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Il culto mariano della devozione popolare sipontina

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Il culto mariano della devozione popolare sipontina

Del Prof.Giovanni Ognissanti ✍️

I Novelli Decurioni della domus palatiata forse non sanno o meglio ignorano delle vicende del culto mariano nella comunità sipontina, il quale si articola come un ventaglio ampio e variegato, diversificato nel tempo e nello spazio.

Di alcuni luoghi di culto è rimasto solo il toponimo, di altri se ne è persa completamente la memoria e la loro esistenza è reperibile solo nelle fonti documentarie.

Abbiamo, così, Madonna di Loreto, S. Maria la Nova, S. Maria Vecchia, la Madonna di S. Chiara, Maria SS. dell’Annunziata, S. Maria dell’Umiltà, Madonna della Pace, S. Maria delle Grazie, S. Maria della Stella, S. Maria del Carmine, S. Maria di Pulsano e Santa Maria Maggiore di Siponto.

Il culto mariano, per eccellenza, nel popolo sipontino, come è noto, è verso la Madonna di Siponto, per cui la datazione deve essere collegata alla nascita del tempio paleocristiano o tardo antico. Ci troveremmo, così, secondo gli archeologi, all’intorno del V-VI secolo, anche se il culto cristiano a Siponto è attestato precedentemente e, secondo alcune nostre ipotesi, derivato dalla stratificazione socio-religiosa giudaica.

Oggetto della nostra cultualità verso la Madonna è dato, fenomeno abbastanza singolare, da due immagini: l’icona bizantina, “a madonne de Seponde”, e la statua lignea, “a Sepundine”. La prima viene portata in processione, la seconda, invece, da sempre è stata ricettrice degli ex voto.

E la corrispondenza cultuale verso queste due immagini mariane non è uguale; verso il quadro (l’icona) la corrispondenza è più sacrale, permeata da immensa venerazione; verso la statua lignea la cultualità è più umanizzata, più familiare, come dimostra pure la grande messe di canti e di tradizioni ad essa legata.

Sulla datazione di queste due opere d’arte non vi è certezza, anche se non mancano degli studi; i più accreditati farebbero risalire la statua lignea al VI-VII sec. e l’icona all’XI sec.

E’ bene sapere, che le due immagini, ora situate nella cattedrale di S. Lorenzo di Manfredonia, fino a pochi decenni fa erano ubicate nella cattedrale di S. Maria Maggiore di Siponto, nella “vetere” Siponto, ed è qui che vieppiù si è sviluppata e si sviluppa la cultualità mariana del popolo sipontino.

Ed è qui che venivano posti gli ex voto, sia rappresentati sulle tavolette (di cui si conserva un buon numero), sia formati da protesi, e sia ancora costituiti da vesti nuziali (i “cconge”) o dai vestiti femminili della prima comunione (“i vestite d’i vergenèlle”). Sui muri della basilica, poi, si riscontrano dei graffiti e delle iscrizioni, ma soprattutto presso questa chiesa si è usato ed ancor si usa sciogliere i voti per una invocata guarigione o per la liberazione da grossi “affanni”, venendo a piedi e scalzi: “ji a lla scaveze a Seponde.”

E nel passato, quando il tempo era impietoso per le lunghe siccità, o per i temporali devastanti, o per le bufere in mare, qui si veniva a “prendere la Madonna”, per portarla nella seconda cattedrale, di S. Lorenzo, ed effettuare le novene propiziatrici per l’acqua invocata o per la cessazione della tempesta o per l’arrivo sani e salvi dei familiari dal mare.

Ed è stato in questo modo che poi si è effettuata la festa patronale, con l’usanza di trasportare la Madonna, ovvero, l’icona, il 22 agosto, da Siponto a Manfredonia, con scariche di pietre (poste nelle “pietrere”) o di spari dei cannoni posti sul torrione del fico (ora piazza Marconi).

Non meno meritevole è poi lo studio dei santini che raffigurano la Madonna. E qui la mente non può non andare al cuoricino (“a pungèlle”) che si insinuava tra le fasce del neonato, per preservarlo dal malocchio, nel quale, appunto, tra le altre cose, si poneva un santino della Madonna pieghettato più volte, o alla medaglietta con la catenina d’oro, da mettersi al collo, specie dal giovane di primo pelo per proteggerlo dai pericoli, od, infine, al santino che si poneva nel taschino del vestito indossato di nuovo (“ngegnéte”) sempre per non essere “pegghiét’a d’ucchje”.

Questo è quanto: “Vuolsì così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.

Prof. Giovanni Ognissanti – Archivio Storico Sipontino

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