Storia

La storicità del Carnevale Sipontino

La ritualità religiosa e cultuale della comunità sipontina ha radici profonde, nel tempo e nella indole, tanto da essere connaturata nella stessa. 

In una plaga nella quale la natura ha voluto profondere umori e sapori variegati, coinvolgendo nel suo afflato anche l’animo umano, le manifestazioni del popolo verso idoli e dèi, o verso la sacralità cristiana, hanno connotazioni storiche antichissime. 

E così è per Carnevale. 

Per un popolo, la cui vicenda umana si snoda per millenni, i ludi, le festività, le ritualità ne sono conseguente viatico. 

I ludi sipontini, allora, sono, tra le forme ancestrali del manifestarsi, quelle più naturali e spontanee.

Una popolazione che, afflitta dalla palude e dalla sete, opportunamente, ha manifestato la sua vita e le sue angosce con le incisioni sulle stele daunie e con il culto verso la dea acqua; una popolazione che, angariata nel suo sito (chiave e porta della Puglia) da continue invasioni, ha saputo trovare nella fede cristiana, nel culto mariano e michaelico, e nei suoi presuli il rifugio per una ragione di essere. 

 A questa stessa popolazione, cosmopolita, pregna di caratterizzazioni linguistiche, razziali e religiose, le più disparate, e per queste continue lacerazioni umane e naturali, il rifugiarsi nei ludi sipontini è stato un fenomeno, se pure effimero, comune e appagante. 

Ecco perché, qui da noi, il Carnevale, cioè i ludi sipontini non hanno tempo. Essi sono una liberazione dell’animo umano, un’ invocatio, una essenza vitale, una vis procedurale. Ecco perché a Manfredonia il Carnevale va vissuto interamente, senza preconcetti. Esso, in tutte le sue molteplici manifestazioni, vuole e sa coinvolgere, da mattino a notte. E questo spirito vien bene evidenziato da Federico II, dai Sinodi e dagli umanisti del ‘400 e del ‘500, dai cronisti locali del ‘600 e del ‘700, e giù giù sino ad oggi. 

Tracciare in breve la sua storia non è possibile, come non è possibile tracciare, su una pagina, la storia di un popolo. 

Eh sì, perché i ludi sipontini hanno cadenzato tutta l’avventura umana della nostra comunità.

E non si pensi che questa paventata paganità sia contrapposizione alla Cristianità del popolo nostro; per nulla. 

Essa invero è la sublimazione della usa religiosità ed umanità.

Il Carnevale, quindi, come valorizzazione della personalità umana, come sincera vocatio al naturale e al soprannaturale, alla vita che pur fugge e sfugge, ma anche alla deità che ti racchiude e ti conclude.

Ecco perché il nostro Carnevale non può essere raccontato; esso va vissuto, nelle mutazioni dei tempi e delle circostanze: un’ invenzione cultuale, soggettiva e spontanea, ma che assurge a dignità corale e pregnante. 

Esso non va né fuggito né eclissato, ma compreso e valorizzato, promosso ed assecondato. E si può dire che la sua valenza e la sua pregnanza, nonostante i mille ostacoli, la concorrenza agguerrita, sono sempre incipienti e incombenti, antiche e rinnovate, così come la stessa vita dell’umanità. Esse, come pur scrisse un nostro dotto poeta dell’ 800, non moriranno mai, perché il Carnevale rappresenta la vita stessa del popolo sipontino. 

Giovanni Ognissanti

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Redazione

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