Storia

I racconti della tradizione: lo ‘Scazzamurredde’ o ‘Scazzamurill’ e gli spiriti folletti del Gargano e della Daunia

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I RACCONTI DELLA TRADIZIONE: LO ‘SCAZZAMURREDDË’ E GLI SPIRITI FOLLETTI DEL GARGANO E DELLA DAUNIA.

Una delle figure più antiche del folklore garganico e pugliese è lo Scazzamurredë: uno spiritello notturno che turba il sonno saltando sul petto dei dormienti. In Basilicata è detto anche Monachicchio, nel leccese Scarcagnulu, mentre nella zona ionico-salentina e in Daunia assume come nome varianti del tipo Scazzamurrieddhru o Scazzamurillë (di sfumature ce ne sono tante).

Lo spirito è spesso pensato come un’anima di bambino non battezzato oppure un angelo ribelle, restato intrappolato tra il regno terreno e quello spirituale. Questi colori mitici affondano le radici nelle credenze pagane dei Lari e dei Penati, assimilati dalla cristianizzazione in protagonisti dell’incubo notturno. In realtà, nelle tradizioni garganiche, tali folletti possono operare anche di giorno.

Attorno agli alberi secolari (noci, querce) si dice vivessero questi spiriti terreni, custodi delle profondità e di potenziali tesori. Distruggere l’albero equivaleva a siglare la morte del folletto stesso, legato indissolubilmente alla sua dimora naturale.

Il Laureddë (altra variante) o Scazzamurreddë è piccolo, peloso, vestito di panno marrone-tabacco con un cappello rosso a punta (la Scazzetta). Alto poche decine di centimetri, è incredibilmente forte e pesa come una pietra, tanto da deprimere il petto della persona addormentata.

Chi lo ha incontrato lo descrive con toni vividi: abito tabacco, spesso scalzo, con la testa coperta dal prezioso cappello, occhietti lucidi e voce stridula. Come detto, vive la notte soprattutto, e a volte il giorno.

Il cappello è il suo punto debole: se lo si strappa, lo Scazzamurreddë si ammorbidirà e offrirà tesori pur di riaverlo. Ma attenzione: spesso si tratta di inganno – offrirà semplici cocci che si trasformano in monete finché il cappello non sarà restituito, per poi tornare semplici cocci.

Nel promontorio del Gargano, nei boschi e nelle campagne, si tramandavano racconti di folletti che facevano scavare buche, disorientavano i viandanti e intrecciavano crini di cavalli.

La Daunia rurale vede questo spirito come custode di beni nascosti; gli abitanti del Gargano narrano anche che colui che strappa il berretto può ottenere la “acchiatura, asciatora, sciatora” – il tesoro sotterraneo – purché segua le istruzioni dello spirito fino alla fine, che spesso chiedeva in cambio la vita di un bambino appena nato (di questa leggenda abbiamo trattato in un altro post: https://www.facebook.com/share/15mcVRQyRZ/?mibextid=wwXIfr). I luoghi dell’immaginario collettivo, deputati al ritrovamento dei tesori, erano le grotte più conosciute del territorio o i ruderi di antichi edifici abbandonati (ad esempio, a San Nicandro Garganico, la grotta dell’Angelo a Devia, la grotta di Pian della Macina, la Dolina di Pozzatina, o Monte Sacro a Mattinata, gli eremi di Pulsano e così via).

La figura del folletto domestico appare anche in altre zone pugliesi come il Salento, dove viene chiamato Munaceddhu, Sciacuddhuzzu, Carcaluru. Le sue malefatte includono: far volare carte, rovesciare vino, togliere sedie, pescare oggetti nascosti, agitare correnti d’aria, fino ad intrecciare crini ai cavalli, come già accennato sopra.

Nel mondo contadino degli oppressi (Basilicata, Puglia), questi spiriti erano una realtà narrativa utile a combattere l’ansia e la miseria; con l’aiuto di guaritrici come la Mammaredda, la Mammana o le incantatrici si cercava di esorcizzare il male notturno o di togliere l’incubo malefico, legato a forze occulte negative.

Ernesto De Martino notava come il mondo magico serve a ristabilire equilibrio psicologico, offrendo rituali concreti per affrontare la crisi esistenziale delle masse contadine.

Ancora oggi, nei paesi del Gargano e della Daunia, si sente dire: “U Scazzamurreddë l’ha fattë” quando si perdono oggetti o succedono stranezze. Il racconto nostalgico di anziani sottolinea che fino agli anni ’60 questa creatura aveva una presenza reale nelle famiglie rurali, ma oggi è quasi estinta nel giovanilismo urbano.

Chi dorme di lato per evitare che il folletto si sieda sul petto mostra un bagaglio culturale che ha radici profonde nella paura e nella speranza antiche.

La tradizione dello Scazzamurreddë è abbastanza antica dunque, visto anche che di questo dispettoso folletto dal cappello rosso se ne parlava già in epoca romana (Petronio nel suo ‘Satyricon’, nel l secolo, Plinio il Vecchio nel ‘Naturalis Historia’) e in seguito nei racconti di Sant’Agostino.

La narrazione dello Scazzamurreddë è quindi uno specchio della tradizione garganica e daunia: tra religione popolare, superstizione, ingegno magico, bisogno di speranza e tensione verso il tesoro nascosto. Un personaggio spigoloso, dispettoso ma in fondo utile – simile a una difesa psicologica incarnata. “Dormite di lato”, suggeriva ancora qualche anziano saggio, per evitare l’incubo o il fatidico incontro con il folletto dispettoso.

Archivio di Giovanni BARRELLA

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