Eremo “Il Mulino”: un monastero nella roccia, quasi sospeso nel vuoto

EREMO “IL MULINO”: UN MONASTERO NELLA ROCCIA, QUASI SOSPESO NEL VUOTO.
Là dove la montagna si fa scogliera d’aria, e l’uomo sembra aver rinunciato a salire, qualcuno invece ci è salito davvero, e ci ha costruito un luogo. Un luogo che ancora oggi, a guardarlo, mette in discussione le leggi della gravità e dello spirito.
Continuiamo questo nostro viaggio tra gli eremi di Pulsano e focalizziamoci su un complesso che va ben oltre il concetto di “eremo”.
Si affaccia a strapiombo sulla Valle Campanile, proprio di fronte agli eremi di Coppa La Pinta, ed è talmente sospeso nel vuoto che da lontano sembra irreale.
Lo chiamano “Il Mulino”, ma di mulino ha solo il nome. Qui non ci sono ruote, né acqua corrente. C’è invece una macina, scavata nella pietra, e accanto una grande vasca per il frumento. Bastano questi segni, concreti, operosi, per svelare che qui si viveva, si lavorava e si pregava. Insieme.
A più di quattrocento metri di altezza s.l.m., il complesso si aggrappa alla roccia come se la montagna stessa l’avesse partorito. Nessuna via comoda per raggiungerlo, nessun sentiero addomesticato. Solo il silenzio del precipizio e la domanda che affiora spontanea: come hanno fatto, quei monaci, a portare fin lassù pietre, viveri, fede?
Eppure c’è. Esiste ancora, nonostante i secoli e i crolli. Mura possenti abbracciano un piccolo mondo inciso nella pietra, con almeno sette celle disposte una accanto all’altra, ciascuna con un terrazzo naturale che si apre sul vuoto. In una di queste stanze si intravede un altare. Sopra, una nicchia scavata nella parete. Ai lati, affreschi sbiaditi: da una parte l’Immacolata Concezione, dall’altra San Giovanni Battista. In alto, una colomba, segno dello Spirito Santo, sovrasta tutto.
Questa non era una semplice grotta per il raccoglimento individuale. Era un cenobio, un piccolo monastero dove tutto si teneva in comune: il lavoro quotidiano, la raccolta dell’acqua piovana attraverso una rete di canaletti scavati a mano, i pasti frugali, la preghiera scandita dal passare del sole tra le pareti rocciose. La regola era quella della vita comune, l’eredità più pura del monachesimo pulsanese.
E così, su questo lembo di terra sospeso tra cielo e pietra, prendeva forma una fraternità silenziosa ma tenace. Un laboratorio di anima e materia, dove il frumento si macinava e lo spirito si temprava. Il Mulino non produceva solo pane: custodiva un’idea di mondo diversa, fatta di semplicità radicale, di bellezza nascosta e di una fede che non aveva bisogno di clamore.
Oggi, a guardarlo da lontano, sembra ancora un miraggio. Qualcosa che la montagna ha voluto trattenere per sé. Ma chi riesce a scorgere tra le fenditure della roccia le sue forme stanche, intuisce che lì dentro, un tempo, anche le pietre sapevano pregare.
Ringraziamo vivamente Matteo Prencipe per la preziosa collaborazione.
Fotografie: M. Prencipe.
Fonti:
– “Santa Maria di Pulsano. Il santo deserto monastico garganico.” A. Cavallini (Claudio Grenzi Editore).
– “AGLI EREMI DI SANTA MARIA DI PULSANO”, COMUNITA’ MONASTICA DI SANTA MARIA DI PULSANO.
Garganodascoprire