
GROTTA DEGLI DEI: UNA MAESTOSA DIMORA DELL’ETÀ DEL BRONZO.
Ci sono luoghi dove, per viverci, occorre essere o folli o santi. Lo abbiamo sottolineato in altre occasioni. Tali luoghi, maledetti o benedetti, influenzano chi li calpesta, plasmando i tratti essenziali della cultura di una comunità.
Il Gargano (ma anche la Daunia in generale) è maledetto e benedetto insieme. Un caleidoscopio di contraddizioni che ruota vorticosamente sospinto dal caos di energie assimilate in millenni di storia, forse perché la crosta terrestre qui è più sottile e forte, e fa sentire il pulsare vivace e vigoroso del cuore profondo della Terra.
Folli o santi. Non serve elencarne gli esempi. Basta scorrere le nostre corpose pagine di storia ma probabilmente non ve n’è neanche bisogno perché chi ci vive o ci ha vissuto lo ha ben chiaro, nella mente e nel cuore, il motivo.
È qui che puoi indugiare su un sito archeologico mentre un tramonto fa bella mostra di sé all’orizzonte; mentre qualche onda, spezzandosi sugli scogli in minuscoli frammenti di acqua salata, interrompe quella magia visiva pizzicando l’olfatto con la salsedine.
L’energia ipogea della Terra e l’esagerata bellezza epigea condita dai millenni mandano l’intelletto in delirio: folli o santi. Nient’altro di più. Nessuna via di mezzo. Tutto questo, per introdurre un luogo a dir poco eccezionale: il Grottone di Manaccora o Grotta degli Dei, a Peschici.
La maestosa cavità che si apre nella baia di Manaccora sembra serbare i segreti di un’antica comunità garganica. A pochi chilometri dal centro abitato, circa a metà strada tra Peschici e Vieste, il Grottone di Manaccora, chiamato anche Grotta degli Dei, spalanca la sua enorme bocca naturale, abitata dall’Età del Bronzo. Secondo alcune ipotesi, è denominata ‘Grotta degli Dei’ per via di presunti rituali pagani qui officiati, enigmatiche sepolture e insediamenti rurali sconosciuti.
È un luogo fuori dal tempo, suggestivo, dove luce e buio, con giochi ammalianti, sono in grado di stregare anche la mente più insensibile.
La Anna Maria Tunzi Sisto ci dice che negli anni Trenta diversi scavi archeologici hanno portato alla luce la storia di un rapporto lungo otto secoli tra gli abitatori e questa grotta, soddisfacendone necessità spirituali e materiali.
La grotta, inizialmente luogo di rituali di comunità, è diventata col tempo sede di una necropoli, dove commemorare gli antenati. Successivamente, essa divenne una vera e propria ‘casa’ per la comunità di abitatori dell’Età del Bronzo.
Ecco alcune informazioni tecniche per stemperare la poesia. Scoperta sul finire degli anni ‘20, questa maestosa cavità naturale si estende per più di 90 metri, dentro un massiccio promontorio calcareo. Al suo interno sono state trovate sepolture e reperti attestanti attività di culto nonchè di lavorazione di metalli e di filatura.
Questa cavità, oltre che nel Catasto Grotte (n. 212) della Regione Puglia, oltre a essere vincolata per le emergenze archeologiche, rientra anche nei “Luoghi di notevole interesse pubblico” e nel “Sito di Importanza Comunitaria (SIC)” come “Manacore del Gargano”. Sul costone sovrastante è possibile visitare una necropoli e un trabucco.
Eppure (parliamo di follia), è uno dei luoghi a essere stato più ‘maltrattato’ dall’incuria e dall’ignoranza dell’uomo (quello di oggi). Perché?
Filippo Fiorentino ci ricorda (e qui parliamo di santità) che la maestosa cavità naturale di Manaccora (Manaccore, Manacore), ha ospitato uno dei più significativi abitati garganici e ha restituito un consistente insieme di elementi del vissuto quotidiano in una singolare sovrapposizione. Resti di una struttura abitativa capannicola, all’interno del grottone, evidenziano aspetti caratteristici del Bronzo finale – subappenninici e anche protovillanoviani -, mentre i livelli stratigrafici inferiori e una sepoltura collettiva sparsa in diversi punti della caverna, in particolare nella più interna grotticella funeraria, pongono problemi assai complessi in ordine al fenomeno delle relazioni culturali tra mondo centro-europeo ed egeo.
Dopo gli scavi condotti dal Rellini e dalla Baumgärtel, tra il 1930 e il 1933, il materiale rinvenuto fu da quest’ultima pubblicato vent’anni dopo. Alcuni elementi del contesto stratigrafico scavato in più punti andarono perduti e solo in seguito ai puntuali studi sui reperti depositati presso il Museo delle Origini dell’Università di Roma e agli scavi più recenti della Soprintendenza Archeologica della Puglia, questo caposaldo della preistoria garganica e nazionale può dare nuova luce.
Sempre dal Fiorentino apprendiamo che nelle ultime ricerche effettuate in un’area sul fondo della cavità, è stata rilevata dalla Tunzi Sisto “una vasta capanna addossata alla parete di roccia e delimitata su due lati da un basso muretto”. Pali sorreggevano la parte anteriore di una tettoia, incastrata posteriormente tra le sporgenze rocciose della parete di fondo. Assieme ai fori per palificazioni praticati nel battuto pavimentale, veniva individuata un’area di cottura che restituiva “cospicui resti di vasellame e avanzi di pasto parzialmente combusti”.
Qualcosa di straordinario. Un frammento di quotidianità cristallizzato nella storia era emerso dal gigantesco antro. Un luogo unico. Da privilegiare.
Nelle manifatture di ceramica depurata e lavorata al tornio è da cogliere il sicuro costituirsi di categorie di artigiani e commercianti, che ancor più spiccatamente evidenzia l’eccezionale quantità di corredi individuali di bronzo, oggetti di ornamento e armi, in particolare spade e pugnali, di foggia locale ma anche dei tipi ‘Sacile’ e ‘Montegiorgio’.
Punti di contatto e un’estesa rete di rapporti richiama, infatti, la tipologia di questi bronzi con ambienti sia dell’Italia centro-settentrionale e dell’Europa centrale sia del mondo miceneo. Manaccora rinviene, così, in una posizione di nevralgico crocevia tra gruppi umani diversi, sulla linea di un orizzonte di crisi che investe l’Età del Bronzo recente.
Nella profondità delle sue viscere, il grottone ha conservato una koiné culturale della metallurgia tra i secoli XIII e XII a.C.
L’importanza dello strato ‘3’ e della grotticella funeraria viene quasi a moltiplicarsi in rapporto agli ardui problemi storici che il complesso pone: per primo, la questione dei repertori di bronzi che orientano l’appartenenza dei defunti a un’elite aristocratica e, nel contempo, rivela contatti privilegiati – scrive la Tunzi Sisto – con le comunità dell’opposta sponda adriatica, da cui sarebbero derivate le sontuose ‘parures’ rinvenute.
Poi, il problema della datazione degli stessi corredi di bronzo che, per la loro arcaicità viene arretrata al Bronzo medio, al XV secolo a.C., fa più compiutamente cogliere il ruolo geografico-culturale di Manaccora, non sede periferica e attardata bensì “centro vitale partecipe, insieme al resto della Puglia, di un’intensa attività commerciale” e anche di produzione. Ciò è confermato dal ritrovamento nel grottone di una forma di fusione e di un bacino tronco-conico con foro alla base, segni incontrovertibili di un artigianato specializzato nella metallurgia.
Meritevole di attenzione anche il rituale funerario della deposizione di bambini in ‘enchytrismoi’, pratica diffusa nel tardo Bronzo in Puglia e accertata a Manaccora in una stretta trincea ricavata tra la capanna e la parete retrostante.
Un dato archeologico che non va trascurato, e che amplifica gli interrogativi del grottone di Manaccora, è costituito dal rapporto di continuità e di collegamento tra l’insediamento ipogeico e l’abitato sulla soprastante punta protesa in mare. Forse gli stessi clan si stanziavano nei due luoghi adiacenti in momenti stagionali diversi, in rapporto a fattori climatici o a motivi di migliore difesa.
La produzione in ceramica buccheroide lustrata, le capeduncole carenate con anse sopraelevate a nastro forato, le scodelle con bordo rientrante, le tazze a gola con ansa verticale a margini rilevati, accomunano lo strato ‘3’ del grottone e lo strato medio di Punta Manaccora. Macine, macinelli e “piatti per focacce”, oggetti forse rituali, rinviano a un orizzonte economico prevalentemente agricolo, in cui i nuclei indigeni dell’entroterra non sembrano osteggiare gli approdi degli “avventurieri” adriatici, che ormai fusi con i locali lasceranno negli insediamenti minori di Capo Mastiago (Peschici), di Tuppo dei Fossi e di Coppa Terranova (Vico del Gargano) le tracce di più evolute dinamiche culturali protostoriche.
Un’altra cavità non distante dalla torre di Sfinale, 7 km a sud-est dell’abitato di Peschici, sulla strada costiera per Vieste, ha conservato sulle sue pareti interne graffiti preistorici e iscrizioni di età romana. I resti epigrafici, corrosi dall’acqua sorgiva che dà il nome alla grotta, sembrano richiamare un antico culto di Venere Sosandra, chiaramente attestato nella grotta dell’isolotto del faro a Vieste.
Ma ci tocca tornare alla follia dopo tanta scorpacciata di santità: come abbiamo espresso riconoscenza noi, per tanta grazia ricevuta dal passato? Con degrado, incuria, disinteresse, depredazione e addirittura danneggiamento di molte parti del sito. Se non è follia questa…
C’è speranza per il futuro? Possiamo adesso assistere a tempi migliori? Potrà poi durare? Intanto si può ammirare un’alba, tra le infinite passate per questi luoghi. Il mare è calmo. Follia e santità.
Foto:
– Archivio web di Giovanni BARRELLA.
– Catasto delle grotte e delle cavità artificiali della Regione Puglia, FSP.
– Foggia Today.
Fonti:
– “Vestigia del Gargano Nord”, a cura di Filippo Fiorentino, C.R.S.E.C. FG/28, Vico del Gargano, 2000
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