Spettacolo Italia

Neko TV, ascesa e caduta di un sogno incompiuto

Nata dalle ceneri del Comics Manga Network, Neko TV prometteva di essere il paradiso televisivo di anime cultura pop. Cosa andò male?

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C’è una linea sottile tra la tv di nicchia e la tv di serie Z. Neko TV ci ha camminato sopra per alcuni anni, zampettando come il gatto del suo logo, oscillando tra ambizioni “otaku” e risultati spesso non sempre eccelsi (per usare un efuemismo). Nasce come sogno di espansione di un progetto campano, il meraviglioso Comics Manga Network (di cui abbiamo parlato qui), che aveva portato magistralmente anime e rubriche specializzate su varie emittenti locali. È da lì che parte la traiettoria che porta al digitale terrestre nazionale, e poi verso il naufragio a base di loop, DVD e televendite notturne. Inizialmente l’idea è chiara: trasformare anni di sperimentazione casereccia (ma di buon gusto) in un canale tematico nazionale, dedicato ad anime, fumetti, cosplay, j-rock, videogiochi, con un linguaggio da convention permanente. Ma tra quello che c’era su carta e quello che compariva sui televisori italiani c’era in mezzo un abisso tecnico, economico e organizzativo.

Neko TV: dalle ceneri del Comics Manga Network al DTT

Per capire quanto Neko TV sia stata, alla fine, un’occasione mancata, bisogna partire dal suo antefatto. Comics Manga Network non era “solo” una striscia di cartoni infilata nel palinsesto di qualche tv locale: era un format diffuso in syndication su reti come Telecapri, Napoli TV, Canale 8, con un mix di anime, tokusatsu, rubriche su fumetti e videogiochi, spesso con titoli inediti o poco visti sulle generaliste. l progetto si articolava in una galassia di sigle, trailer, serie mai arrivate sulle grandi reti, progetti mai realizzati e idee dai confini quasi amatoriali: ai margini della tv “ufficiale”, ma con una sua coerenza da laboratorio nerd di periferia e, ammettiamolo, una trovata in cui spiccava tutto l’amore e la passione da parte di chi la dirigeva.

Comics Manga Network, nato nel 1995 e diventato nei primi Duemila un riferimento per gli anime nel Meridione, si trasforma in Comics Manga Games TV e, con il digitale terrestre, esplode nel progetto Neko TV, definito “emittente dedicata a news, anteprime, approfondimenti, talent show, fan art e fan film” oltre alle serie classiche di cartoon e telefilm. Il nome stesso, legato al maneki neko, promette fortuna, buon auspicio, un canale giocoso ma competente. Sulla carta, una piccola Rai 4 iperspecializzata e ancora più nerd. Ricordiamo, infatti, come all’epoca il quarto canale della TV di stato, diretto da Carlo Freccero, aveva raccolto l’eredità di MTV e la sua Anime night, trasmettendo innumerevoli serie giapponesi.

La realtà sul digitale terrestre è però molto meno scintillante. Neko TV compare nel 2011 sul mux Retecapri, inizialmente all’LCN 120 e poi promossa al 45, nel blocco dei canali per ragazzi. L’idea è di posizionarsi esattamente dove l’utente smanetta quando cerca anime e cartoni: tra Boing, K2 e Rai Gulp. Ma l’impianto tecnico e produttivo rimane quello di un progetto artigianale. Immagini spesso compresse in modo brutale, bitrate bassissimo, grafiche da fansub di inizio anni 2000, un sito ufficiale che compare, scompare, viene oscurato e rimpiazzato da schermate di protesta, fino alla chiusura definitiva. È la classica storia in cui la passione c’è, ma mancano i mezzi, il controllo di qualità e la capacità di tenere il passo con le aspettative iniziali. Il sogno del canale nazionale degli otaku italiani si infrange subito contro il muro della tv fatta con lo scotch.

Un palinsesto “in DVD”: pochi anime, tante repliche

Il tratto più surreale, e al tempo stesso più “leggendario”, di Neko TV è il suo modo di andare in onda. Il palinsesto non è un palinsesto, è un video continuo. Le testimonianze degli appassionati raccontano un dettaglio quasi comico: il flusso del canale era un’unica traccia montata su DVD, infilata in un lettore che girava in loop, con il disco sostituito circa una volta alla settimana per inserire i “nuovi” episodi. Quando, in diretta, qualcuno sul forum di Digital-Forum racconta di aver visto comparire la schermata iniziale del lettore DVD nel momento del cambio disco, si capisce che non è leggenda urbana, è proprio così che l’emittente funziona. In questo contesto, gli anime diventano quasi un contorno. Il palinsesto iniziale, stando alle ricostruzioni, propone quattro serie giapponesi storiche – Le favole di Esopo, Julie rosa di bosco, Golion e Il piccolo guerriero – con un episodio nuovo a settimana, replicato tutti i giorni più volte. Un canale che nasce nel 2011, in piena era streaming, e che si regge su pochissime serie mandate in loop continuo assume inevitabilmente una patina triste, da televisione “povera” che fa quel che può con quello che ha.

È proprio questo uso ossessivo delle repliche a segnare il destino della rete. I promo parlano di blocchi definiti, di fasce orarie precise dedicate agli anime; ma nella pratica il canale appare, per chi lo sintonizza a caso, come una giostra infinita delle stesse sigle, degli stessi episodi, degli stessi contenitori di video pescati dal web. Il “Comics Manga Show”, che alterna clip da YouTube, sigle giapponesi e videoclip J-pop, è insieme il cuore del progetto e il suo limite strutturale: estetica amatoriale, qualità video bassissima, montaggio spesso approssimativo. L’impressione è quella di una tv fatta da fan per altri fan, ma con gli strumenti e i metodi di una sala prove improvvisata. Lontanissima dagli standard, già non eccelsi, delle tv tematiche italiane dell’epoca.

Bigfoot, telefilm oscuri e la fascinazione del brutto

A rendere Neko TV un oggetto televisivo quasi alieno contribuiscono le scelte di palinsesto in ambito live action. Tra anime replicati allo sfinimento e contenitori di clip, debutta nel palinsesto il telefilm americano anni ’70 Bigfoot and Wildboy, in Italia noto come Bigfoot e il ragazzo selvaggio. Una serie già di per sé borderline, con costumi poverissimi e trame ingenue, che su Neko TV sembra uscita da una VHS dimenticata in soffitta.

La stessa serie diventerà l’ispirazione per Babbala e il ragazzo idiota di Maccio Capatonda, webserie di FlopTV che parodia in modo feroce l’immaginario naif di Bigfoot and Wildboy. È difficile non leggere questo legame come un indizio: quella tv infantilmente eroica, quella fotografia slavata, quel modo di concepire l’avventura televisiva sono esattamente ciò che, anni dopo, il comico trasforma in bersaglio satirico. Neko TV, ripescando e riproponendo Bigfoot e il ragazzo selvaggio accanto agli anime di seconda fascia, finisce per sembrare – suo malgrado – un canale già pronto per essere ironizzato.

In mezzo, emergono altre rarità, serie tv semi-dimenticate, esperimenti italiani amatoriali come Columns o White, webserie trapiantate in tv, format dedicati alla cultura nerd, al modellismo, alla musica asiatica. Molta passione, pochissimi filtri. Il risultato, per lo spettatore generico, è un effetto zapping da “televisione di un universo parallelo”, dove un telefilm anni ’70 da pomeriggio regionale convive con videoclip J-rock compressi, interviste a fumettisti italiani in fiere di provincia e anime dall’aria vagamente pirata.

Lo strano caso di Blame!

Tra i momenti più curiosi — e discussi — della programmazione di Neko TV spicca il cosiddetto caso Blame!. Secondo diverse testimonianze circolate all’epoca su forum e community dedicate, il canale avrebbe trasmesso, verso la fine del 2011, alcuni episodi animati tratti dal celebre manga di Tsutomu Nihei. Si parla di OAV in lingua originale, accompagnati da sottotitoli italiani che, secondo voci non ufficiali, sembravano provenire da versioni amatoriali già presenti online.

Non è mai stato chiarito se si trattasse di un errore tecnico, di una concessione temporanea o semplicemente di una scelta di programmazione poco verificata, ma l’episodio alimentò un acceso dibattito tra i fan. In rete si discusse a lungo sulla legittimità di quella messa in onda, e sulla possibilità che il canale avesse usato materiale “di passaggio” in attesa di diritti più stabili. Nulla di provato, certo, ma abbastanza da far crescere l’aura leggendaria e controversa di Neko TV.

Il “caso Blame!” divenne così una piccola leggenda urbana: l’emblema di una televisione che camminava sempre sul filo tra passione e improvvisazione, tra autenticità e ingenuità. Ed è forse proprio in questi episodi ambigui, a metà tra ingenuità produttiva e spontaneità da fanclub, che si nasconde il fascino più duraturo del canale.

Il ruolo di Cavernadiplatone e la redazione “nerd”

A dare un minimo di credibilità “critica” al progetto contribuisce, negli anni, l’arrivo di figure come Domenico Guastafierro, noto come Cavernadiplatone, uno dei primi youtuber italiani specializzati in manga e anime. Guastafierro entra nello staff del canale nel ruolo di capo-redattore. Staff che, secondo alcune voci di corridodio (impossibili da confermare) ritrovate dai thread sui forum dell’epoca, prendeva qualcosa tipo 300 euro al mese.

Che un divulgatore già attivo online si ritrovi a coordinare i contenuti di un canale così anomalo conferma una intuizione della rete: pescare direttamente dal fandom le sue voci, trasformando i “ragazzi di YouTube” in volti televisivi. In teoria è una mossa moderna, quasi anticipatrice dei tempi. In pratica, però, il contesto produttivo rimane quello di una tv con mezzi risicatissimi, costretta a montare palinsesti in loop e a riempire ore con materiali eterogenei.

Guastafierro rappresenta tuttavia un caso unico nel panorama italiano: poco più che ventenne, studente universitario e appassionato di cultura giapponese, riesce dove molti altri non ce l’avevano fatta prima: trasformare la passione per anime e manga in un vero e proprio lavoro, con una serietà e una costanza che gli valgono un ruolo di primo piano in redazione. La sua figura segna uno spartiacque: dal semplice hobby amatoriale all’ingresso in una dimensione semi-professionale, dove la competenza del fan si fonde con la responsabilità del comunicatore.

Neko TV, pur nei suoi limiti produttivi, gli offre una vetrina che amplifica la notorietà conquistata su YouTube, permettendogli di raggiungere un pubblico più vasto e di consolidare la sua posizione come uno dei primi “critici pop” del mondo anime in Italia. È una storia che, col senno di poi, anticipa il percorso di molti content creator contemporanei: partire da un canale web per arrivare, passo dopo passo, al riconoscimento nel mondo dei media tradizionali.

Dal reboot mancato alle televendite in loop: la lenta agonia

Nel 2014 Neko TV annuncia una sorta di “reboot”: nuova grafica, logo aggiornato con la scritta giapponese 猫テレビ, promessa di una “NekoTV 2.0”. Ma ancora una volta, alle dichiarazioni non corrispondono veri cambi di passo. Alcuni contenitori musicali vengono riorganizzati, si dividono rubriche come Ongaku in sezioni dedicate a Cina, Giappone e Corea, ma la struttura fondamentale resta quella dei loop registrati.

Il progressivo spostamento di LCN – dal 45 al 247 – segna anche una lenta marginalizzazione nel telecomando degli italiani. Traslocando di numero e perdendo visibilità, il canale scivola letteralmente nelle profondità della numerazione, lontano dalle zapping line comuni. Il colpo di grazia arriva nel 2015. Da giugno di quell’anno, Neko TV comincia a trasmettere quasi esclusivamente televendite, relegando i loop di video e programmi a orari prevalentemente notturni. È il destino di molte emittenti tematiche in crisi: da canali di contenuto passano a diventare vetrine per vendite a distanza, integratori, gioielli e oggetti vari. Nel caso di Neko TV, il contrasto tra il sogno “immaginario fantastico” e la realtà di materassi, telefonini e servizi randomizzati è particolarmente doloroso. Il gatto maneki neko, nato per portare fortuna, finisce per reggere il cartello luminoso di un canale di televendite come tanti.

Nel 2016-2017 entra infine in scena Sony Pictures Television, che acquista la LCN 45 (assieme alla 55 di Capri Gourmet) per lanciare il canale POP. Neko TV termina ufficialmente le trasmissioni il 1º maggio 2017, lasciando il posto ai promo del nuovo brand Sony. È una fine silenziosa per una rete che aveva promesso di “rivoluzionare” la tv degli appassionati di anime e fumetti.

Web TV fantasma, pagine social e il culto del trash

La storia non finisce davvero con lo switch-off. Dopo la chiusura, gli annunci di una rinascita come web TV si susseguono: siti riattivati e vuoti, domini come nekotv.tv rilanciati ma poveri di contenuti, pagine Facebook rinominate in “NekoTV Digital” e gemellate come “MaoTV” che pubblicano meme, notizie di cinecomics, annunci continui di un ritorno dell’emittente come app o web TV, puntualmente rimandato.

Questa fase postuma, quasi “spettrale”, è forse la più significativa per spiegare perché Neko TV, pur essendo stata oggettivamente un canale tecnicamente mediocre e spesso mal gestito, sia rimasta nel cuore (e nei meme) di una piccola comunità di spettatori. Tra i video YouTube che la ricordano come “il canale più sconosciuto del mondo”, i post nostalgici sui forum e l’eco delle sue scelte assurde di palinsesto, Neko TV è stata lentamente ribattezzata un “cult” trash del passato. Non un cult nel senso nobile del termine, come possono esserlo certe tv sperimentali o certe trasmissioni d’autore, ma un culto del brutto, del raffazzonato, del “ti ricordi quel canale assurdo con il gatto e i cartoni in loop?”. È la nostalgia di una televisione sbilenca e sinceramente appassionata, che mischiava telefilm improbabili, autoproduzioni girate alle fiere del fumetto e rubriche fatte con mezzi di fortuna.

In un’epoca in cui tutto passa per lo streaming patinato delle grandi piattaforme, la memoria di un canale che registrava letteralmente il palinsesto su un DVD da far girare in perenne replay assume quasi un sapore romantico. Neko TV è caduta, ma la sua è stata una storia così strana, anomala e misteriosa da scolpirsi, suo malgrado, nell’immaginario degli appassionati.

Bilancio finale: tv dimenticabile, mito irripetibile

In fondo, Neko TV è stata una delle esperienze più singolari della televisione digitale italiana. Un progetto nato da autentica passione, ma che non è mai riuscito a trovare un equilibrio tra ambizione e risultati. Voleva essere il punto di riferimento per gli amanti di anime e cultura pop giapponese, ma si è trasformato in un piccolo universo chiuso, fatto di repliche, format ripetuti e un’immagine rimasta ferma nel tempo. Una televisione che voleva osare, ma finì per girare su sé stessa, come un disco che non smette mai di ripetersi.

Non c’è bisogno di nasconderlo: Neko TV è stata una “nerdata” nel senso più sincero del termine, un luogo televisivo dove la passione travalicava la forma, e dove l’entusiasmo dei suoi ideatori spesso superava le possibilità tecniche e produttive. Eppure, proprio per questo, ha lasciato una traccia indelebile nella memoria collettiva. Nel suo modo naïf e artigianale di raccontare il mondo otaku, è diventata un piccolo “cult” trash: non per la qualità del prodotto, ma per la spontaneità con cui mostrava i limiti e i sogni di un’intera generazione di appassionati.

Guardandola oggi, Neko TV sembra quasi una metafora dell’evoluzione – e della crisi – dell’universo anime. È il simbolo di una passione che da nicchia autentica si è trasformata in tendenza di massa, fino a diventare un fenomeno commerciale, mainstream, persino un po’ stanco. Il boom globale degli anime ha portato visibilità e opportunità, ma anche un certo appiattimento creativo: molte serie moderne si somigliano, molte storie sembrano già viste, e la magia di un tempo si è in parte smarrita.

In questo senso, Neko TV è stata lo specchio di un momento di passaggio: l’epoca in cui la cultura giapponese smetteva di essere misteriosa e di nicchia per diventare consumo di massa, confezionato tra luci, glitter e colori accesi. Un mondo che oramai, per gli ex appassionati di anime e manga (come lo stesso autore diquesto articolo), non avvascina più, che non sorprende più, perché comprende che si stava meglio quando tutto ciò era di nicchia, più artigianale, ma allo stesso tempo più fantasioso.

Forse, senza volerlo, Neko TV ci ha insegnato qualcosa: che la passione, se non nutrita da curiosità e profondità, rischia di trasformarsi in semplice ripetizione. Ma anche che dietro ogni esperimento imperfetto si nasconde un pezzo di storia e un frammento di cultura pop, di filologia, che merita di essere ricordato. E così, pur restando un canale dimenticabile, Neko TV è diventata immortale nel suo modo più ironico e umano: quello di un sogno fragile che continua a far sorridere.

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