Attualità Capitanata

Quando un manfredoniano scortò Giovanni Falcone

Il 23 maggio del 1992 fu assassinato a Capaci il giudice Giovanni Falcone, uno dei più grandi antagonisti della mafia, e con lui persero la vita la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito  Schifani.

Appena un anno prima, nel giugno del 1991, il manfredoniano Domenico Scarano, all’epoca poliziotto (oggi in pensione), fu convocato dal Questore di Foggia insieme ad un suo collega sardo per scortare Falcone a Vasto, in occasione del XXI congresso nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati.

Domenico Scarano, o Mimmo, com’è conosciuto da tutti, racconta così quei giorni: “All’epoca lavoravo in Questura a Foggia ed il Questore, evidentemente ritenendomi persona di fiducia, mi chiamò a scortare il giudice Falcone”.

Se oggi Giovanni Falcone rappresenta l’icona della giustizia e della lotta a tutte le forme di mafia, all’epoca era già uno dei più coraggiosi magistrati palermitani da anni impegnato nelle inchieste più scottanti che portarono nel 1987 alla celebrazione del primo processo a Cosa Nostra. Nel giugno del 1989, per un timer difettoso, scampò ad un attentato dinamitardo dinanzi alla sua villa sul mare in Sicilia.

Viveva seguito costantemente, giorno e notte, da agenti. I suoi angeli custodi. Dal 7 al 9 giugno 1991 uno dei suoi angeli custodi fu il manfredoniano Scarano.

Ma che tipo era Falcone? “Con noi della scorta non ha parlato molto in quei giorni. Noi gli eravamo semplicemente accanto per svolgere il nostro lavoro. Lui era abituato. Mi è sembrata, però, una persona perbene. Era abbastanza tranquillo e con i suoi colleghi al convegno sorrideva e parlava normalmente”. Tra i colleghi di quei giorni a Vasto, c’era anche il giudice Paolo Borsellino.

Ma non aveva paura? “No. Ero lì per lavoro”. Un altro ricordo di quei giorni?. “Un pranzo a base d’aragoste che non mangiammo mai. Appena a tavola, al giudice Falcone arrivò una chiamata. Lui si alzò di scatto e ci guardò abbozzando un sorriso, quasi a volersi scusare. Lasciammo il ristorante di corsa. La sua vita era fatta così”.

Sì, la vita di Giovanni Falcone era fatta così. Una corsa continua a cavallo della storia cercando di sconfiggere un mostro chiamato mafia.

“Quando appena un anno dopo seppi della strage e dei miei colleghi morti ammazzati in maniera così violenta e crudele, rimasi pietrificato”, confessa sommessamente Mimmo Scarano.

L’Italia intera rimase raggelata, ma Giovanni Falcone lo sapeva. Era consapevole che ogni giorno in più era un passo in più tra le braccia dei suoi assassini. Eppure non ha mai mollato.

23 maggio 1992, la mafia ha ucciso il giudice Giovanni Falcone, ma non è riuscita ad interrompere il cammino iniziato da quest’uomo caparbio e deciso nel combatterla con coraggio e le sue idee, proprio come lui desiderava, continuano a camminare sulle nostre gambe.

Maria Teresa Valente

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Redazione

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