze surreali e momenti realistici, Stefano Simone dimostra come buone idee e passione siano, oggi più che mai, la carta vincente per chi ambisca a intrattenere e a far pensare in un’unica pellicola.

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Redazione

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