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Cresce la popolarità dei buoni pasto nell’ambito dello smart working: i motivi e le modalità di fruizione

Negli ultimi due anni la vita degli italiani è cambiata a causa della pandemia. Tali cambiamenti sono evidenti soprattutto nel mondo del lavoro e, in particolare, è mutata la pausa pranzo.

Fino a qualche anno fa i dipendenti si recavano fisicamente nelle aziende e negli uffici, per poi ritrovarsi nella mensa aziendale per consumare il pranzo.

Oggi però le modalità di lavoro sono profondamente cambiate e alcune tendenze già in atto si sono ulteriormente consolidate.

Lo smart working, una necessità durante il periodo epidemiologico per affrontare l’emergenza, è diventato un’opportunità sempre più apprezzata.

Lo smart working va inteso anche come lavoro agile, cioè come flessibilità organizzativa che consente di lavorare ad orari e luoghi diversi dall’ufficio.

Questa nuova situazione rende più complicata la fruizione della mensa aziendale, proprio perché i dipendenti non sempre sono presenti fisicamente nella sede aziendale agli orari indicati.

Proprio in tale contesto hanno riscontrato un notevole apprezzamento i buoni pasto, che danno ai collaboratori la piena libertà di utilizzare il servizio di ristorazione come preferiscono.

Il buono pasto può essere usato per pranzare al ristorante preferito vicino all’ufficio, quindi ovunque e senza limiti di tempo. O magari può essere utilizzato per farsi portare il pranzo direttamente a casa o in ufficio, con la possibilità di mangiare i propri piatti preferiti e non quelli imposti dalla mensa aziendale.

E ancora i buoni pasto possono essere usati per acquistare alimenti al supermercato, così da prepararsi direttamente da casa il pranzo da portarsi a lavoro.

I buoni pasto hanno ottenuto sempre più consensi non solo per la versatilità garantita dalle diverse modalità di utilizzo, ma anche perché diventano forme di supporto fondamentale per la spesa delle famiglie che vedono notevolmente accrescere il loro potere d’acquisto.

Al di là degli aspetti pratici e puramente gastronomici, vale sicuramente la pena approfondire il discorso anche sull’aspetto normativo.

Nel 2020 infatti la soglia di deducibilità dei buoni pasto è salita da 7 ad 8 euro, condizione che ha portato diversi benefici tanto alle aziende quanto agli stessi collaboratori.

Secondo uno studio condotto dalla Sda Bocconi School of Management questa politica di esenzione dovrebbe stimolare un settore che in Italia oggi vale circa 3 miliardi di euro e che coinvolge 2,4 milioni di utenti.

Le stesse attività di ristorazione o le aziende che si occupano di delivery food ne trarranno beneficio, poiché crescerà il loro volume d’affari e potranno fidelizzare nuovi clienti.

Tornando all’aspetto normativo e fiscale, è opportuno sottolineare che i buoni pasto non costituiscono reddito di lavoro dipendente e che sono deducibili al 100% ai fini delle imposte dirette.

Aziende, professionisti e partite IVA possono interamente recuperare il costo sostenuto, senza incidere più di tanto sul budget.

Chi è maggiormente interessato a questo discorso può leggere l’articolo di approfondimento sulla normativa dei buoni pasto che spiega più in dettaglio quali sono le caratteristiche, come funziona la cumulabilità, la soglia di esenzione e la soglia di detassazione.

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Redazione

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