Fede e religione

“Con il nostro grazie e con i nostri sogni abbiamo le carte in regola per collaborare a trasfigurare territorio e popolo del nostro amato Gargano”

Il Te Deum, appuntamento di fine
anno, è momento solenne di ringraziamento … ma continua a essere difficile ringraziare in questo 31 dicembre, esattamente come
lo fu un anno fa’! Dopo aver vissuto
il 2020 col dramma improvviso ed
inatteso della pandemia, si pensava
in un 2021 di ripresa, lo si credeva
come portatore di libertà dal Coronavirus: non è stato così; e proprio in
questi giorni di Natale ci ha sorpresi un’ennesima “ondata”! La pandemia non smette di mordere e allunga le sue ombre fosche verso l’anno
che ci attende.
Nonostante tutto è dovere riuscire
a trovare motivi di ringraziamento,
per non perdere quanto l’anno che
si chiude ci ha significato ed insegnato. È proprio dal ringraziamento
che scopriamo “l’eredità” del 2021,
che troviamo semi di bene che diventano germogli di vita e di futuro
per l’anno che sta per aprirsi (2022);


è dal ringraziamento che troviamo
ragioni per il tempo ancora incerto
che ci attende, ma che sappiamo “redento” dalla presenza nel tempo del
Salvatore.
Un anno fa ho affermato che il tempo della pandemia (e quanto resta di
percorso dentro il dramma mondiale della lotta al virus) è un vero spartiacque della storia contemporanea:
lo ribadisco. Il Covid-19 ci ha aperto
gli occhi davanti alle facili e inconsistenti certezze della tanto celebrata
globalizzazione; ci ha fatto sperimentare con drammaticità la debolezza
e carenza delle nostre convinzioni e
sicurezze; ci ha buttato in faccia le
fragilità e instabilità del nostro essere creaturale. Abbiamo capito che la
globalizzazione, più che portare il segno di un modello economico globale
e vincente, più che possedere una capacità assicurativa appoggiata sulle
certezze della scienza e delle forze
messe in campo dalla tecnologia, ci
ha evidenziato l’universale debolezza e la costituzionale fragilità dell’umanità nel suo insieme e dello stesso pianeta come spazio di vita e teatro della storia dell’umanità.
Ci ha fatto capire che siamo fatti tutti robusti e deboli, ricchi e poveri, giovani e anziani, appartenenti al nord
o al sud del mondo, credenti o atei –
siamo fatti tutti della stessa pasta:
siamo fatti di “terra”, e l’humus che
ci accomuna può essere facilmente e
improvvisamente attaccabile e messo a rischio dal più piccolo dei fattori costituenti la storia: un banalissimo virus!
Papa Francesco la sera del 27 marzo
2020, davanti ad una piazza San Pietro deserta e sferzata dal mal tempo, ci aveva ricordato che “siamo
tutti naviganti sulla stessa barca … e
quando la barca è in preda alla tempesta c’è una sola possibilità per salvarsi: coordinarsi e remare tutti nella
stessa direzione”! Il prolungarsi del
tempo pandemico al di là delle attese, e i continui smarrimenti, dopo
momenti di apparente ottimismo, ci
può invitare a modificare ed ampliare la metafora: più che essere tutti
sulla stessa barca, siamo tutti nella stessa tempesta: e dentro a questo dramma immane c’è chi naviga
con barche che si stanno mettendo
in sicurezza ed altri che di barche
non possono disporre e sono preda
di naufragi. La pandemia ha evidenziato che la globalizzazione ha marce diverse e ha diviso più che unito le persone e le culture. Proprio il
perdurare della pandemia ci obbliga
ad abbandonare le divisioni e le paure tra abitanti dello stesso “villaggio
globale”, che ci fanno sentire in concorrenza gli uni con gli altri. La pandemia continua a fare appello al nostro essere dimostrandoci che sia necessario buttare a mare i pesi inutili
di tante false sicurezze e banali comodità, per stringerci nella solidarietà vicendevole: nessuno può essere abbandonato a sé stesso o sentirsi un peso: se impariamo la lezione,
se cogliamo l’appello alla solidarietà universale, allora non ci sarà tempesta che abbia la meglio, la pandemia non potrà essere più forte dell’unità e cederà davanti alla carità. Solo la solidarietà che apre alla carità,
che fa tendere le braccia ed afferrare
le mani per aiutarsi, permette a tutti di raggiungere un approdo sicuro e intraprendere un nuovo percorso verso un futuro pieno di speranza per tutti: la solidarietà insegna a
non scartare nessuno e a riscattarci a vicenda.
E allora ringraziamo per il tempo
che stiamo sperimentando, anche
se drammatico, e portiamolo all’altare per trasformarlo in Eucaristia:
sacramento di grazia di ogni giorno
ed istante di vita e memoriale di testimonianza quotidiana. Sì, possiamo e dobbiamo ringraziare perché,
per noi discepoli di Cristo, ogni anno possiede le caratteristiche della
contemplazione e della celebrazione: stasera affermiamo che queste
caratteristiche le possedeva il 2021
e le possiederà il 2022!


Come ho ricordato il 31 dicembre
2020, anche oggi desidero nuovamente evidenziare tre motivi di grazie, tre insegnamenti, che se assunti
con responsabilità da questa pesante ed universale esperienza, possono diventare seminagione e prospettiva per l’avvenire, per un futuro che
ci auguriamo ricco di grazie, capace
di vincere non solo l’epidemia da Covid-19, ma i tanti virus che infestano la vita sociale dell’umanità e la
sostenibilità del pianeta.
Primo motivo. La pandemia ci ha insegnato che non siamo creatori, ma
creature: è motivo di grazie essere
ritornati a provare nella realtà e nella carne questa verità fondamentale. Eravamo convinti di poter avere
a disposizione risorse infinite e moltiplicabili a dismisura, siamo tornati
a prendere coscienza che siamo dentro ad un equilibrio delicato e limitato: non è possibile – come ci ha ricordato Francesco – vivere da sani in
un mondo che abbiamo fatto ammalare! Torniamo a sentirci creature e impariamo a mettere i nostri occhi in
quelli delle altre creature, ne scopriremo la comune fragilità e dignità, e
troveremo la forza per reagire, combattere e vincere il male insieme.


Secondo motivo. L’invisibile virus ci
ha ridato la certezza che non siamo
individui isolati ed indipendenti,
ma persone in continua relazione,
che interagiscono condizionandosi,
tanto nel bene che nel male. Ci ha fatto prendere coscienza che la malattia non è un fatto privato, ma pubblico: colpisce tutti ed esige la collaborazione di tutti per sconfiggerla. Dire grazie per questo insegnamento
ci permette di affermare che gli ultimi, i poveri, i soli, gli ammalati non
sono problemi, ma risorse per risolvere i problemi, non sono spese, ma
investimenti per il futuro da cittadini di un mondo che contiene ancora le caratteristiche originali di un
“paradiso”.
Terzo motivo. Il Coronavirus ci ha
risvegliato improvvisamente ad
un’ulteriore evidenza che avevamo
dimenticato per orgoglio: abitanti
tutti di un pianeta limitato non
siamo padroni, ma ospiti e custodi. Ringraziamo, perché questa verità, non solo circoscrive la nostra
biosfera ponendo limiti precisi, ma
ci rende coscienti e responsabili della nostra identità limitata. A tutti è
affidato un dovere da rispettare e
compiere, prima che un diritto da
vantare senza limiti di sorta. Ed il
dovere è questo: prenderci cura, custodire e servire, invece di scartare
e sprecare come se le risorse fossero illimitate o rinnovabili all’infinito. La terapia per ogni tipo di malattia parte da un atteggiamento universale che ci fa chinare per prendersi cura

A questi tre motivi, da trasformare in “grazie” e scoperti nel 2020,
il 2021 ne ha aggiunti altri cinque,
meno altisonanti e carichi di umiltà, ma capaci di aprirci alla verità
sul nostro essere Chiesa in cammino in questo cambio di epoca. Provo ad elencarli in forma schematica.
La pandemia, che ha allungato i suoi
tempi oltre le nostre attese (e non
sappiamo fino a quando), ha scrollato e scosso con violenza l’albero antico e maestoso della nostra Chiesa secolare; ha fatto cadere le foglie
che stavano su a mala pena, ha rotto potando via i tanti rami secchi:
ci ha ridimensionato nei numeri
e nell’immagine, ci ha aperto la verità su chi eravamo e resi più veri.
Abbiamo capito che una cosa è essere “praticanti” ed un’altra “credenti”, capaci di rischiare per il Vangelo.
Ci siamo contati e scoperti molti di
meno, e ci sembra di non assistere
più a ritorni di gente ai nostri ambienti di celebrazione e catechesi.
Credevamo di essere una Istituzione
di “massa”, in grado di attrarre grandi numeri, mentre ci scopriamo pochi, minoranza nelle nostre città
e paesi. Scopriamo di essere richiamati alla funzione di lievito nella pasta e sale del territorio. Questo ridimensionamento ci ha portato al nucleo del Vangelo che ci chiede di riconoscerci minoranza, ma minoranza attiva e capace di fermentare popolo ed ambiente in cui siamo posti.
I grandi eventi, che attiravano masse di genti colorandole di rappresentazioni religiose, si sono ridimensionati improvvisamente e molte strutture incominciano a far sentire il peso della loro presenza e sostenibilità
anche economica. Abbiamo aperto
gli occhi su una Chiesa più povera e debole di fronte alla storia ed
ai cambiamenti. Ma è quanto ci ha
detto il Signore mandandoci in mezzo al mondo da poveri e per i poveri:
la forza del Vangelo si dimostra nella debolezza di chi lo annuncia con
fede, speranza e carità!
Già ne eravamo capaci, ma in modo non del tutto cosciente, e ci siamo scoperti che il modo di presentarci non può essere che quello “sinodale”. La via è camminare insieme ed ascoltare il nostro popolo ed
il nostro territorio, senza ritenere
di avere già ricette pronte e soluzioni
per ogni situazione e difficoltà, se intendiamo annunciare il Vangelo nel
nostro amato Gargano.
Osservando ed ascoltandoci abbiamo fatto discernimento su cinque
sfide pastorali come progetto per il
tempo che ci attende:
1) trasmettere la fede nel mondo di
oggi
2) vivere la carità come testimonianza di Chiesa
3) celebrare la speranza e la bellezza
dell’essere Chiesa
4) essere e costruire la comunità credente
5) collaborare per una cittadinanza
responsabile.
Non ci manca né il pensiero, né il
metodo: diamo spazio alla volontà ed
alla fiducia e camminiamo insieme!
Se impariamo a dire grazie per questi otto motivi ed a trasformarli in
vita secondo l’eucaristia, allora daremo carne ai quattro sogni:il sogno sociale: che ci fa lottare
per i diritti partendo dai poveri e
dagli ultimi;

il sogno culturale: che ci permette
di difendere e esaltare la ricchezza culturale presente nella storia
del popolo;

il sogno ecologico: che ci abilita
a custodire gelosamente l’irresistibile bellezza del territorio che
ci accoglie;

il sogno ecclesiale: che rende le nostre comunità cristiane capaci di
impegnarsi e di incarnarsi da discepole missionarie.
Con otto motivi per dir grazie e quattro sogni da interpretare concretamente abbiamo le carte in regola per
collaborare a TRASFIGURARE il territorio e popolo del nostro amato Gargano.
Coraggio, Chiesa di ManfredoniaVieste-San Giovanni Rotondo, affidati senza timore a Maria, la Teotokos,
e ripeti con Lei “gènoito moi katà to
rema sou!”: “si compia in me – in noi secondo la tua Parola!”

Amen!

Arcivescovo

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Comunicato Stampa

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