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La parabola dell’Arrowverse: dalla gloria alla rovina

Nascita, crescita e declino dell'Arrowverse: cosa resta oggi di questo multiverso supereroistico? E perché è fallito?

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C’è stato un decennio in cui il piccolo schermo ha creduto di poter costruire un universo condiviso a misura di prime time, capace di far convivere il buio urbano di un vigilante con l’ottimismo sorridente di un velocista scarlatto. Quell’esperimento si chiamava Arrowverse, nacque nel 2012 con Arrow e si concluse ufficialmente il 24 maggio 2023 con la stagione finale di The Flash, dopo l’ultimo, estenuato colpo di coda di un progetto che aveva già visto i suoi astri spegnersi uno a uno. Era un sogno di coerenza seriale, un mosaico di toni e di generi, una fucina di rituali pop (i crossover annuali) e un manuale di worldbuilding televisivo. E come tutte le epopee, ebbe la sua età dell’oro, la sua hybris e il suo tramonto.

Arrow: l’uomo che ha dato inizio alla leggenda

Quando Arrow debuttò su The CW nel 2012, nessuno poteva immaginare che avrebbe aperto la strada a un intero universo televisivo. A dare vita a Oliver Queen fu Stephen Amell, che seppe trasformare un eroe minore dei fumetti in una figura tormentata, concreta e umanissima. Oliver, miliardario di Starling City (in seguito rinominata Star City), naufraga su un’isola deserta e vi trascorre cinque anni che lo cambieranno per sempre. Quando torna, non è più il ragazzo superficiale che aveva lasciato la città: è un sopravvissuto, addestrato alla lotta e animato da un senso di colpa feroce. Decide di rimediare agli errori del padre e di distruggere la corruzione che divora la sua città. Così nasce Arrow, il vigilante con l’arco e il cappuccio verde.

Le prime stagioni restano ancora oggi tra le più apprezzate. Nella seconda, Oliver affronta Slade Wilson/Deathstroke (interpretato da Manu Bennett), un ex alleato consumato dal Mirakuru, un siero che amplifica la forza ma corrode l’anima. È il momento in cui la serie diventa epica: il passato ritorna e il dolore diventa il motore della rinascita.

La terza stagione amplia il respiro narrativo: fa il suo ingresso Ra’s al Ghul (Matt Nable) e la Lega degli Assassini, portando il protagonista a interrogarsi sul confine tra giustizia e potere. Oliver però può contare su due figure fondamentali: Felicity Smoak (Emily Bett Rickards), la mente informatica che diventa il suo amore, e John Diggle (David Ramsey), l’amico fraterno e la voce della coscienza.

Con la quarta stagione entra in scena Damien Darhk (Neal McDonough), mago e terrorista, e la serie vira momentaneamente verso il fantastico. Ma è la quinta stagione a riportare Arrow alla sua essenza più cruda: Adrian Chase/Prometheus (Josh Segarra) rappresenta il lato oscuro di Oliver, l’uomo che lo costringe a guardarsi dentro e a riconoscere le proprie colpe.

Da lì, la serie procede verso la chiusura. Oliver capisce di non poter essere solo un uomo: deve diventare un simbolo. Nel grande crossover Crisi sulle Terre Infinite (2019-2020), si sacrifica per salvare non solo i suoi amici, ma tutto il multiverso. Nella prima parte dell’evento, Oliver muore eroicamente difendendo la popolazione di Earth-38 dall’Antimonitor, combattendo fino all’ultimo respiro. Viene poi resuscitato come Spettro, un’entità cosmica di pura energia, e guida i suoi compagni nella battaglia finale contro il nemico.

Il suo ultimo gesto è di proporzioni divine: Oliver Queen accende una nuova creazione, fonde le Terre e dà vita a Earth-Prime, il mondo unificato in cui tutti gli eroi possono finalmente convivere. Subito dopo, muore per la seconda e definitiva volta, tra le lacrime degli amici. La sua tomba porta inciso “Oliver Queen – Hero, Father, Husband, and Protector of Star City”.

La morte di Oliver è il cuore simbolico dell’Arrowverse. È il sacrificio che chiude un’era e apre un universo. Senza di lui, la CW perde il suo eroe fondativo: l’uomo che aveva dimostrato che non servono superpoteri per essere un supereroe.
Con il suo addio, l’Arrowverse inizia lentamente a spegnersi, come se la luce che lo teneva unito si fosse esaurita.

The Flash: la corsa dell’eroe e la fine dell’innocenza

Se Arrow rappresentava l’ombra, The Flash era la luce. Quando Grant Gustin fece la sua prima apparizione nei panni di Barry Allen in un episodio della seconda stagione di Arrow, il pubblico capì subito che stava nascendo qualcosa di speciale. Nel 2014 la CW gli dedicò una serie tutta sua, e da quel momento la corsa del Velocista Scarlatto divenne una delle avventure televisive più amate del decennio.

Barry è un giovane scienziato della polizia scientifica di Central City. Dopo un’esplosione dell’acceleratore di particelle, viene colpito da un fulmine e si risveglia dal coma con un dono (o forse una maledizione): la super velocità. Da quel momento diventa The Flash, l’uomo più veloce del mondo, pronto a difendere la città con l’aiuto del team dei Laboratori S.T.A.R.: il mentore Harrison Wells (Tom Cavanagh), il geniale e ironico Cisco Ramon (Carlos Valdes) e la dolce Caitlin Snow (Danielle Panabaker).

La prima stagione è considerata un piccolo gioiello: la scrittura è compatta, l’equilibrio tra scienza e sentimento è perfetto e il villain, Eobard Thawne/Reverse-Flash, interpretato sempre da Tom Cavanagh, regala alla storia un’intensità drammatica rara. Il mistero della madre di Barry, uccisa da un uomo in tuta gialla, e del padre Henry Allen (John Wesley Shipp) incarcerato ingiustamente, è la ferita che muove tutto.

La seconda stagione alza l’asticella con la scoperta del multiverso e l’arrivo di Zoom (Teddy Sears), un nemico oscuro, quasi demoniaco. È qui che The Flash tocca la sua vetta emotiva: la paura, la perdita, la responsabilità di essere un simbolo. Nella terza stagione entra in scena Savitar, un futuro malvagio di Barry stesso, specchio tragico dell’eroe: l’uomo che corre contro il proprio destino.

Dopo tre stagioni perfette, però, qualcosa cambia. La quarta stagione introduce Clifford DeVoe, il Pensatore (Neil Sandilands), un genio malato di onnipotenza, ma la scrittura si alleggerisce troppo. La serie, che era nata come un equilibrio tra commedia e dramma, scivola in una leggerezza eccessiva. Le gag comiche si moltiplicano, come la famigerata scena del “Cisky, Cisky, Cisky” con Breacher (Danny Trejo), o l’episodio Girl Power in cui Barry, ubriaco e ricoperto di vomito, canta felice con gli amici: momenti imbarazzanti che fanno crollare la tensione emotiva costruita negli anni.

Le stagioni successive tentano di recuperare tono. Arrivano nuovi velocisti e nuovi nemici: Cicada, Bloodwork, Godspeed e infine il ritorno dello stesso Reverse-Flash, eterno specchio del protagonista. Ma l’effetto sorpresa è svanito. Il cuore di The Flash resta il suo ottimismo, la convinzione che l’amore possa salvare tutto, ma l’eccesso di sentimentalismo finisce per far sembrare la serie una lunga soap con superpoteri. Il matrimonio tra Barry e Iris West (Candice Patton), da evento atteso, diventa col tempo un meccanismo ripetitivo.

Nonostante tutto, The Flash ha avuto il merito di unire e rendere vivo l’Arrowverse. Ogni crossover — Flash vs. Arrow, Invasion!, Elseworlds, fino a Crisi sulle Terre Infinite — ha visto Barry come collante umano dell’intero universo CW. La sua amicizia con Oliver Queen, quasi fraterna, è stata uno dei rapporti più sinceri e commoventi del piccolo schermo.

La corsa di Barry Allen si conclude il 24 maggio 2023, dopo nove stagioni. È l’ultimo atto ufficiale dell’Arrowverse. Nell’episodio finale, il protagonista decide di trasmettere la propria velocità ad altri tre nuovi eroi, quasi a dire che il fulmine non si spegnerà mai. Ma è anche un addio malinconico: i fan assistono alla fine di un’era televisiva, quella che aveva fatto sognare milioni di spettatori con la promessa che, a volte, l’uomo più veloce del mondo non corre per fuggire, ma per ritrovare se stesso.

Grant Gustin lascia il ruolo con grazia e maturità, chiudendo un ciclo che aveva dato dignità televisiva all’universo DC. Con lui, si spegne la luce più pura dell’Arrowverse — quella della speranza.

Supergirl: la luce della speranza e il peso dell’eredità

Se Arrow era l’oscurità urbana e The Flash la meraviglia luminosa, Supergirl portò nell’Arrowverse la dimensione dell’ideale puro, del cuore che crede nel bene anche quando tutto sembra perduto. A interpretare Kara Zor-El / Kara Danvers fu Melissa Benoist, un volto dolce e deciso, capace di trasmettere ingenuità e coraggio nella stessa inquadratura.

La serie nasce nel 2015 su CBS, ma dopo una prima stagione convincente, viene trasferita su The CW, dove si integra pienamente con l’universo creato da Arrow e The Flash. Kara è la cugina di Superman, inviata sulla Terra per proteggerlo quando era bambino; ma la sua navicella viene deviata e lei arriva molto dopo. Clark è già diventato l’Uomo d’Acciaio quando Kara mette piede sul nostro pianeta. Rimasta senza uno scopo, trova un’identità vivendo come ragazza normale, fino al giorno in cui, costretta a intervenire, rivela al mondo la sua vera natura.

Il fascino di Supergirl risiede nella sua capacità di raccontare una giovane donna che impara a essere forte senza perdere la propria sensibilità. Non è solo una serie di supereroi: è un racconto di crescita, di responsabilità e di identità.

Accanto a Kara troviamo Alex Danvers (Chyler Leigh), la sorella adottiva, agente segreto e confidente, una presenza fondamentale nella sua vita; J’onn J’onzz / Martian Manhunter (David Harewood), figura paterna e “ultimo figlio di Marte”; e James Olsen (Mehcad Brooks), versione moderna del leggendario fotografo, che qui assume un ruolo più attivo e, a un certo punto, persino eroico.

La serie gioca da subito con temi attuali: integrazione, xenofobia, paura del diverso. L’idea che “gli alieni siamo noi” è evidente nelle prime stagioni. Kara affronta nemici che spesso riflettono tensioni sociali e politiche reali: Non e Astra, figure dell’universo kryptoniano; poi il complesso arco con Reign (Odette Annable), la “Supergirl oscura”, una madre trasformata in arma; e ancora Lex Luthor, interpretato con magnetismo da Jon Cryer, un villain a metà tra genio del male e manipolatore mediatico, capace di rubare la scena ogni volta che appare.

Superman entra in scena grazie a Tyler Hoechlin, offrendo alla serie momenti di emozione pura. Non è l’ombra che oscura Kara, ma una presenza che la completa e la valorizza. Allo stesso modo, la figura di Lena Luthor (Katie McGrath) introduce una delle dinamiche più intense: amicizia, tradimento e ricongiungimento. Il rapporto tra Kara e Lena è forse uno dei più solidi e tormentati dell’intero Arrowverse, costruito su fiducia e ferite.

Quando arriva Crisi sulle Terre Infinite, Kara diventa un pilastro dell’unificazione universale: è il simbolo della speranza e della resilienza. Il suo pianeta, la sua Terra, viene distrutta; e lei è costretta a ricominciare in un nuovo universo — Earth-Prime — accanto a Barry Allen e ai nuovi eroi.

Eppure, come tutto l’Arrowverse, anche Supergirl conosce un lento calo. Le ultime stagioni diventano più didascaliche, alcune trame sentimentali appesantiscono il ritmo, e la scrittura perde parte della freschezza iniziale. Tuttavia, la serie riesce a chiudere con dignità.

Il 9 novembre 2021, Supergirl saluta il pubblico con un finale che ha il sapore delle partenze in silenzio. Kara decide finalmente di accettare se stessa, non più divisa tra la donna e l’eroina: non nasconde più la sua identità, e sceglie di essere intera.

Melissa Benoist lascia il mantello con grazia, consegnando ai fan una Supergirl umana, solare e vulnerabile, capace di essere forte anche nei momenti più fragili. Se Oliver Queen era il sacrificio e Barry Allen la speranza, Kara Danvers è la tenerezza che sa diventare potenza.

Con lei si spegne una delle anime più luminose dell’Arrowverse.

Legends of Tomorrow: un mix tra One Piece e Back to the Future

Se Arrow era il dolore e The Flash la speranza, Legends of Tomorrow fu la follia pura dell’eroismo, una ciurma di disadattati che navigava non tra i mari ma attraverso il tempo. Debuttata nel 2016, la serie sembrava un esperimento minore, uno spin-off per riutilizzare personaggi lasciati ai margini. E invece divenne il cuore più imprevedibile e libero dell’Arrowverse, una sorta di One Piece in salsa temporale: un gruppo di anime smarrite unite dal sogno di cambiare il destino.

Al posto della Going Merry o della Thousand Sunny, la loro nave è la Waverider, una macchina del tempo che viaggia tra le ere come un galeone tra le onde. A guidarla, almeno all’inizio, è Rip Hunter (Arthur Darvill), un uomo del futuro che riunisce un equipaggio improbabile: Sara Lance/White Canary (Caity Lotz), l’assassina redenta e in seguito carismatica capitana; Ray Palmer/The Atom (Brandon Routh), il geniale scienziato dal cuore ingenuo; i criminali Leonard Snart/Captain Cold (Wentworth Miller) e Mick Rory/Heat Wave (Dominic Purcell), amici e nemici a seconda dell’occasione; la coppia immortale Hawkman e Hawkgirl (Falk Hentschel e Ciara Renée), condannata a rinascere e morire per l’eternità; e la fusione di due anime in una sola, Firestorm, interpretato da Victor Garber e Franz Drameh.

La loro missione è fermare Vandal Savage (Casper Crump), un despota immortale che minaccia di dominare la storia stessa. Ma ben presto il vero nemico non è lui: è il caos del tempo, è la stessa imprevedibilità delle loro vite. Ogni salto temporale è una rotta sbagliata, ogni epoca un nuovo arcipelago da esplorare.

Dalla seconda stagione in poi, la serie trova la sua identità definitiva. Sara Lance, dopo la partenza di Rip, diventa il capitano perfetto di questa ciurma sgangherata, una leader non per autorità ma per empatia. Con lei arrivano nuovi membri: Nate Heywood/Steel (Nick Zano), Zari Tomaz (Tala Ashe), John Constantine (Matt Ryan) e molti altri che, come nuovi compagni di viaggio, si aggiungono e si perdono lungo la rotta. Ogni stagione è un’avventura diversa, tra paradossi temporali, divinità, demoni e assurdità totali.

Ryan aveva già vestito i panni del mago inglese nella sfortunata serie Constantine (NBC, 2014-2015), tratta direttamente dai fumetti Hellblazer pubblicati sotto l’etichetta Vertigo, la divisione più adulta e gotica della DC. Vederlo approdare nell’Arrowverse fu, per gli appassionati, un piccolo miracolo televisivo: un crossover non solo tra serie, ma tra due anime della DC: quella supereroistica e quella più esoterica, che raramente si toccano.

C’è qualcosa di straordinariamente “mugiwara” in loro: come la ciurma di Rufy, anche le Leggende non sono unite dal sangue ma da un’idea comune, quella di non appartenere a nessun mondo e di salvarli tutti. Ognuno ha un sogno da inseguire: Sara cerca redenzione, Nate cerca significato, Mick solo un po’ di pace, Ray crede nell’amore come motore dell’universo. È la stessa filosofia di One Piece, ma raccontata con viaggi nel tempo al posto del mare.

Con il passare degli anni, la serie diventa sempre più surreale. In alcune puntate i personaggi vengono trasformati in pupazzi, in altre combattono draghi medievali o cantano in musical intergalattici. Ma anche nella follia più totale, Legends of Tomorrow conserva un cuore sincero: l’idea che essere eroi non significhi essere perfetti, ma semplicemente non smettere mai di provarci.

Il tono diventa più leggero, ma mai superficiale. Ci sono episodi di pura comicità, ma anche momenti di struggente intensità, come la morte del professor Stein durante Crisis on Earth-X: uno dei picchi emotivi di tutto l’Arrowverse. In quella scena, la famiglia ritrovata perde il suo padre spirituale, e la serie smette per un attimo di ridere per ricordarci quanto dolore ci sia nel dire addio.

L’ultima stagione, la settima, si chiude il 29 aprile 2022 con un cliffhanger: la ciurma viene arrestata nel passato. È un finale sospeso, come una bottiglia lanciata nel tempo. Quest perché la CW decise di cancellare la serie, chiudendo ogni speranza di continuazione. La cosa più amara è che il team di sceneggiatori aveva già scritto un piano completo per l’ottava stagione, che avrebbe dovuto esplorare meglio il passato di Booster Gold (una new entry interpretata da Donald Faison), l’evoluzione di Sara Lance come madre e il ritorno di alcuni personaggi storici (tra cui lo stesso Constantine in una forma “spettrale”).

Guardando oggi Legends of Tomorrow, sembra di vedere una versione moderna e impazzita di One Piece diretta da Robert Zemeckis. Al posto dei mari ci sono le epoche, al posto dei tesori ci sono i ricordi, e al posto del Re dei Pirati c’è una donna che ha imparato a comandare il tempo.

Caity Lotz chiude come una vera capitana: ironica, vulnerabile, eroica. Con lei finisce l’avventura più anarchica dell’Arrowverse, quella che ricordava a tutti che la storia, come il mare, non va conquistata ma esplorata.

Gli altri mondi dell’Arrowverse

L’Arrowverse non è stato solo Arrow, The Flash, Supergirl e Legends of Tomorrow. Nel corso degli anni, la CW ha costruito un microcosmo televisivo ramificato, in cui ogni nuova serie era un tassello di un universo condiviso che, come nei fumetti DC, si allargava in tutte le direzioni.

Parliamo in primis di Black Lightning, una delle serie più mature e socialmente consapevoli dell’Arrowverse. Debuttata nel 2018, il protagonista Jefferson Pierce, interpretato da Cress Williams, è un ex vigilante che aveva abbandonato la maschera per dedicarsi alla famiglia e al suo lavoro di preside in una scuola di periferia. Ma quando la criminalità e la corruzione tornano a minacciare la sua comunità, Jefferson è costretto a indossare di nuovo il costume e a combattere come Black Lightning.

A differenza delle altre produzioni CW, la serie parte come un racconto indipendente, con toni più realistici e un forte sottotesto politico. Solo in seguito — durante il crossover Crisis on Infinite EarthsBlack Lightning viene integrato ufficialmente nell’Arrowverse, diventando parte di Earth-Prime. Il suo mondo è più adulto, più drammatico, meno ironico. Racconta il razzismo, le disuguaglianze, la paternità e il peso della responsabilità. Jefferson è un eroe stanco ma lucido, e la sua figura ricorda il vecchio Oliver Queen delle ultime stagioni: un uomo che combatte non per gloria, ma per necessità.
La serie si chiude nel 2021, dopo quattro stagioni, lasciando un’eredità morale e politica più che mitologica.

A seguire, dobbiamo menzionare uno dei prodotti più discussi della CW, ovvero Batwoman, nata nel 2019 e interpretata inizialmente da Ruby Rose nel ruolo di Kate Kane, la cugina di Bruce Wayne. Dopo la misteriosa scomparsa di Batman, è lei a raccogliere il testimone e a difendere Gotham.
Il progetto parte con coraggio, ma incontra presto difficoltà: Ruby Rose abbandona la serie dopo una stagione, e viene sostituita da Javicia Leslie, che interpreta un nuovo personaggio, Ryan Wilder, una giovane donna che eredita il mantello di Batwoman.

Il cambio di protagonista segna uno dei punti più fragili dell’intero Arrowverse. Nonostante la buona volontà e la presenza di temi attuali — dall’identità personale alla giustizia sociale — la serie non riesce mai a trovare un equilibrio stabile tra noir e azione, tra introspezione e ritmo. Chiude nel 2022, con tre stagioni all’attivo.

Eppure Batwoman resta importante per un motivo: rappresenta l’ultimo tentativo della CW di espandere il mito di Gotham, un mondo che l’Arrowverse aveva sempre sfiorato ma mai davvero conquistato. Batman restava un’ombra, un fantasma troppo grande da incarnare.

Ma la forza dell’Arrowverse non si è fermata al piccolo schermo. Parallelamente, DC Comics ha pubblicato una serie di fumetti ufficiali ispirati alle serie CW, tra cui Arrow Season 2.5, The Flash Season Zero e Supergirl: Digital First. Queste opere, supervisionate dai produttori delle serie, espandevano gli eventi tra una stagione e l’altra, arricchendo la mitologia e colmando i vuoti narrativi.

Anche sul fronte animato, la CW e la Warner hanno sperimentato spin-off digitali di ottima qualità: la miniserie Vixen (2015–2016), con la voce di Megalyn Echikunwoke, ha introdotto il personaggio della supereroina africana Mari McCabe, poi apparsa anche in carne e ossa in Arrow. Più tardi è arrivata Freedom Fighters: The Ray (2017–2018), che ha presentato Ray Terrill, il primo supereroe dichiaratamente omosessuale dell’Arrowverse animato, interpretato nella versione live action da Russell Tovey durante Crisis on Earth-X.

L’Arrowverse animato era il laboratorio delle idee, il luogo dove testare concetti e personaggi che poi avrebbero debuttato nelle serie maggiori. È in quei progetti “minori” che si vedeva ancora la creatività genuina delle origini.

Ma ciò che ha davvero reso l’Arrowverse un universo condiviso degno del nome DC sono stati i crossover. Ogni anno, tra novembre e dicembre, le serie CW si intrecciavano in eventi televisivi che diventavano veri e propri fenomeni di culto.
Il primo, Flash vs. Arrow (2014), mostrava due eroi diversi per metodo e carattere ma uniti dal rispetto reciproco: l’oscurità di Oliver e la luce di Barry si completavano come due metà dello stesso simbolo.

Poi arrivarono Heroes Join Forces (2015), Invasion! (2016), Crisis on Earth-X (2017) — con l’agghiacciante realtà di un mondo dominato dai nazisti — e Elseworlds (2018), che anticipò la fusione finale dei mondi. Ogni evento diventava una celebrazione dell’universo CW, un momento di gioia per i fan e di ambizione produttiva per la rete.

Tutto culmina con Crisis on Infinite Earths (2019–2020), il più grande crossover mai tentato in televisione: cinque episodi, sei serie coinvolte, decine di cameo e citazioni dalla storia DC. In quell’occasione, il multiverso collassa e rinasce come Earth-Prime, grazie al sacrificio di Oliver Queen, divenuto lo Spettro.
È in Crisis che si vedono per la prima volta Supergirl, Flash, Batwoman, Black Lightning e White Canary fianco a fianco, insieme a una miriade di eroi e versioni alternative: un omaggio a ottant’anni di fumetti e a sette di televisione.

Da lì in poi, però, la magia dei crossover comincia a dissolversi. L’ultimo vero evento corale, Armageddon (2021), è in realtà una mini-saga interna a The Flash, un addio più che una celebrazione.

Oggi, ripensando all’Arrowverse, quei crossover restano le sue feste più grandi e malinconiche: episodi in cui tutto era possibile e dove per una notte il piccolo schermo diventava grande come il cinema.

Erano i momenti in cui la CW osava davvero. E forse, proprio in quell’azzardo, sta la sua eredità più bella.

Gotham: la città che restò fuori dal sogno

Mentre l’Arrowverse intrecciava i suoi eroi su The CW, su un altro network — Fox — prendeva vita una serie che respirava un’aria completamente diversa. Gotham (2014–2019), creata da Bruno Heller, non faceva parte dell’universo CW ma ne rappresentava il contraltare più elegante, più cupo, più autoriale. Era una serie che non cercava crossover, ma coerenza; non voleva espandere un multiverso, ma raccontare un’unica città maledetta.

Il protagonista è James Gordon (Ben McKenzie), giovane detective che tenta di difendere la sua integrità in un luogo in cui la giustizia è un concetto fragile. Accanto a lui cresce Bruce Wayne (David Mazouz), un bambino ferito che, stagione dopo stagione, impara cosa significhi sopravvivere alla perdita e convivere con l’ombra del male. Il fedele Alfred Pennyworth (Sean Pertwee) lo protegge come un padre, mentre la città si popola dei futuri mostri della mitologia di Batman: Oswald Cobblepot/Pinguino (Robin Lord Taylor), Edward Nygma/L’Enigmista (Cory Michael Smith), Selina Kyle (Camren Bicondova), Barbara Kean (Erin Richards), Carmine Falcone (John Doman) e persino le prime incarnazioni del Joker.

Ogni stagione costruisce un pezzo dell’inferno di Gotham, un mondo dove la corruzione è più potente della legge e la follia più contagiosa della paura. La fotografia plumbea, l’uso del fumo, dei neon e della pioggia costante trasformano la città in un personaggio a sé, tanto vivo quanto malato.

Eppure, nonostante la qualità altissima della scrittura e delle interpretazioni, Gotham presenta un’evidente discrepanza temporale rispetto al canone. Il gap anagrafico tra Bruce e i suoi futuri nemici è notevole: quando il giovane Wayne diventerà adulto, molti di loro sarebbero ormai anziani o addirittura morti. Alcuni, come Falcone, scompaiono già nel corso della serie, nonostante nei fumetti restino figure centrali anche durante la carriera di Batman. È come se Gotham si ambientasse in una linea temporale alternativa, dove il mito nasce prima del tempo giusto.

Il finale, trasmesso nel 2019, è comunque un piccolo gioiello televisivo. Dieci anni dopo gli eventi principali, la città è cambiata: Gordon è diventato commissario, e un’ombra nuova si aggira sui tetti. Bruce Wayne, ormai adulto, torna a Gotham e indossa finalmente il mantello del Cavaliere Oscuro.
Lo vediamo mentre si erge tra i grattacieli, avvolto nel costume di Batman, il simbolo compiuto di tutto ciò che la serie aveva preparato. È una scena breve, quasi furtiva, ma potentissima: la nascita ufficiale del mito.

Nonostante le possibilità narrative, Gotham non venne mai integrata nell’Arrowverse. Fox e The CW appartenevano a due realtà televisive distinte, e i diritti legati a Batman impedirono qualunque crossover. Nessun incontro tra Bruce e Oliver Queen, nessuna alleanza con Barry Allen o Kara Danvers: due universi paralleli separati da un muro editoriale, non da una differenza di tono.

Forse, però, è stato meglio così. Gotham ha potuto restare un’opera compiuta e indipendente, un racconto noir sull’origine del male e sulla nascita dell’eroe. Senza dover condividere spazio o continuità, la serie di Heller ha mantenuto un’identità visiva e narrativa unica, trasformandosi nel più sofisticato prequel televisivo mai dedicato al mondo di Batman.

In fondo, l’Arrowverse costruiva il presente degli eroi, ma Gotham raccontava la loro memoria.
Ed è forse per questo che, ancora oggi, quella città resta viva: sporca, dolente, ma straordinariamente vera.

La parabola dell’Arrowverse: dalla gloria alla rovina

Ogni universo condiviso, come ogni mito, nasce da un’idea e muore di ambizione. L’Arrowverse era partito da una freccia scoccata in un vicolo buio e finito con un lampo rosso che correva tra le stelle. Per quasi undici anni, The CW aveva costruito un pantheon televisivo, un mondo con le proprie regole, i propri dei, le proprie tragedie. Eppure, come accade spesso, quando la macchina diventa troppo grande, la magia comincia a svanire.

Negli anni delle origini, ogni serie aveva una voce distinta. Arrow era il dramma urbano e morale; The Flash, la favola scientifica e luminosa; Supergirl, la speranza e il cuore; Legends of Tomorrow, l’avventura sregolata e umana. Ma col tempo queste identità si sono confuse, sommerse da trame sempre più ripetitive, da un umorismo forzato e da un bisogno crescente di compiacere il pubblico più giovane.

Le storie d’amore, inizialmente tenere e necessarie, si sono moltiplicate fino a diventare centrali, soffocando il respiro epico dei protagonisti. Barry e Iris, Oliver e Felicity, Kara e Mon-El, Nate e Zari: coppie amate, certo, ma così presenti da trasformare l’eroismo in melodramma.
A questo si è aggiunta una certa rigidità ideologica: il “politicamente corretto”, pur nato da intenzioni nobili, ha spesso imposto personaggi o svolte che sembravano più un dovere produttivo che un’esigenza narrativa. L’Arrowverse, nato come rifugio per outsider e sognatori, è finito per sembrare un prodotto di laboratorio.

Anche la saturazione produttiva ha avuto il suo peso. Troppe stagioni, troppi spin-off, troppi episodi “filler”. The CW, che aveva rivoluzionato la serialità di genere, ha finito per ripetersi su sé stessa, incapace di reinventare il modello che l’aveva resa celebre. Gli ascolti sono calati, la critica si è raffreddata, e la passione del pubblico si è lentamente trasformata in nostalgia.

Ma il problema più profondo dell’Arrowverse è stato l’assenza dei “pezzi da 90”: quei personaggi-mito capaci di reggere un intero universo narrativo sulle proprie spalle.
Per quanto carismatici, Arrow, Flash e Supergirl avrebbero dovuto collaborare con altri pezzi da 90 quali Batman, Wonder Woman o Lanterna Verde. Senza altri miti del DC Universe con cui confrontarsi, sono divenuti, alla fine eroi, di seconda linea. Proprio loro che, nelle prime stagioni, avevano dignitosamente retto l’impianto grazie all’entusiasmo e al cuore. Tutto inutile: alla lunga, la mancanza di altre figure centrali si è fatta sentire.

Batman è rimasto un fantasma. Nonostante il cameo di Kevin Conroy in Crisi sulle Terre Infinite, il Cavaliere Oscuro non è mai entrato davvero in scena, e la sua assenza è diventata simbolica: un’ombra che attraversa tutto l’Arrowverse, un eroe che manca nel momento in cui servirebbe di più.
Anche Lanterna Verde, promesso e mai realizzato, resta uno dei grandi rimpianti dei fan. Si era persino ipotizzata una serie spin-off — Green Lantern Corps — che non ha mai visto la luce.
Superman, invece, c’è stato, ed è stato interpretato con eleganza da Tyler Hoechlin; accanto a lui un Lex Luthor magistrale di Jon Cryer. L’uomo d’acciaio ha retto benissimo nelle sue apparizioni, senza dubbio, ma il povero Luthor ha debuttato troppo tardi, quando l’universo CW stava già declinando.

L’Arrowverse si è spento lentamente, un addio in silenzio più che una caduta fragorosa. Arrow ha salutato nel 2020, Supergirl nel 2021, Black Lightning nello stesso anno, Batwoman e Legends of Tomorrow nel 2022, e infine The Flash nel maggio 2023. Un universo intero è tramontato in cinque anni.

Superman & Lois e Stargirl: l’eco lontana dell’Arrowverse

Quando l’Arrowverse cominciava già a mostrare i primi segni di stanchezza, due nuove serie sembravano pronte a rinnovarne lo spirito. Superman & Lois e Stargirl arrivarono come un soffio d’aria fresca, due produzioni più raffinate, più cinematografiche, ma anche più isolate.

Superman & Lois, creata da Todd Helbing e andata in onda dal 2021 al 2024, porta sullo schermo il volto rassicurante e maturo di Tyler Hoechlin come Clark Kent e di Elizabeth Tulloch come Lois Lane. Nati all’interno dell’Arrowverse — Superman era già apparso in Supergirl e nei crossover come Crisis on Infinite Earths — i due personaggi trovano qui una nuova dimensione narrativa. La serie si concentra sulla vita familiare di Clark e Lois, ormai genitori di due figli adolescenti, Jonathan (Jordan Elsass/Michael Bishop) e Jordan (Alexander Garfin).
Il tono è più intimo, meno supereroistico, e ricorda più una dramedy familiare travestita da serie d’azione che un classico show CW.

Per un po’, i fan pensarono che Superman & Lois appartenesse pienamente all’Arrowverse, ma la verità emerse col tempo. Già nella seconda stagione, gli autori rivelarono che la serie si svolge in un universo parallelo, dove Superman è l’unico eroe esistente e gli eventi delle altre serie CW non fanno parte della continuità. In altre parole: non è davvero parte dell’Arrowverse, ma ne rappresenta l’eredità spirituale, un tentativo di proseguire la sua tradizione in modo più adulto, quasi autoriale.
Il finale, trasmesso il 2 dicembre 2024, ha chiuso il percorso con eleganza e malinconia, sigillando un mondo separato ma idealmente connesso a quello di Oliver Queen e Barry Allen.

Diversa è la storia di Stargirl. Creata da Geoff Johns, la serie debutta nel 2020 su DC Universe e in contemporanea su The CW, raccontando le avventure di Courtney Whitmore, interpretata da Brec Bassinger, una studentessa di Blue Valley che scopre di essere destinata a ereditare il potere del Cosmic Staff e a rifondare la Justice Society of America.
Con il suo tono luminoso, ottimista e un’estetica quasi cinematografica, Stargirl ricorda le prime stagioni di The Flash: è una serie sull’eroismo come eredità e responsabilità, con un equilibrio raro tra leggerezza e dramma.

Pur avendo alcuni collegamenti visivi e citazioni dirette al multiverso CW — durante Crisis on Infinite Earths si vede brevemente la sua Terra (la Earth-2 post-riavvio) — Stargirl non è considerata parte canonica dell’Arrowverse principale, ma una realtà parallela che ne condivide lo spirito.
Anche questa serie si è conclusa nel dicembre 2022, dopo tre stagioni intense e coerenti, con un finale che mostrava i membri della nuova Justice Society pronti a vegliare sul futuro, lasciando intendere che la fiamma dell’eroismo non si era spenta del tutto.

In un certo senso, Superman & Lois e Stargirl sono gli ultimi due battiti dell’Arrowverse: nate ai margini del suo tramonto, hanno conservato la sua essenza più pura: la fede nell’eroismo come speranza collettiva, ma in versioni più sobrie e riflessive.
Non erano spin-off diretti, ma epiloghi spirituali: due storie che ricordavano al pubblico ciò che l’universo CW era stato capace di fare nei suoi anni migliori.

Titans: l’altra faccia della gioventù DC

Tra le tante produzioni nate negli anni dell’Arrowverse, una delle più ambiziose — ma anche più controverse — è stata senza dubbio Titans, creata da Akiva Goldsman (già noto per Constantine), Geoff Johns e Greg Berlanti (entrambe figure chiave anche nelle varie serie dell’Arrowverse). Pur non appartenendo ufficialmente all’Arrowverse, la serie rappresentava una visione parallela e più oscura dell’universo DC, andata in onda dal 2018 al 2023 prima su DC Universe e poi su HBO Max.

La prima stagione fu un autentico fulmine: cupa, violenta, coraggiosa. Raccontava la rinascita dei Giovani Titani in chiave adulta, con Dick Grayson (Brenton Thwaites), ex Robin tormentato dal peso del passato, che cerca di costruire una nuova identità lontano dall’ombra di Batman. Accanto a lui, Rachel Roth/Raven (Teagan Croft), Kory Anders/Starfire (Anna Diop), Gar Logan/Beast Boy (Ryan Potter) e altri eroi destinati a intrecciare destini fragili e violenti.
Il mix di azione e introspezione, la fotografia livida e le tematiche psicologiche colpirono pubblico e critica. Titans sembrava inaugurare un nuovo modo di raccontare la DC: senza filtri, senza eroi perfetti, ma con anime in frantumi.

Poi, però, la magia si spense lentamente. Le stagioni successive persero direzione, schiacciate tra trame confusionarie e scelte narrative discutibili. I personaggi — inizialmente credibili — finirono risucchiati da svolte forzate e ritmi altalenanti. L’universo DC, nel frattempo, stava già cambiando pelle, e Titans ne rimase vittima: il suo tono adulto non bastò più a sostenerlo.
La serie si chiuse nel 2023 con una quarta stagione che tentava di ricucire le sue anime, ma ormai la coerenza era perduta.

Eppure, anche Titans trovò un piccolo spazio nel grande mosaico dell’Arrowverse. Durante l’evento Crisi sulle Terre Infinite, un brevissimo cameo mostrò i “giovani titani” sullo schermo per pochi secondi, un lampo simbolico che li inseriva nel multiverso CW. Era un gesto affettuoso, una sorta di riconoscimento: anche se narrativamente distanti, facevano parte della stessa famiglia, dello stesso sogno condiviso.

Come Gotham, Titans vive in un universo parallelo, ma ne condivide il battito e la malinconia. È la prova che la DC sa essere molte cose: epica, romantica, violenta, ma sempre umana.

Messa in onda italiana dell’Arrowverse

In Italia il mondo delle serie del Arrowverse è arrivato in modo frammentato, con esposizione su canali gratuiti e pay-tv, orari non sempre in prima serata e siparietti di diritti che hanno complicato la fruizione per gli appassionati.

Per esempio, Arrow, la serie che ha dato il via al tutto, ha debuttato su Italia 1 l’11 marzo 2013 per la prima stagione. La seconda stagione è andata in onda sempre su Italia 1 dal 10 gennaio al 9 giugno 2014, dopo una prima anteprima sottotitolata su Premium Action. Le stagioni successive hanno visto una progressiva migrazione verso la pay-tv: dalla sesta stagione Arrow è passata in prima visione assoluta su Premium Action (a partire dal 5 febbraio 2018) prima di ritornare in chiaro.

Per quanto riguarda The Flash, le prime tre stagioni furono trasmesse su Italia 1 a partire dal 20 gennaio 2015. Dalla quarta stagione in poi il telefilm è passato quasi esclusivamente sulla pay-tv (Premium Action) in prima visione assoluta, partendo dal 6 febbraio 2018. Interessante è il caso della settima stagione: in Italia l’episodio è stato trasmesso solo nel day-time su Italia 1 dal 30 luglio 2022 alle 14:20, dopo ritardi e problemi di palinsesto.

Con Legends of Tomorrow la situazione si fa ancora più “oscura” per l’Italia: la prima stagione è andata in anteprima su Premium Action dal 19 ottobre 2016, mentre la versione in chiaro su Italia 1 è arrivata solo il 27 dicembre 2017.

Un altro esempio significativo riguarda i crossover: ad esempio l’evento che coinvolgeva Supergirl, The Flash, Arrow e Legends of Tomorrow è stato trasmesso da Italia 1 nel febbraio 2017, ma senza l’ultima parte del crossover (che spettava a Legends of Tomorrow) a causa dei diritti.

Tutto questo ha generato due effetti principali: da un lato l’entusiasmo per l’arrivo del mondo DC in chiaro; dall’altro una frustrazione crescente tra i fan che, per questioni di diritti e palinsesto, vedevano l’universo frammentato o ritardato rispetto agli Stati Uniti. La sensazione era che l’Arrowverse italiano arrancasse dietro quello americano, con ritardi, cambi di canale e salti di stagione.

In termini di share televisivo specifico sui canali italiani, purtroppo non esistono dati pubblici consolidi che separino ogni singola stagione dell’Arrowverse: la maggior parte delle trasmissioni era in fascia prime time o preserale su Italia 1, canale generalista, e poi in pay-tv su Premium Action. Quello che è certo è che il fatto di trovarsi su Italia 1 – un canale con target giovane – ha aiutato a far conoscere le serie a un pubblico più ampio, ma al contempo la “rottura di ritmo” dovuta ai cambi di canale ha diluito l’impatto culturale che l’Arrowverse aveva negli Stati Uniti.

In sostanza: la messa in onda italiana dell’Arrowverse è stata un mix di opportunità e compromessi, visione accessibile su canali generalisti, ma spesso penalizzata da diritti, spostamenti e attese. Un fattore che forse ha contribuito al fatto che, pur amato, l’universo non abbia mai avuto in Italia lo “stato di culto collettivo” che ha avuto in lingua originale.

Il nuovo volto della DC: tra cenere e rinascita

Oggi la DC si trova nel pieno di una trasformazione radicale. L’epoca della Arrowverse si è conclusa, e con essa una stagione televisiva che aveva ridefinito il modo di raccontare gli eroi. Ora l’intero universo DC è in fase di ricostruzione sotto la guida di James Gunn e Peter Safran alla testa della DC Studios. Il loro piano non è semplice rilancio, ma reinventare un mito: cinema, serie TV e animazione fusi in un progetto coerente, noto come “Chapter One: Gods & Monsters”.

Il primo tassello è il film Superman (precedentemente noto come Superman: Legacy), uscito l’11 luglio 2025, che segna l’avvio della nuova era DC. Accanto a questo sono stati annunciati anche un nuovo Batman, una serie su Lanterna Verde e un film dedicato a Supergirl.

L’obiettivo è chiaro: tornare alle radici emotive del mito, ma con uno stile contemporaneo. Meno esperimenti televisivi seriali, più visione cinematografica e integrazione tra piattaforme. È la risposta della DC a se stessa. Non si tratta più di rincorrere la Marvel, ma di ritrovare la propria voce, più solida e autentica.

E la Marvel? Anche lei attraversa una fase di assestamento: dopo anni di dominio, è alle prese con nuove strategie, titoli in bilico e un pubblico che richiede emozione più che semplice espansione. Ma è sul terreno della DC che oggi si gioca la vera partita dell’eroismo televisivo e cinematografico.

È una rinascita lenta, ma obbligata. Perché l’universo DC non era solo un brand: era un linguaggio, un modo di raccontare speranza nei tempi oscuri. E se l’Arrowverse aveva acceso quella fiamma, ora tocca a questa nuova generazione portarla avanti.

Nel nuovo corso, non servono solo superpoteri, ma storie che parlino all’anima.
E proprio qui risiede la vera scommessa della DC: trasformare il mito in esperienza, l’eroe in memoria, la leggenda in emozione.

Perché anche quando il mondo sembra perduto, e la speranza si spegne tra le macerie dei sogni, ci sarà sempre qualcuno pronto a rialzarsi. Qualcuno che, come Oliver Queen, troverà la forza di sacrificarsi per un’idea; che, come Barry Allen, continuerà a correre anche quando tutto il resto si ferma; che, come Kara Danvers, crederà ancora nella luce anche dentro la notte più nera; che, come la scalmanata ciurma delle Legends, riderà in faccia al destino e sceglierà comunque di salvare il mondo, anche solo per sbaglio, anche solo per amore.

L’Arrowverse si è spento, ma il suo spirito continua a brillare.
In ogni racconto che osa credere nella bontà dell’uomo, in ogni storia che ricorda che l’eroismo non è volare o correre più veloce, ma non smettere mai di provarci.

E così, tra le ceneri e la rinascita, la DC torna a essere ciò che è sempre stata:
un universo di speranze, cadute e riscatti.
Un universo che, anche quando finisce, trova sempre un modo per rinascere.

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