Spettacolo Italia

Stasera Casa Mika: il sogno del varietà che voleva salvare la Rai

Un viaggio nelle due edizioni di Stasera Casa Mika, il varietà con cui si tentò di riportare in Rai lo spirito dei grandi show del passato.

[esi adrotate group="1" cache="public" ttl="0"]

Quando Stasera Casa Mika debuttò nel 2016 su Rai 2, molti telespettatori credettero di assistere a un piccolo miracolo televisivo. Non era solo un programma con un cantante famoso, non era un talk, non era un talent, non era un varietà classico. Era una creatura a metà tra il teatro leggero, la tv pedagogica anni Sessanta, la follia pop internazionale e il candore tipico di Mika. Un progetto che, senza timore, cercava di restituire dignità al concetto di “show del martedì sera”, riaccendendo quella freschezza che sembrava perduta dopo decenni di talk urlati e reality replicati. Il suo segreto apparente era la semplicità, ma la sua ambizione era altissima: riportare la Rai nella tradizione dei grandi varietà, quelli che avevano fatto la storia con Raffaella Carrà, Mina, Walter Chiari, Arbore e Lelio Luttazzi.

La prima edizione fu accolta come una ventata d’aria fresca in una tv che sembrava aver perso l’innocenza. Mika reinventava sé stesso come showman totale, capace di cantare, ascoltare, scherzare, comandare una scena che sapeva di artigianalità preziosa. La seconda stagione, andata in onda nel 2017, pur confermando molte intuizioni, finì invece per mostrare una stanchezza creativa che tradì in parte la promessa iniziale. Il risultato non fu un fallimento, ma un “ni” che lasciò il sapore di un’occasione mancata, soprattutto davanti a idee che oscillavano tra il geniale e l’infantile.

In questo dossier proviamo a ricostruire con cura filologica la storia delle due edizioni, i loro ospiti, le tele-spalle, le trovate narrative, le luci e le ombre. Un viaggio attraverso un laboratorio televisivo che, nel bene o nel male, ha lasciato un segno nella storia recente del servizio pubblico.

La rivoluzione gentile del 2016

La prima edizione di Stasera Casa Mika, trasmessa tra novembre e dicembre 2016, rappresentò uno dei tentativi più sinceri di reinventare il varietà moderno. Mika arrivava dall’esperienza di X Factor, dove aveva mostrato intelligenza, sensibilità e cultura musicale trasversale. Ma questa volta non si trattava di giudicare talenti: si trattava di raccontarsi, di creare un mondo, di costruire una casa immaginaria dove ospiti e pubblico potessero sentirsi accolti.

Il pubblico percepì immediatamente la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa che mancava da anni.

La regia – dal gusto internazionale ma attentissima alla tradizione – conduceva in un ambiente scenografico che sembrava uscito da un teatro di posa anni ’60, ma addolcito da colori pastello e riferimenti pop contemporanei. Mika dialogava con Sarah Felberbaum, perfetta padrona di casa alternativa: elegante, misurata, complice. Sul palco si alternavano momenti musicali, mini-documentari sociali (uno degli aspetti più apprezzati), numeri di danza, gag leggere e incontri veri con persone “comuni” che arricchivano lo show di una delicatezza fuori dal tempo.

Gli ospiti erano tra i più vari del panorama italiano e internazionale: da Benji & Fede a Sting, da Emma a Francesco Renga, da Joan Thiele a Gianmarco Tognazzi, passando anche pe rl bravissimo Raphael Gualazzi, reduce all’epoca del suo bellissimo single estivo L’estate di John Wayne. L’impressione era di assistere a un salotto artistico, con un Mickey Rooney contemporaneo che cercava di ricucire il senso della tv come luogo di meraviglia.

Il pubblico premiò questo approccio con ascolti più che buoni per Rai 2, entusiasmo sulla stampa e un clima di gratitudine diffusa verso un artista che, al di là dei confini musicali, aveva capito come parlare agli italiani con un linguaggio nuovo ma intriso di memoria.

Il ritorno nel 2017: quando la magia si inceppa

La seconda edizione nacque con grandi aspettative, ma qualcosa si incrinò già dalle prime puntate. Mika, consapevole del successo precedente, decise di osare di più, spingendosi verso un umorismo più marcato, più infantile, talvolta forzato. L’ingresso di Luciana Littizzetto – presenza amatissima del pubblico – non bastò a equilibrare un tono che spesso virava verso la leggerezza spinta, lontana dalla delicatezza che aveva definito il cuore del 2016.

La differenza fondamentale fu nella scrittura: laddove il 2016 puntava sulla poesia, il 2017 scivolava spesso nelle battutine facili e in sketch che sembravano strizzare l’occhio a un pubblico più giovane ma senza reale incisività.

Tra gli elementi più discussi ci fu Il ragazzo che viaggiava nel tempo, una sitcom interna allo show in cui Mika immaginava di tornare negli anni Sessanta per vivere con una famiglia tipica del decennio: padre, madre, figlia adolescente, figlio bambino e due zie zitelle. L’idea, di per sé interessante, poteva diventare un piccolo gioiello di tv meta-nostalgica. E in alcuni punti, grazie al suo tocco quasi britannico, ci riusciva. Mika tentava infatti di portare in quella famiglia d’epoca la conoscenza moderna, la moda degli anni Duemila, la tecnologia e soprattutto il politicamente corretto del presente, provocando reazioni ingenue o sconcertate. Alquanto “cringe” vedere la ragazzina di famiglia fare la “preziosa” con il suo fidanzatino Mario, personaggio che non appariva mai, ma che tentava di comunicare lei tramite telefono e lei, puntualmente, agganciava la cornetta perché “deve guadagnarsi il mio amore” con tanto di complimenti da parte di Mika.

Il problema era il registro: l’effetto finale oscillava tra l’esperimento culturale e la recita scolastica. Lo spettatore avvertiva una certa ripetitività, un ritmo dilatato, una goffaggine che non sembrava frutto di raffinata ironia, ma di una mancanza di sintesi drammaturgica.

Da operina divertente a sketch interminabile: il passo, purtroppo, fu breve.

Gli ospiti e il racconto umano

Nonostante le fragilità della seconda stagione, Stasera Casa Mika continuò a ospitare protagonisti di primo piano della musica e dello spettacolo. Uno dei momenti più ricordati fu l’intervista a Fedez nella vasca da bagno. Un’idea surreale, perfettamente coerente con l’estetica dello show, che diventò uno dei segmenti più condivisi dell’epoca.

Nella vasca, mentre Mika scherzava con la sua delicatezza usuale, Fedez confessava l’emozione di diventare padre per la prima volta. Era un istante di vulnerabilità insolita per un personaggio che all’epoca costruiva la sua immagine pubblica tra rap, polemiche e social. L’intervista, pur giocata con leggerezza, rimane tra i momenti più autentici delle due edizioni.

Anche nel 2017, gli ospiti furono numerosi: Paola Turci, Rita Pavone, Caparezza, Massimo Ranieri. Tuttavia, mentre nel 2016 la presenza degli artisti presenti nel varietà sembrava inserirsi in un mosaico organico, nel 2017 gli interventi apparivano più “appoggiati”, spesso incastonati in una struttura che si affaticava nel sostenere tutto insieme.

Le tele-spalle: un mix di garbo e comicità

Nella prima edizione, la presenza di Sarah Felberbaum si rivelò fondamentale. Era elegante, ironica, calibrata. Perfetta nel ruolo di contrappunto di Mika, capace di sorreggerlo nei momenti più stravaganti e di riportarlo nella dimensione narrativa dello show. Un meccanismo simile a quello che storicamente legava una grande star a un comprimario intelligente e discreto.

Virginia Raffaele, ospite fissa in diverse puntate, arricchiva il ventaglio comico con il suo talento camaleontico. La sua comicità tratta dalla sua arte imitatoria garantiva una qualità attoriale e un ritmo più professionale, senza mai sopraffare la delicatezza dello show.

La seconda edizione puntò invece sulla presenza stabile di Luciana Littizzetto. Eppure, anche qui, qualcosa sembrò incastrarsi male. La sua comicità irriverente e verbale, perfetta per Che tempo che fa, faticava a trovare un equilibrio nel mondo zuccherato e fiabesco di Mika. Il contrasto non era creativo, ma dissonante. In alcuni momenti funzionava – soprattutto quando Littizzetto sapeva frenare il suo estro – ma nella globalità dello show, la sua presenza sembrava “schiacciare” il respiro delicato che aveva reso memorabile il 2016.

La lirica secondo Mika: Madama Butterfly salvata con un lieto fine

Uno degli aspetti più originali del programma era la reinterpretazione in chiave pop-umanitaria di alcune grandi opere liriche. Mika, da sempre legato al melodramma, si divertiva a riportare in scena celebri momenti della tradizione operistica, ma con un twist da favola gentile.

Emblematico fu il caso della Madama Butterfly rivisitata in salsa “buonista”. Nel finale originale, Cio-Cio-San, abbandonata da Pinkerton, decide di togliersi la vita. Nella versione di Stasera Casa Mika, mentre Cio-Cio-San tentava di suicidarsi, Mika interveniva e la salvava, trasformando il dramma in un messaggio di speranza. L’idea spaccò il pubblico: c’era chi apprezzava l’intento poetico e chi considerava l’operazione un qualcosa di bambinesco. Ma il punto era un altro: Mika cercava di trasformare la lirica in un contenitore emotivo accessibile, alleggerendo il dolore per far arrivare il messaggio a un pubblico televisivo eterogeneo.

Era un gesto ingenuo? Forse. Ma era coerente con la sua visione del mondo, che non ammette tragedie senza redenzione.

Gregory: la mascotte metà Gabibbo metà gremlin

La seconda edizione portò con sé anche Gregory, un pupazzone grottesco e tenero al tempo stesso, metà Gabibbo e metà gremlin, ispirato, pare, a un peluche dell’infanzia di Mika. Gregory aveva un ruolo strano: mascotte buffa, spalla comica e, al contempo, creatura surreale. Il suo design volutamente goffo voleva richiamare la manualità degli show anni Novanta, ma la sua presenza non riuscì mai a diventare davvero iconica. Il pubblico lo accolse con simpatia, ma senza l’affetto che di solito si riserva ai personaggi che definiscono un programma.

Gregory rappresentava bene l’intero tono del 2017: un’idea tenera e nostalgica, ma non abbastanza forte da sostenere una struttura narrativa complessa.

Il “taxi-show” nella seconda edizione

Uno degli elementi più caratteristici della seconda edizione di Stasera Casa Mika fu la serie di sketch in cui Mika si fingeva tassista e caricava persone comuni senza che queste si accorgessero di chi fosse davvero al volante. Era un modo per portare lo show fuori dallo studio, nella vita reale, lasciando spazio alla spontaneità degli incontri. Tra i momenti più riusciti ci fu quello con un signore che, di prima mattina, si affrettava a raggiungere il lavoro. Era stanco, distratto, convinto di essere in un normale taxi, finché a un certo punto l’autista si voltà e lui rimase di sasso. Per qualche secondo non riuscì nemmeno a parlare, poi scoppiò a ridere come un bambino: quel tassista era Mika. Bastò quell’istante di stupore per trasformare un tragitto qualunque in un piccolo ricordo indimenticabile, la dimostrazione di come la leggerezza possa irrompere persino nelle routine più rigide.

Un’altra corsa memorabile fu quella con due sorelle impegnate a fare shopping nel centro di Milano. Una era più grande, pratica e concentrata sulle borse e i vestiti appena comprati; l’altra era una ragazzina discreta, apparentemente timida, ma dal fiuto infallibile. Fu lei, infatti, la prima ad accorgersi chi fosse l’autista, senza dire nulla, ma facendo solo un sorrisino imbarazzato. Poi anche la sorella maggiore se ne accorse e ovviamente lo sketch terminò in risate e solite battutine allegre.

Il momento più intenso, però, fu quello con la donna sui quarant’anni che salì sul taxi di Mika. Era il giorno del suo compleanno e lo disse con un sorriso che nascondeva qualcosa. Con la delicatezza che lo contraddistingue, Mika riuscì a creare un clima di fiducia e lei si aprì, raccontando un desiderio profondamente umano: quello di trovare l’amore, costruire una famiglia, sentirsi scelta e non più sola. Confidò che, nonostante l’età cominciasse a pesarle, continuava a sperare. Quell’ammissione, semplice e sincera, trasformò lo sketch in un ritratto generazionale: una donna che sogna ancora, pur vivendo in un’epoca in cui trovare un partner sembra diventato un percorso a ostacoli, tra relazioni liquide, disattenzione cronica e solitudini nascoste. In quel momento lo show abbandonò la leggerezza e si fece specchio di una fragilità diffusa.

Infine, ci fu anche una corsa che divenne quasi surreale, quando Mika si ritrovò a bordo un biografo musicale statunitense, specializzato nella storia di vari cantanti internazionali, compresi i Beatles. Un uomo colto, ironico, abituato a studiare gli artisti e non certo a ritrovarsi seduto accanto a uno di loro all’improvviso.

Questi quattro episodi, così diversi tra loro, raccontano meglio di qualsiasi altro elemento la vera anima del secondo Stasera Casa Mika: un gioco gentile tra realtà e finzione, un varietà che cercava l’umanità ovunque, persino nei sedili posteriori di un taxi in movimento.

Un bilancio complessivo: la promessa, il miracolo e il limite

Guardando oggi alle due edizioni di Stasera Casa Mika, la sensazione è quella di un esperimento raro e prezioso. La prima stagione resta uno dei tentativi più riusciti degli ultimi anni di riportare in Rai un varietà colto, internazionale, leggero ma mai superficiale. Il 2016 fu un miracolo televisivo, un equilibrio perfetto tra poesia, gioco e tradizione.

La seconda stagione, purtroppo, non riuscì a replicare quell’incanto. Troppa voglia di stupire, troppa fragilità nella scrittura, troppa ingenuità negli sketch, in particolare nella sitcom interna, che avrebbe richiesto una cura autorale molto più profonda. Il 2017 fu una piccola delusione, non un passo falso totale, ma un segnale di difficoltà nell’ampliare un progetto già di per sé delicato e rischioso.

Eppure, anche nelle sue imperfezioni, Stasera Casa Mika resta un capitolo importante della storia televisiva recente. Perché tentò ciò che la tv italiana raramente osa: costruire un mondo. Un mondo che parla di accoglienza, gentilezza, musica, cordialità, eleganza e ironia leggera: un piccolo mondo “feuilleton” inesistente nella vita reale, ma inf ondo possibile su un palco con grandi artisti, ottimismo e un po’ di buona volontà. Un mondo in cui, anche se per pochi minuti, si può ancora credere che la televisione non sia solo contenuto, ma incanto.

[esi adrotate group="1" cache="public" ttl="0"]