Il porto di Manfredonia nei primi dell’800

Il porto di Manfredonia nei primi dell’800
Nonostante la creazione di porti industriali (“alti fondali”) e turistici, perché l’attività marittima nello scalo sipontino deve ristagnare? E innanzitutto perché a Manfredonia non possono partire mezzi per la Dalmazia, l’Albania e il Montenegro. Pare essere tornati ai “tempi dei Borboni”; di questo periodo ne conosciamo cause e strumentalizzazioni, e le riportiamo qui appresso, ma di oggi? Perché dobbiamo subire il baronaggio barese e salentino? Eppure siamo l’unico porto “agibile” da Ancona in giù…
Ma parlando di storia, che forse è meglio, alla fine del ‘700 ed agli inizi dell’800, in poco lasso di tempo, abbiamo due giudizi diversi sulla attività portuale di Manfredonia.
Dopo aver trattato, in breve, del “Mare di Manfredonia”, dicendo che “Il lido di Manfredonia troneggia all’Est: è legge di tutt’i lidi de’ Continenti…“, il Manicone (che scrive agli inizi dell’800: La Fisica Appula) effettua una disquisizione sulla natura dei lidi delle varie coste del mondo, per indi scrivere del lido e del porto della città.
E’ noto il giudizio di un altro autore, il Galanti (che analizza l’economia del regno di Napoli verso la fine del ‘700: Della descrizione geografica e politica delle Sicilie ), che definisce Manfredonia un “misero scaricatoio”.
Non sappiamo se il Galanti abbia visitato personalmente il porto sipontino per descriverlo nel modo come ha fatto; sappiamo, invece, con certezza, che padre Manicone è vissuto a Manfredonia nel 1800, e lo afferma egli stesso.
Certo è che ambedue gli autori descrivono un molo (e le relative banchine) non in efficienti condizioni di agibilità.
E le eventuali constatazioni “de visu” devono essere state fatte quasi nello stesso periodo, in quanto il Manicone è nato nel 1745, cioè già maturo d’anni, e abbastanza esperto quando scrive il Galanti.
Si parla della inefficienza di molo, ridotto a misere condizioni per il Galanti, e quasi fatiscente per il Manicone, ma non anche della ridotta attività portuale poiché comunque, “assai frequentato è questo porto di Manfredonia”.
I bastimenti, infatti, si fermano in rada e, come si rileva in molti atti notarili, per il carico e lo scarico delle merci si ha l’ ”allibbo”, cioè l’utilizzo di piccole barche che fanno la spola dai magazzini (fondaci) ai bastimenti o viceversa.
Non solo; ma sono innumerevoli i casi di arrivi di truppe e vieppiù di sbarco di sovrani, principi e blasonate promesse spose.
Quel “misero caricatoio” del Galanti, quindi, deve essere inteso solo come ridotte o disagiate condizioni recettive e di agibilità delle banchine, ma “non” ridotte movimentazioni mercantili, come molti, erroneamente, hanno voluto intendere. Ridotte condizioni che “tardano” ad essere rimosse dagli organi governativi.
Con ciò, nulla toglie che effettivamente si siano potuti verificare ridotte condizioni di traffico marittimo, alla fine del sec. XVIII ed all’inizio o durante il sec. XIX, in tutto il regno di Napoli, compresa Manfredonia.
Per tutto il “decennio francese”, ed in particolare nel periodo murattiano, tra il 1808 ed il 1813, pare che non si mostri molta attenzione ai porti commerciali del regno, per cui il commercio entra in crisi, specie quando si verifica la decadenza dei traffici prodotta dal blocco continentale.
A Manfredonia, nel 1811, approdano 308 e partono 316 imbarcazioni, ma solo 60 caricano e 18 scaricano mercanzie.
Dal 1813, al termine del blocco continentale, si ricomincia a riconsiderare i porti anche dal punto di vista commerciale, per cui con decreto del 1° luglio vengono affidati al “Corpo degli Ingegneri di Ponti e Strada”, creato da Murat, nel 1808 (sul modello di quello francese, esistente già da un secolo), le relative progettazioni, e per il porto di Manfredonia vi è la notizia di lavori effettuati.
Con decreto del 3 settembre 1813, i porti di Manfredonia, Taranto, Brindisi, ecc. vengono dichiarati porti militari, per cui oggetti di particolare cura ed attenzione.
Dal mese di agosto al mese di dicembre 1814, dal porto di Manfredonia vengono esportati quintali 51.852,11 di grano, quintali 2.063, 2 di fave e quintali 12 di farina, per una movimentazione in entrata ed uscita di 49 imbarcazioni destinate in tutto il Mediterraneo, rispettivamente, 15 a Cadice, 4 a Curzola, 4 a Palermo, 8 alla Dalmazia, 2 all’isola di Mezzo, 2 a Genova, 1 a Trieste, 1 a Laustra (nel Cilento), 1 a Corfù e 1 a Comiso.
Complessivamente, dall’agosto 1814 all’agosto 1815, vengono imbarcati 91.354 quintali di grano, 2.570 quintali di fave, 12 quintali di farina, 44 quintali di semola e 22 quintali di pasta.
Ma a fianco dell’attività mercantile, va annoverata anche quella peschereccia (molto antica nella comunità sipontina), niente affatto trascurabile dal punto di vista economico-commerciale.
Anche a Manfredonia, come in tutta la costa pugliese, a parte i casi di Brindisi e Trani (notevoli le vertenze per il “diritto dell’andito”), attività degna di nota è quella peschereccia, specie dopo l’abolizione della feudalità, decretata nel 1806, quando si riscontra un notevole aumento del numero di addetti; si hanno, infatti, 172 marinai e pescatori su una popolazione di circa 5.000 abitanti, e con un consistente numero di paranze e di barche da pesca.
La storia è fatta dalla documentazione, e il copia ed incolla (a cui è avvezzo un decurione) non fa bene alla ricerca.
del Prof. Giovanni Ognissanti – Archivio Storico Sipontino